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La Prescrizione fra slogan e improcedibilità

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(@francesco-lamancusacosedelmondo-it)
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In questo post diamo spazio a qualche slogan ed a qualche nozione che renda più semplice la comprensione di quanto si dice.

E’ falso dire che la riforma della prescrizione/improcedibilità mette fine ai “processi all’infinito”. – Un virgolettato del Sottosegretario Delmastro riportato dal Dubbio suonava così: “Con la prescrizione sostanziale mai più cittadini indagati e imputati a vita secondo la sgrammaticata parentesi bonafediana e contro ogni principio garantista”. Si tratta chiaramente di uno slogan che ha poco di giuridico e tanto di slogan elettoralistico. La riforma garantista, che esclude il rischio di processi a vita nei giudizi di impugnazione, è stata realizzata nella scorsa legislatura – con il voto favorevole anche di partiti dell’attuale maggioranza, quali la Lega e Forza Italia –, introducendo l’improcedibilità, che ora si archivia. La previsione di termini di durata massima dell’appello e della cassazione, superati i quali il processo finisce, è l’antitesi logica e fattuale del processo a vita. I cittadini devono saperlo. L’introduzione dell’istituto dell’improcedibilità, che si propone di archiviare, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione culturale nella disciplina del rapporto tra tempo e giustizia penale. Tutte le riforme precedenti si erano inserite nel solco tradizionale che affidava alla prescrizione la cura di istanze profondamente diverse. Da un lato, la tutela del diritto all’oblio e, dall’altro, la garanzia del diritto alla ragionevole durata del procedimento. Il problema è che si tratta di entità temporali irriducibilmente diverse: da un lato, il tempo dell’inerzia e, dall’altro, il tempo dell’attività giudiziaria. Come si fa ad affidare a un unico metronomo un tempo vuoto e una durata? Non è possibile regolare quello strumento: e, infatti, non ci è riuscito alcun legislatore italiano. Non a caso, nella maggior parte dei paesi occidentali, dopo che l’autorità giudiziaria ha avviato il procedimento penale, il legislatore individua un momento oltre il quale la prescrizione – intesa come estinzione del reato non è più rilevante. La prescrizione del reato a processo penale in corso, ancor più in fase avanzata è una anomalia italiana. Una verità che non emerge mai nel dibattito pubblico. Neanche la Corte costituzionale – con la saga Taricco – ha richiesto che la misurazione della ragionevole durata venga affidata a un istituto di natura sostanziale: il Giudice delle leggi ha chiarito soltanto che la prescrizione, così come disciplinata, ha natura sostanziale.

La Commissione Lattanzi – almeno in una delle due soluzioni prospettate – aveva proposto di introdurre una novità rivoluzionaria, che potesse allineare l’ordinamento italiano ai modelli europei e a quello americano: affidare alla prescrizione la misura dell’inerzia e all’improcedibilità la misura della durata del processo. Poi il compromesso tra le forze politiche ha spostato lo spartiacque tra i due istituti: non l’esercizio dell’azione penale, ma la pronuncia della sentenza di prime cure. Ma la prospettiva sistematica non cambia; e soprattutto non si è smarrito il pregio fondamentale di questa soluzione binaria, ossia la chiarezza: il tempo che viene messo a disposizione per il giudizio di appello e di cassazione è sempre predeterminato e non dipende dai ritardi delle fasi precedenti. La prescrizione decorre da un tempo che può essere molto lontano dal giudizio (la data di commissione del reato) e il periodo già consumato dal primo grado dipende da fattori difficilmente ascrivibili a questo o quel soggetto; l’improcedibilità decorre dalla fine del primo grado e coincide con i termini di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione previsti dalla legge: tre anni per l’appello e un anno e mezzo per la cassazione nel periodo transitorio. La prescrizione è un cerino che passa di mano: è colpa di tutti e di nessuno; l’improcedibilità è un cerino che brucia tutto e dall’inizio in mano al giudice dell’impugnazione. Questo finisce, da un lato, per rendere chiarissima la responsabilità di chi è chiamato ad amministrare il processo nei gradi di impugnazione e, dall’altro, per eliminare dalla faretra del difensore la freccia rappresentata dalla prospettiva della prescrizione in appello. Se le corti d’appello – come i dati confermano – si organizzano in modo da assicurare che l’improcedibilità in seconde cure rappresenti soltanto un’eventualità remota, viene meno un fortissimo incentivo ad impugnare per lucrare un proscioglimento per estinzione del reato. L’ulteriore effetto sistemico positivo è rappresentato dall’eliminazione di un concorrente pericoloso dei riti alternativi: ridurre il numero di “prescrizioni cattive” – ossia quelle che maturano durante il processo, e, soprattutto, nei giudizi di impugnazione – consente di aumentare la propensione all’accesso ai riti alternativi. È dimostrata infatti la correlazione inversa tra incidenza della prescrizione e percentuale di ricorso al patteggiamento.

 
Pubblicato : 21 Febbraio 2024 11:25