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L’Asl può rifiutare l’assistenza sanitaria domiciliare?

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(@mariano-acquaviva)
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A causa della patologia di cui sono affetto, da anni beneficio della riabilitazione domiciliare. Da un paio di mesi, però, l’Asl ha sospeso la prestazione in quanto ritiene che il mio letto non sarebbe adeguato alle esigenze del fisioterapista, il quale dovrebbe chinarsi troppo per eseguire le terapie. Cosa possono fare? L’Asl può sospendere l’assistenza sanitaria domiciliare senza nemmeno un formale avviso?

La situazione descritta rappresenta una grave violazione del diritto a ricevere cure e prestazioni sanitarie di ogni genere, nel caso di specie di tipo domiciliare.

Il diritto all’assistenza domiciliare è garantito direttamente dalla legge. Per la precisione, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 12 gennaio 2017 (recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»), all’articolo 22, stabilisce che:

«Il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone non autosufficienti e in condizioni di fragilità, con patologie in atto o esiti delle stesse, percorsi assistenziali a domicilio costituiti dall’insieme organizzato di trattamenti medici, riabilitativi, infermieristici e di aiuto infermieristico necessari per stabilizzare il quadro clinico, limitare il declino funzionale e migliorare la qualità della vita. L’azienda sanitaria locale assicura la continuità tra le fasi di assistenza ospedaliera e l’assistenza territoriale a domicilio.

Le cure domiciliari, come risposta ai bisogni delle persone non autosufficienti e in condizioni di fragilità, si integrano con le prestazioni di assistenza sociale e di supporto alla famiglia, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001 […]. Il bisogno clinico, funzionale e sociale è accertato attraverso idonei strumenti di valutazione multidimensionale che consentano la presa in carico della persona […]».

Il DPCM prosegue elencando le differenti tipologie di cure domiciliari, distinguendo tra quelle di livello base e quelle integrate (ADI, Assistenza Domiciliare Integrata), queste ultime a loro volta suddivise in tre livelli in base alla complessità del quadro patologico del paziente.

Alla luce di ciò, si ritiene che l’interruzione della riabilitazione domiciliare sia avvenuta in maniera del tutto arbitraria e ingiustificata, senza peraltro nemmeno una comunicazione scritta che consentisse di poter prendere atto delle motivazioni dell’Asl, così poi da poterle contestare formalmente.

Sussistendone i requisiti (rappresentate dalle condizioni di salute del paziente), l’Azienda non può rifiutarsi di eseguire la prestazione; tanto più considerando che la medesima era già in atto da tempo.

Nel caso di specie, poi, essendo il richiedente un portatore di handicap grave ai sensi del comma terzo dell’art. 3, l. n. 104/92, beneficiario dell’indennità d’accompagnamento per l’incapacità di deambulare autonomamente e/o di attendere da solo agli atti della vita quotidiana, la prestazione non avrebbe mai dovuto essere negata, sussistendo “per tabulas” (cioè, sugli atti stessi) le condizioni per poter accedere alle stesse.

Alla luce di ciò, si consiglia di diffidare formalmente l’Asl mediante lettera raccomandata oppure pec, eventualmente redatta da un legale, invitando la stessa a riprendere immediatamente la riabilitazione illegittimamente sospesa, pena il ricorso all’Autorità giudiziaria competente, sia civile che penale.

Non bisogna infatti dimenticare l’insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui il diniego di una prestazione o di un’assistenza sanitaria integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio, punito dall’art. 328 del codice penale con la reclusione da sei mesi a due anni (così Cass., sentenza n. 23406 del 2022).

 
Pubblicato : 30 Settembre 2023 07:30