Investire in bitcoin: quando è reato?
Criptovalute: cosa sono e come si comprano le monete digitali? Qual è la differenza tra il reato di riciclaggio e quello di autoriciclaggio?
La moneta digitale rappresenta una delle nuovissime frontiere della tecnologia. La più nota è rappresentata sicuramente dai “bitcoin”, anche se ci sono molte altre criptovalute, tutte esistenti soltanto nel mondo virtuale. Con il presente articolo risponderemo a una precisa domanda: quando è reato investire in bitcoin?
Sull’argomento è intervenuta la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha individuato (almeno) un caso in cui investire il proprio denaro in criptovalute costituisce un grave delitto, punibile con la reclusione sino a otto anni. Approfondiamo la questione.
Bitcoin: cosa sono?
I bitcoin sono la più nota forma di criptovaluta, cioè di moneta digitale.
Cosa sono le criptovalute?
Le criptovalute sono monete digitali che possono essere utilizzate in luogo della classica valuta solo se accettate dalla controparte, cioè da chi la riceve a titolo di pagamento.
Caratteristiche fondamentali delle criptovalute sono quindi:
- l’immaterialità, nel senso che non esistono dal punto di vista fisico (non sono tangibili, in pratica), bensì soltanto nel mondo virtuale;
- non avere corso legale, nel senso che nessuno è obbligato ad accettarle. Le criptovalute non sono riconosciute dallo Stato.
Come si investe in bitcoin?
Per investire in criptovalute (e, quindi, anche in bitcoin) è necessario aprire un portafoglio/conto virtuale (cosiddetto wallet) mediate l’iscrizione a piattaforme on-line (exchange) che fungono da vere e proprie cambia valute.
Una volta collegato a un conto corrente bancario o a una carta di credito, questi particolari siti consentono lo scambio di valute virtuali dietro corrispettivo di un prezzo.
Effettuato l’acquisto, le monete digitali possono essere conservate all’interno del proprio conto virtuale; il proprietario avrà così la possibilità di:
- riconvertirle in euro (o nella propria valuta);
- utilizzarle per effettuare pagamenti in favore di altri soggetti (anch’essi titolari di un conto virtuale) che le accetteranno come mezzo di scambio.
Insomma: collegandosi ad appositi siti (cosiddetti exchanger) che fungono da veri cambia-valute, è possibile pagare per convertire moneta corrente in criptovaluta, ad esempio in bitcoin.
Investire in criptovalute può essere reato?
Secondo la Corte di Cassazione [1], investire in bitcoin il denaro ottenuto dalla commissione di un delitto costituisce il grave reato di autoriciclaggio.
Ciò accade in quanto questo tipo di condotta è evidentemente volta a occultare il profitto derivante da un’attività illecita, o comunque a renderne più difficile il ritrovamento.
Spieghiamo più nel dettaglio quanto detto sinora.
Cos’è il reato di autoriciclaggio?
Commette il reato di autoriciclaggio chi, avendo commesso o contribuito a commettere un delitto doloso, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa [2].
Viene esclusa la punibilità dell’autoriciclaggio solamente se il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale: in altre parole, se non vengono reimpiegati al fine di ostacolare l’individuazione della provenienza.
Carlo, dopo aver rubato del denaro, lo utilizza per gli acquisti di tutti i giorni.
Chi investe in criptovalute il denaro ottenuto rubando, truffando o commettendo qualsiasi altro tipo di delitto, commette proprio il reato di autoriciclaggio perché ha come scopo quello di “allontanare” il ricavo illecito dal delitto da cui proviene, rendendone più difficile il ritrovamento.
Insomma: c’è autoriciclaggio quando ci si sbarazza del bottino investendolo altrove.
Autoriciclaggio e riciclaggio: qual è la differenza?
L’autoriciclaggio si differenzia dal riciclaggio (anch’esso reato) in quanto il soggetto responsabile è lo stesso che ha commesso il delitto da cui sono derivanti i proventi successivamente occultati (ad esempio, attraverso investimento in bitcoin).
Paolo investe in criptovalute i soldi che ha ottenuto da una serie di truffe che ha commesso in internet.
Nel reato di riciclaggio, invece, colui che “opera” mediante i proventi illeciti è un soggetto diverso da chi ha ottenuto illegittimamente tali beni.
Tommaso investe in bitcoin i soldi di una rapina che gli sono stati consegnati da Gianluca.
Va da sé che per punire il colpevole di riciclaggio bisognerà dimostrare che le risorse da lui impiegate siano proprio quelle che gli sono arrivate dai reati compiuti da terzi. Questi ultimi non potranno invece essere condannati per riciclaggio.
Insomma: mentre il riciclaggio presuppone almeno due persone diverse (chi ha commesso il reato da cui deriva il provento e chi investe detto guadagno) nell’autoriciclaggio è sufficiente un unico soggetto, il quale prima si procura da sé il provento illecito e poi lo investe.
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