Il pascolo fa scattare per l’usucapione?
Quando scatta l’usucapione di un terreno? La coltivazione e l’allevamento del bestiame.
Sono frequenti le cause di usucapione sui terreni. E in tali ipotesi l’onere della prova è anche più semplice rispetto all’usucapione su un appartamento. Difatti i terreni, a dispetto delle abitazioni, sono a volte assai ampi e difficilmente controllabili. Sicché non è raro che qualcuno possa invadere l’altrui proprietà e utilizzarla apertamente come se fosse propria per almeno 20 anni.
Ci si chiede però spesso quando scatta l’usucapione di un terreno. Il problema si è posto più volte per la coltivazione (con riferimento alla quale la Cassazione ha dato risposta negativa: la semplice coltura di un fondo non basta per l’usucapione). Di recente invece la medesima questione si è ripresentata con riferimento all’allevamento del bestiame: il pascolo fa scattare per l’usucapione? A occuparsi di tale tematica è stata l’ordinanza n. 17469 del 19.06.2023 con cui la Suprema Corte si è espressa appunto su tale delicato e controverso tema. Ecco cosa è stato detto.
Cosa significa “usucapione”?
L’usucapione è un meccanismo giuridico che permette l’acquisizione della proprietà di un bene altrui attraverso il possesso continuativo per almeno 20 anni. Nell’arco di questo tempo, il proprietario del bene non deve averne mai reclamato la restituzione con un’azione giudiziaria (la semplice diffida con raccomandata non basta).
Non basta però il semplice possesso. Esso si deve accompagnare ad atti di esercizio del potere tipico del proprietario: atti cioè che manifestino esteriormente, e alla luce del giorno, l’intenzione di comportarsi sul bene come se si fosse l’unico titolare, arrogandosi dei poteri che la legge altrimenti non attribuirebbe al semplice detentore. Si pensi al comportamento di chi recinta un fondo e lo dota di un cancello senza consegnarne le chiavi al proprietario, oppure vi esegue opere straordinarie e interventi come la demolizione di un casolare, l’abbattimento di albero, lo spianamento di pendii, la mutazione di destinazione d’uso e così via.
Così, ad esempio, il fatto di passeggiare su un viale altrui non basta per l’usucapione.
La coltivazione fa scattare l’usucapione?
Secondo la Cassazione, per l’usucapione di un terreno non basta la semplice coltivazione. La ragione è semplice: tale attività potrebbe essere semplicemente tollerata dal proprietario, il quale, per spirito di accondiscendenza, potrebbe non voler agire contro il detentore.
Leggi sul punto Usucapione di un terreno: come funziona
Proprio di recente la Cassazione (sent. n. 30438/2022) ha detto che: «in relazione alla domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà di un fondo destinato ad uso agricolo non è sufficiente, ai fini della prova del possesso uti dominus del bene, la sua mera coltivazione, poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprime, comunque, un’attività idonea a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l’espressione tipica del diritto di proprietà».
Il pascolo può essere considerato un valido motivo per l’usucapione?
Secondo la sentenza della Corte di Cassazione menzionata sopra, l’attività di pascolo su un terreno non basta per l’acquisto della proprietà per usucapione. In altre parole, la mera tolleranza dell’uso di un’area non recintata per il pascolo non è sufficiente a dimostrare il possesso utile per l’usucapione. E ciò perché – così come per la coltivazione – tale attività potrebbe essere il frutto della mera tolleranza del proprietario.
Gli atti di tolleranza sono quelli che permettono un godimento modesto del bene e che incidono debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possessore. Il pascolo, in questo caso, può essere considerato un atto di tolleranza.
Per valutare se un’attività è fatta con tolleranza, si deve considerare la durata dell’attività stessa. Se essa è prolungata, difficilmente può parlarsi di tolleranza e dunque potrebbe scattare l’usucapione.
Sulla base di queste motivazioni, la Suprema Corte ha ribadito che l’attività di pascolo, in assenza di un atto apprensivo della proprietà, è inidonea a far scattare l’usucapione.
Per esemplificare, immaginiamo un individuo che, per decenni, abbia utilizzato un terreno non recintato di un altro per far pascolare il proprio bestiame. Questo individuo, dopo un lungo periodo di tempo, decide di rivendicare la proprietà del terreno sulla base dell’usucapione. La Corte di Cassazione, alla luce della recente sentenza, potrebbe non riconoscere l’usucapione, poiché l’individuo non ha dimostrato un’intenzione inequivocabile di possedere il terreno, ma ha semplicemente usufruito della tolleranza del proprietario per far pascolare il bestiame.
I precedenti della Cassazione: pascolo e usucapione
La pronuncia appena menzionata non è la prima che afferma tale principio. Già con ordinanza n. 25498/2014 la Cassazione aveva detto non si può parlare di una «piena ed indiscussa signoria di fatto su un terreno di ampia dimensione (nella specie, trecento ettari) nella condotta di conduzione al pascolo di un numero esiguo di bovini (nella specie, dieci), nonché nella realizzazione di modeste opere accessorie (quali la costruzione di tratti di recinzione per non far disperdere gli animali e il riadattamento di un manufatto per custodirvi il mangime), trattandosi di attività qualitativamente e quantitativamente non corrispondenti all’esistenza di un completo dominio sulla cosa, necessario ai fini dell’acquisto della proprietà per usucapione, tanto più ove esse coesistano con condotte di sorveglianza, custodia, sopralluogo e rilievo poste in essere dal proprietario».
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