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La commercializzazione dei derivati della cannabis light

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(@gianluca-scardaci)
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Spaccio: l’analisi dei testi normativi di riferimento mostra apparente contraddizione sul punto atteso che essi da un lato vietano la coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti e, dall’altro, promuovono la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa.

La legge 02 Dicembre 2016 n. 242 qualifica come attività consentita quella dedita alla coltivazione di canapa delle specie di piante agricole. Tale esplicita previsione ha negli ultimi tempi indotto gli interpreti a chiedersi se tra tali lecite attività rientrino anche le condotte connesse alla vendita di cannabis sativa l; se si, in quali limiti, e fino a che punto esse siano penalmente irrilevanti. Di qui la domanda sulla possibile commercializzazione dei derivati della cannabis light.  La risposta è intervenuta attraverso le Sezioni Unite della Cassazione chiamate a dirimere un insanabile contrasto.

Le due tesi sulla commercializzazione della cannabis

Al primo orientamento, pressoché maggioritario, che escludeva la possibilità di ritenere che la legge n. 242 del 2016 consentisse la commercializzazione dei derivati della cannabis light, se ne contrapponeva un altro, decisamente minoritario, il quale dalla liceità della coltivazione della canapa ne faceva discendere anche quella della commercializzazione dei derivati della stessa, quali foglie e inflorescenze, purché contenenti un ridotto principio attivo. Resisteva per la verità un terzo indirizzo, che prospettava una posizione intermedia, basata sulla liceità della vendita dei prodotti in argomento, a patto che gli stessi contenessero un principio attivo inferiore allo 0,2 per cento.

Il ragionamento delle Sezioni Unite

Al fine di rispondere al quesito posto e quindi di coordinare la legge del 2016 con le norme contenute nel Testo Unico sugli stupefacenti, il Supremo Collegio è partito da una rapida elencazione degli strumenti normativi qui sintetizzati: nel 1990 è stato emanato il Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope; sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione solo le sostanze specificamente indicate negli appositi elenchi appositamente predisposti, che integrano il precetto penale; tra tali elenchi è indicata la cannabis e i prodotti da essa ottenuti; quanto evidenziato conduce a ritenere pertanto che la coltivazione e la commercializzazione della cannabis e dei prodotti da essa ottenuti, quali foglie, inflorescenze, olio e resina, rientrino nell’ambito della fattispecie penale prevista dall’art. 73 del Testo Unico sulla droga .

Perché invece è consentita la coltivazione della canapa?

Essa, come detto, legittimata dalla l. n. 242 del 2016 viene consentita al fine di promuovere la filiera agroindustriale quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita della biodiversità.

La Corte, sulla scorta di questo, osserva che la parte della legge del 2016, in cui è stabilito che la coltivazione della canapa non rientra nell’ambito delle sostanze vietate, riguarda un settore specifico dell’attività agroalimentare estraneo all’ambito dei divieti; motivo per il quale il legislatore non ha inserito tale sostanza nel delineato sistema tabellare.

Tali superiori considerazioni inducono di riflesso ad attribuire natura tassativa alle sette categorie di prodotti che possono essere ottenuti dalla coltivazioni agroindustriale di cannabis light, sempre sul presupposto  dell’esplicito riferimento alla finalità della coltivazione, che deve essere funzionale “esclusivamente” alla produzione di fibre o alla realizzazione di usi industriali “diversi” da quelli relativi alla produzione di sostanze stupefacenti

L’elenco tassativo dei prodotti contiene:

  • alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;
  • semilavorati quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli e carburanti per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;
  • materiale destinato alla pratica del sovescio;
  • materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
  • materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica dei siti inquinati;
  • coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
  • coltivazioni destinate al florovivaismo;

Dalla coltivazione di cannabis sativa light non possono essere realizzati prodotti diversi da quelli appena elencati.

Conclusione delle Sezioni Unite della Cassazione sullo spaccio

Di qui il principio formulato dal Supremo Collegio secondo cui in tema di stupefacenti la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis light, quali foglie, inflorescenze, olio e resine, integrano il reato di spaccio di sostanze stupefacenti anche a fronte di un contenuto di principio attivo inferiore ai valori di legge indicati, salvo che tali derivati siano in concreto privi di ogni efficacia drogante o psicotropa secondo il principio di offensività al bene giuridico tutelato, ossia la salute pubblica.

 
Pubblicato : 17 Gennaio 2024 14:15