Il dipendente può accedere alle indagini investigative del datore?
Privacy nelle indagini aziendali: il diritto di accesso ai filmati e ai dati che lo riguardano raccolti da un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro.
La Cassazione ritiene legittime le indagini investigative delegate dal datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Tanto al fine di accertare eventuali comportamenti infedeli al di fuori dell’orario di lavoro come nel caso del falso certificato medico o dell’attività svolta in concorrenza con l’azienda.
Il detective può quindi pedinare il dipendente, controllare le sue mosse, fotografarlo, riprenderlo e poi consegnare il report al datore di lavoro per l’eventuale irrogazione della sanzione disciplinare.
Ci si è chiesto se il dipendente può accedere alle indagini investigative: se cioè ha diritto di visionare i documenti, i filmati e qualsiasi altro materiale in possesso del datore di lavoro al fine di difendersi e prendere le adeguate contromisure in caso di contenzioso.
La risposta a questo interessante quesito è stata fornita dal Garante della Privacy in un provvedimento del 6 luglio 2023 n. 290 reso pubblico il successivo 11 settembre. Vediamo cosa è scritto in tale documento e quali sono i diritti del dipendente in tema di privacy e di accesso ai dati che lo riguardano.
Qual è stata la decisione del Garante della Privacy?
Il Garante della Privacy ha stabilito che ogni lavoratore ha il diritto di accesso ai propri dati personaliraccolti da un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro.
La decisione è scaturita da un’irregolarità segnalata da un lavoratore nei confronti di un’azienda che aveva “secretato” le indagini compiute nei suoi confronti. Quest’ultimo, dopo aver ricevuto una contestazione disciplinare basata su presente attività illecite extra lavorative, aveva chiesto di visionare il fascicolo che lo riguardava, ricevendo tuttavia un secco diniego. Il datore aveva liquidato la richiesta dell’interessato di accedere al report investigativo deducendo che la stessa era basata su motivazioni troppo generiche.
Come è intervenuto il Garante?
Il Garante ha dichiarato che l’azienda aveva il dovere di mostrare al dipendente tutti i dati raccolti, non solo quelli citati nella contestazione disciplinare. Ciò includeva anche fotografie, informazioni GPS, descrizioni e altre evidenze raccolte, in quanto potevano essere fondamentali per il diritto di difesa del dipendente.
Ci sono state conseguenze per l’azienda?
Sì. L’azienda è stata multata per 10mila euro. Questa sanzione è stata determinata dalla violazione dell’obbligo di trasparenza e correttezza, e dal non aver fornito al dipendente l’origine dei dati raccolti.
Come motivare la richiesta di accesso alla relazione investigativa?
A garantire il diritto di accesso del dipendente sono gli articoli 12 e 15 del Regolamento europeo sulla Privacy (GDPR).
Non dimentichiamo infatti che immagini e filmati, rilevazioni eseguite col navigatore satellitare e, in generale, qualsiasi informazione assunta dall’investigatore nei confronti del dipendente rivestono il carattere di “dato personale”. Perciò al relativo interessato deve essere sempre garantito il diritto di accesso per come previsto dalla legge.
L’Autorità Garante ha pertanto ricordato che il titolare del trattamento è tenuto a fornire l’accesso ai dati personali del dipendente in forma completa e aggiornata, indicando anche l’origine dei dati qualora non siano raccolti direttamente dal titolare del trattamento presso l’interessato.
Il datore non può subordinare il riscontro all’istanza di accesso a indicazioni dettagliate da parte dell’interessato dei documenti cui si chiede di accedere.
Quali lezioni possiamo trarre da questo episodio?
Immaginiamo un dipendente, Marco. Marco viene licenziato a causa di comportamenti sospetti fuori dall’orario di lavoro. Se l’azienda ha utilizzato un’agenzia investigativa per raccogliere dati su di lui, Marco ha il diritto di conoscere tutte le informazioni assunte, indipendentemente da come queste influenzano la sua contestazione disciplinare. La negazione di questo diritto potrebbe costare all’azienda una sanzione considerevole. Il provvedimento disciplinare però risulterebbe difficilmente contestabile, se non si dimostra di non aver potuto esercitare correttamente, e per tempo, il proprio diritto di difesa.
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