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Il giudice decide chi ha ragione?

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(@angelo-greco)
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Al giudice non interessa la verità ma quale delle due parti in giudizio rappresenta meglio la propria posizione.

Chi crede nella giustizia come a un valore oggettivo e assoluto potrebbe rimanere fortemente deluso dalla lettura del seguente articolo. Difatti, a ben vedere, in una causa, il giudice non decide chi ha ragione ma semplicemente chi, tra le parti, si sa difendere meglio, sa articolare le domande, sa trovare le prove, il tutto nel rispetto delle regole processuali. Potrà sembrare strano ma serie di principi che regolano il processo civile impediscono al magistrato di cercare la verità. Cerchiamo di argomentare meglio la questione.

Il principio di corrispondenza tra chiesto e giudicato

Il primo limite che incontra il giudice è quello di attenersi alle domande delle parti e non poter suggerire una terza soluzione che gli appaia più corretta. È il cosiddetto principio di corrispondenza tra “chiesto” e “giudicato” ossia tra quanto richiede una parte e la sentenza. 

Ipotizziamo che Tizio subisca un incidente stradale e che, non avendo ottenuto alcun risarcimento dalla propria assicurazione, decida di farle causa. In giudizio, Tizio chiede il rimborso delle spese necessarie alla riparazione del mezzo. Tizio però non domanda alcun ristoro per i cinque giorni in cui è dovuto rimanere a casa col collare, conseguenza del contraccolpo per il tamponamento. Il giudice, pur a conoscenza di ciò, non potrà riconoscergli tali somme in quanto non espressamente richieste da Tizio.

Ipotizziamo invece che Tizio domandi anche il risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura di 3.000 euro. Il giudice, pur ritenendo che il danno ammonti a 5.000 euro, non potrà superare la richiesta di Tizio. E quindi potrà accordargli solo 3.000 euro.

Il principio dell’onere della prova

Il giudice non può suggerire alle parti la migliore strategia da adottare per far valere le proprie ragioni, anche laddove queste siano evidenti e scontate. Non può indicare loro le prove da esibire o richiederle egli stesso. Nel processo civile infatti – a differenza di quello penale – vige il principio dispositivo in base al quale il giudice deve porre a fondamento della sua decisione solo le prove proposte dalle parti nonché i fatti non contestati dalle parti stesse.

Tutto ciò ha un’altra importante implicazione: salvo rare eccezioni, l’onere della prova è a carico di chi fa valere un diritto. È questi a dover dimostrare l’esistenza dei presupposti di legge che consentono la tutela del diritto stesso. Diversamente, anche quando le sue ragioni siano palesi, il giudice non potrà dargli ragione.

Caio licenzia un dipendente, Sempronio, perché colpevole di furto dei beni aziendali. Sempronio impugna il licenziamento. Nel relativo giudizio, Caio dimentica di produrre i video che dimostrano l’appropriazione di tali beni. Il giudice dovrà reintegrare il dipendente per assenza di prove del fatto giustificativo del licenziamento.

Rispetto dei termini

Spesso l’esercizio di un diritto è subordinato al rispetto dei termini: termini di decadenza e prescrizione. Così, se anche l’esistenza del diritto è scontata, il giudice che rilevi il ritardo compiuto dalla parte processuale dovrà negare la tutela del diritto.

Caio acquista una casa ma dopo qualche mese si accorge di gravi difetti di costruzione. Contesta il vizio al costruttore ma gli fa causa solo dopo 14 mesi, così violando la norma che gli impone di rispettare il termine di un anno. Il giudice, pur in presenza della prova dei vizi dell’immobile, dovrà rigettare la domanda di Caio.

Mevio non paga le quote condominiali poiché non è stato convocato all’assemblea per l’approvazione del bilancio. Dinanzi al decreto ingiuntivo che il condominio gli notifica, Mevio fa opposizione. Ma il giudice gli dà torto. Mevio infatti aveva 30 giorni per contestare l’assemblea: non avendolo fatto è decaduto dai termini e quindi dalla possibilità di eccepire i vizi della delibera.

Violazione delle regole processuali

Il processo civile è di tipo formalistico e, per di più, segmentato in “fasi” ciascuna delle quali è caratterizzata da termini perentori. Chi non rispetta tali regole non può far valere i propri diritti. 

Ipotizziamo il caso di Gennaro, vittima di un incidente stradale. Con l’atto di citazione chiede solo il risarcimento del danno biologico ma, in corso di istruttoria, formula anche richiesta di risarcimento del danno morale. La sua domanda è ormai tardiva e, pur dinanzi alla prova della sussistenza di tale danno, la stessa non potrà essere accolta.

Gaspare perde in primo grado solo perché il suo avvocato ha dimenticato di produrre un documento e di chiedere l’escussione di alcuni testimoni. Gaspare non può integrare la prova in appello perché la legge processuale glielo vieta. 

 
Pubblicato : 4 Ottobre 2023 15:45