Il tutore può prelevare la pensione dell’interdetto?
Mio padre, nominato tutore per via della mia patologia, ha sempre prelevato la mia pensione d’invalidità, anche ora che la Commissione medica Inps ha riscontrato un miglioramento delle mie condizioni. Cosa posso fare per dimostrare di essere capace di gestire il mio patrimonio e per ottenere da mio padre quanto prelevato?
Va innanzitutto fatta una doverosa precisazione: la tutela è dichiarata dal giudice con proprio provvedimento, a prescindere dalle risultanze delle visite sostenute presso la Commissione medica Inps. Ciò significa che, in teoria, anche se per la Commissione c’è un miglioramento delle condizioni dell’istante, il giudice potrebbe ritenere di dover mantenere la tutela a protezione della persona affetta da problemi di salute. In altre parole, la valutazione del magistrato non deve necessariamente seguire quella della Commissione medica.
Nel nominare il tutore, il giudice può stabilire che l’interdetto possa comunque compiere alcuni atti di ordinaria amministrazione. Così l’art. 427, primo comma, c.c.: «Nella sentenza che pronuncia l’interdizione o l’inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell’autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore».
Orbene, non avendo altri elementi a disposizione, dal quesito si evince che il padre, in passato, è stato nominato tutore con facoltà, tra l’altro, di poter prelevare la pensione e/o l’accompagnamento. A partire dal 2019, però, col corrispondere del miglioramento dello stato di salute del lettore, il giudice dovrebbe aver revocato la tutela.
Se è così, il padre avrebbe indebitamente prelevato e trattenuto la pensione del figlio. In altre parole, se il genitore, non essendo più tutore, ha continuato a gestire il patrimonio del figlio pur non avendone l’autorizzazione da parte del giudice, deve restituire ciò che ha preso.
Per fare ciò, occorre agire in sede giudiziaria con l’assistenza di un avvocato, dimostrando che, pur non avendo alcuna autorizzazione da parte del giudice, il padre prelevava e gestiva gli emolumenti previdenziali che l’Inps riconosceva.
Dal quesito sembra però emergere un altro problema, riguardante la necessità di dimostrare di poter gestire il proprio patrimonio.
In assenza di indicazioni più precise all’interno del quesito, possiamo distinguere due situazioni:
- se il figlio era sotto tutela perché interdetto e ora (o meglio, dal 2019) non lo è più, si presume che sia in grado di occuparsi di sé e del proprio patrimonio. Per legge, una volta raggiunta la maggiore età vige la presunzione di capacità di intendere e di volere. Pertanto, se non è più interdetto, né inabilitato o beneficiario di amministrazione di sostegno (i tre istituti giuridici previsti per la tutela degli incapaci), vorrà dire, automaticamente, che è capace di intendere e di volere e, pertanto, di poter gestire in autonomia il suo patrimonio. Da tanto deriva anche che il lettore è libero di intraprendere qualsiasi azione legale ritenga più opportuna, perfino nei confronti del padre, ex tutore;
- se, invece, il lettore è ancora interdetto o inabilitato, non potrà fare direttamente istanza al giudice tutelare (quello che, inizialmente, aveva aperto la tutela o la curatela, per intenderci) per chiedere la revoca della misura limitativa della Sua capacità. Ciò perché, ai sensi dell’art. 429 c.c., la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione possono essere chieste solo dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado o dagli affini entro il secondo grado, dal tutore dell’interdetto, dal curatore dell’inabilitato o su istanza del pubblico ministero. Al contrario, l’art. 413 c.c. consente al beneficiario dell’amministrazione di sostegno di fare egli stesso istanza al giudice per chiederne la revoca.
Pertanto, se attualmente il lettore è sottoposto ancora a una di queste misure di protezione della persona incapace, per liberarsene occorre un provvedimento di revoca del giudice che le ha disposte. Se è ancora interdetto o inabilitato, non potrà fare direttamente istanza al tribunale: potrà rivolgersi a un parente (anche un cugino o uno zio) affinché agisca nel suo interesse, oppure potrà fare istanza al pubblico ministero, il quale può presentare istanza al giudice tutelare.
Se invece è sottoposto ad amministrazione di sostegno, allora potrà agire in autonomia per presentare suddetta istanza al giudice.
Peraltro, la legge fa obbligo al giudice di vegliare sull’incapace, verificando il permanere delle cause che giustificarono la misura. Così il secondo comma dell’art. 429 c.c.: «Il giudice tutelare deve vigilare per riconoscere se la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione continui. Se ritiene che sia venuta meno, deve informarne il pubblico ministero».
Per dimostrare di essere capace di gestire il suo patrimonio, la richiesta dovrà essere accompagnata da documentazione medica che dimostri il miglioramento delle Sue condizioni di salute. Oltre al verbale della Commissione Inps che riconosce un minor grado di invalidità, potrà produrre ogni altro documento da cui si evince la Sua autonomia. Anche la perizia di un medico-legale potrà andar bene.
Peraltro, come detto in apertura, il giudice ha ampia discrezionalità: potrà pertanto disporre la comparizione del lettore per sincerarsi di persona delle condizioni di salute, potendo perfino disporre una Ctu medica per verificare il grado di capacità. In altre parole, se il giudice ritiene che occorra un approfondimento, può nominare un proprio medico legale affinché sottoponga a visita il lettore.
Va peraltro aggiunto un aspetto molto importante: anche qualora il padre fosse ancora legittimamente tutore, il giudice dovrà valutare la bontà del suo operato. Il tutore, infatti, così come il curatore e l’amministratore di sostegno, può gestire il patrimonio dell’incapace solo ed esclusivamente nell’interesse di quest’ultimo. Non è un caso che, annualmente, chi si occupa dell’incapace deve presentare un rendiconto.
Ciò significa che, un’eventuale istanza rivolta al giudice per verificare la capacità del lettore, potrebbe mettere in rilievo anche eventuali errori di gestione del padre, con conseguente revoca dell’incarico (qualora ciò non fosse già avvenuto).
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Mariano Acquaviva
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