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In quali casi il responsabile di un danno non paga il risarcimento?

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(@mariano-acquaviva)
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Tutte le ipotesi in cui non si è tenuti a pagare per il danno causato: dal minorenne al dipendente, passando per la legittima difesa e lo stato di necessità.

Chi rompe paga. Questo detto popolare esprime perfettamente ciò che stabilisce la legge: chi è causa di un danno deve pagare il risarcimento, anche se il danneggiamento è frutto di una condotta non voluta. È il classico caso del sinistro stradale commesso per imprudenza o per inesperienza. Questa regola trova però delle eccezioni. In quali casi il responsabile di un danno non paga il risarcimento?

La prima ipotesi che sovviene è sicuramente quella del minorenne: in questo caso il responsabile diretto non paga nulla, ma l’obbligazione si trasferisce in capo ai genitori o a coloro che avrebbero dovuto vigilare. Esistono tuttavia altri casi in cui non si risponde del proprio danno. Vediamo quali sono.

Il minorenne è responsabile dei propri danni?

Come appena ricordato, il minorenne non è chiamato a risarcire i danni di cui è stato causa: al suo posto rispondono i genitori o, in mancanza, i soggetti a cui il minore è stato affidato [1].

Si tratta di una responsabilità collegata non alla mancata vigilanza sul minore ma alla cattiva educazione che gli è stata impartita.

Si parla in questi casi di “colpa in educando”: il genitore risarcisce al posto del figlio perché si presume che, se questi gli avesse impartito una corretta disciplina, non avrebbe provocato il danno che poi ha effettivamente causato.

Presupposto fondamentale della responsabilità dei genitori per i danni dei propri figli è che costoro vivano con essi: pertanto, non deve pagare nulla il genitore del minorenne che è stato affidato ad altre persone.

I genitori possono liberarsi da responsabilità solo se dimostrano di non aver potuto impedire il fatto in alcun modo.

È il caso del bambino che, nonostante la sorveglianza dei genitori, impaurito dalla presenza di un cane di grossa taglia appena entrato nel locale, lascia cadere un bicchiere a terra, rompendolo.

Gli incapaci risarciscono i danni che hanno causato?

Quanto appena detto a proposito dei minorenni vale anche per le persone incapaci di intendere e di volere; in casi del genere sono tenuti al risarcimento coloro che avrebbero dovuto sorvegliare su costoro [2].

In questa ipotesi si parla di “culpa in vigilando”, in quanto la responsabilità è connessa non alla cattiva educazione impartita quanto piuttosto alla disattenzione nel controllare le azioni del soggetto incapace.

La differenza con la responsabilità per i danni dei minorenni sta nel fatto che questi ultimi non sono (sempre) incapaci di intendere e di volere: la responsabilità dei genitori prescinde infatti dall’incapacità dei propri figli.

La legge stabilisce che il “sorvegliante” può esimersi dall’obbligo di pagare i danni se dimostra di non aver potuto impedire il fatto.

È il caso del tutore della persona affetta da schizofrenia che, nonostante abbia fatto di tutto per impedire che l’interdetto, in un eccesso d’ira, compisse un illecito, non è riuscito a evitare il danno.

In un’ipotesi del genere, la legge dice che il giudice può condannare l’incapace a pagare un’indennità, tenuto conto delle sue condizioni economiche.

L’indennità non è equiparabile al risarcimento vero e proprio, in quanto si tratta di un ristoro minore, spesso simbolico.

Il danno da legittima difesa

La legge esclude che debba pagare il risarcimento chi ha causato un danno per legittima difesa di sé o di altri [3].

Si pensi alla donna che, per sfuggire a una violenza, sferri un calcio al suo aggressore: in un caso del genere, sicuramente non dovrà pagare alcun risarcimento per l’eventuale lesione provocata.

Lo stesso dicasi se, per evitare che i ladri scappino con la refurtiva, il derubato buchi le ruote dell’auto con cui i malviventi hanno intenzione di fuggire.

Stato di necessità e risarcimento dei danni

Secondo la legge [4], non deve pagare il risarcimento ma solo un indennizzo chi ha causato un danno costrettovi dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo imminente di un danno grave alla persona.

Si pensi a chi, trovandosi in strada a piedi, per sfuggire a una violentissima tromba d’aria, rompa la finestra di un’abitazione al pianterreno per trovare rifugio all’interno; oppure all’uomo che, per salvarsi dalle fiamme improvvisamente divampate in un edificio pubblico, mandi in frantumi la porta che lo separava dall’uscita.

La differenza con la legittima difesa di cui sopra sta nel fatto che, in queste ipotesi, il danno è provocato a un soggetto che nulla c’entra con lo stato di pericolo in cui si trova il danneggiante.

In altre parole, mentre la legittima difesa esime dall’obbligo di pagare il risarcimento perché il danno è stata causato direttamente all’aggressore (“chi è causa del suo male pianga sé stesso”, verrebbe da dire), lo stato di necessità esime dal pagamento in quanto il danneggiante ha agito per salvare sé stesso da un pericolo causato non dal danneggiato ma da altri (o da nessuno in particolare, come nell’ipotesi di chi si ripara in casa altrui per fuggire a una calamità naturale).

Ecco perché, nel caso di danno causato da chi si trova in stato di necessità, è dovuto al massimo un indennizzo.

I dipendenti sono responsabili dei danni causati?

Secondo la legge, è il datore di lavoro a rispondere dei danni causati dai suoi dipendenti mentre sono in servizio [5].

Classico esempio è quello del cameriere che, nel servire ai tavoli, rovescia sbadatamente una pietanza su uno dei clienti, oppure dell’autista di camion che commette un incidente mentre trasporta delle merci in autostrada.

In queste ipotesi, il danneggiato potrà chiedere il risarcimento dei danni direttamente al datore di lavoro, il quale non potrà esimersi dal pagamento a meno che non dimostri che il danno è stato causato mentre il dipendente non era in servizio oppure per ragioni del tutto scollegate all’adempimento dei suoi doveri.

Tornando all’esempio del cameriere, se questi rovescia la minestra appositamente sulla camicia nuova del cliente perché tra i due c’era un litigio in corso, allora il datore potrà esimersi dimostrando che il danno non ha nulla a che vedere con il rapporto di lavoro.

 
Pubblicato : 17 Settembre 2023 09:00