Imposte e tasse del defunto: pagano gli eredi?
Non basta la dichiarazione di successione per trasferire il debito tributario: serve l’accettazione dell’eredità, che può essere espressa o tacita; ma il Fisco può stimolarla fissando un termine per decidere.
Tuo padre è morto. Ha lasciato diversi debiti, anche tributari, tra cui alcune cartelle esattoriali per Irpef e Iva, il bollo auto e l’Imu. Adesso tu, tua madre e tua sorella avete bisogno di sapere se per queste imposte e tasse del defunto pagano gli eredi o se invece esistono delle esclusioni ed esenzioni.
Il meccanismo è molto semplice e passa attraverso le decisioni dei familiari, che dopo la morte del loro congiunto sono dei semplici «chiamati all’eredità» e possono valutare – anche in base all’entità dei debiti – se accettarla o se rinunziarvi. In ogni caso, finché l’eredità non viene accettata (ma attenzione, perché ciò può avvenire in forma tacita) il Fisco non può avanzare pretese, nemmeno se nel frattempo è stata presentata la dichiarazione di successione; però, per evitare di rimanere in stand by a tempo indefinito, può stimolare i chiamati, fissando un termine per farli decidere se accettare o meno.
Quando si diventa eredi?
Con la morte di una persona si apre la sua successione e la chiamata all’eredità: l’acquisto della qualità di erede, però, non è automatico (ad esempio, per il solo fatto di essere coniugi, figli o nipoti della persona scomparsa): chi vuole diventare erede deve accettare l’eredità.
L’accettazione dell’eredità può avvenire in modo esplicito, ad esempio con un atto pubblico notarile, o anche in modo implicito, ossia tacito, semplicemente immettendosi nel possesso dei beni ereditari (immobili, autovetture, conti e depositi bancari, oggetti di valore, ecc.). Si può anche accettare l’eredità «con beneficio d’inventario», per valutare l’entità dei crediti e dei debiti; in questo caso l’erede risponderà dei debiti del defunto solo nel limite del valore del patrimonio attivo ereditato, così limitando rischi e responsabilità.
Accettazione dell’eredità e debiti tributari
Dal fondamentale principio secondo cui si diventa eredi solo a seguito di accettazione dell’eredità (espressa, tacita o con beneficio d’inventario) deriva una conseguenza molto importante: la giurisprudenza afferma che «la qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità» [1].
Quindi fino al momento in cui i chiamati all’eredità non avranno effettivamente accettato, i debiti – anche quelli tributari – gravanti sull’eredità stessa non si trasferiranno agli eredi. Proprio per evitare di assumere su di sé un patrimonio ereditario contenente debiti è prevista la possibilità di rinunciare all’eredità, così escludendo definitivamente la possibilità di accettazione (anche se è possibile fare, in un momento successivo, la revoca della rinuncia, se nel frattempo non sono subentrati altri chiamati all’eredità di grado ulteriore).
Eredità accettata: quali debiti tributari si pagano?
Con l’accettazione dell’eredità gli eredi sono tenuti – in proporzione alle rispettive quote ricevute, ma per alcune imposte, come l’Irpef, è prevista la solidarietà tributaria per l’intero importo dovuto [2] – al pagamento dei debiti tributari di qualsiasi tipo lasciati dal defunto: sono, però, escluse le sanzioni, che non si trasferiscono agli eredi.
Rimangono, perciò, dovuti gli importi “base” delle imposte e tasse non versate dalla persona scomparsa mentre era in vita, a meno che questi debiti non siano già andati in prescrizione (leggi qui quali sono i termini di prescrizione dei debiti fiscali).
Basta fare la dichiarazione di successione per diventare eredi?
La dichiarazione di successione non è sufficiente per far acquistare la qualità di eredi: è soltanto un adempimento di natura fiscale, che come tale non equivale affatto all’accettazione dell’eredità espressa o tacita.
In questo modo diventa possibile, per chi ha soltanto presentato la dichiarazione di successione ma non ha accettato l’eredità e pertanto non è diventato erede, rifiutarsi di pagare i debiti tributari lasciati dal defunto. Questo importante principio è stato affermato in una recente ordinanza della Cassazione [3], che ha annullato l’avviso di accertamento notificato al coniuge superstite e al figlio di un contribuente defunto, con il quale si chiedeva il pagamento di alcune annualità della tassa automobilistica su veicoli che erano di sua proprietà.
La Suprema Corte ha, così, accolto il ricorso presentato dalla vedova e dal figlio in opposizione alla richiesta di pagamento di quei bolli auto: il Collegio ha ribadito che la loro qualità di eredi non poteva desumersi, «in via presuntiva», dal solo fatto di aver presentato la denuncia di successione, ma occorreva che l’Amministrazione provasse un’effettiva accettazione dell’eredità da parte dei soggetti chiamati. Infatti le obbligazioni tributarie (così come i debiti privati) si trasferiscono agli eredi solo se e nel momento in cui l’eredità viene accettata, ma è sempre il creditore – nel nostro caso l’Amministrazione finanziaria, quindi l’Ente impositore titolare del tributo o l’Agente di Riscossione – a dover provare tale essenziale circostanza, e cioè che i nuovi debitori sono veramente diventati gli eredi, e non sono più soltanto dei semplici chiamati, come tali non tenuti a versare le imposte e tasse del defunto.
Anche per questo motivo è previsto, in favore del Fisco, uno strumento utile per rimuovere le situazioni di incertezza e di inerzia e riuscire ad azionare la pretesa impositiva nei confronti degli “aspiranti eredi” che non hanno ancora accettato e, pertanto, non sono divenuti tali: l’Amministrazione può chiedere di fissare un termine per l’accettazione dell’eredità da parte dei congiunti del defunto, e può anche far nominare un curatore dell’eredità giacente che nessuno ha reclamato [4].
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