Il concorso del convivente nel reato di detenzione dell’arma
In tema di reati concernenti le armi, la semplice coabitazione con l’illegittimo detentore dell’arma è sufficiente a configurare un concorso nella detenzione abusiva?
Quando si sente parlare di concorso nel reato, spesso si crede che esso sia rintracciabile su basi oggettive: la mamma o la moglie dello spacciatore concorre nel reato di spaccio perché è a conoscenza del traffico del figlio o del marito solo perché la droga si trova in casa; il fidanzato concorre nel furto della compagna perché era presente quando quest’ultima rubava un articolo al centro commerciale, e così via. In realtà non è così, e in questo articolo cercheremo di spiegare perché, traendo spunto da un altro esempio tipico, ossia quello della accusa di concorso del convivente nel reato di detenzione dell’arma.
Quando può parlarsi di contributo rilevante penalmente?
Nella struttura del concorso di persone nel reato non è necessario il previo accordo per la commissione dell’illecito, dal momento che l’aggregazione concorsuale può avvenire anche per una successiva, addirittura improvvisa, convergenza di intenti. È necessario però che la condotta del compartecipe si traduca in un contributo causalmente rilevante. La semplice connivenza, ossia la tolleranza o la assistenza passiva, non basta. La stessa cosa può essere detta per la ipotesi di un’attività che, pur se diretta a favorire l’autore del reato, intervenga dopo la commissione dello stesso; di qui si parla di irrilevanza del contributo fornito. Al contrario, però, si parla di concorso nel reato se la presenza del soggetto diverso dall’autore del reato si trasforma in un aiuto all’azione, nel senso che rafforza o agevola il proposito criminoso altrui.
Esiste il concorso del familiare convivente?
Bisogna fare una precisazione. La giurisprudenza esclude il concorso del familiare convivente nell’ipotesi di detenzione di spaccio di stupefacenti, non potendosi desumere la responsabilità a titolo di concorso dalla circostanza che la droga sia custodita in luoghi accessibili della casa familiare, dal momento che la mera tolleranza non può essere assunta quale prova del concorso morale, punito dalla legge. Nessun obbligo specifico di denuncia grava sui conviventi del detentore di sostanza stupefacente, neanche nel caso in cui l’autore, che chiameremo autore principale, non usi alcuna accortezza al fine di tenere nascosta l’attività criminale posta in essere. Ipotesi diversa è quella del concorso di persone nel reato di violenza sessuale: in questo caso, anche in ragione del diverso bene giuridico tutelato, la giurisprudenza ha precisato come il ruolo del familiare convivente venga a inquadrarsi nell’ambito del concorso nel reato nel caso in cui il familiare sia si, assente nel luogo del fatto, ma, pur consapevole dell’abuso, tenga una condotta passiva.
Esiste il concorso nel caso di detenzione dell’arma da parte del convivente?
In questo caso la giurisprudenza esclude che la mera libera presenza in casa di un’arma comune da sparo configuri a carico del familiare convivente non autore del reato l’ipotesi di detenzione abusiva, poiché la nozione di detenzione in quest’ottica implica un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene, motivo per il quale la condotta del familiare convivente viene semmai ricondotta all’interno della fattispecie contravvenzionale di omessa denuncia di cui all’articolo 697 del codice penale. Attenzione però: è vero infatti che la semplice consapevolezza che altri siano armati non integra la fattispecie di concorso, essendo necessario dimostrare la coscienza e la volontà di aiutare il convivente nella commissione dell’illecito. Esiste pur sempre un dubbio, ed è rappresentato dalla possibilità che il convivente in questione possa disporre anche autonomamente dell’arma detenuta dall’autore principale. In questi casi infatti è lecito ritenere che possa configurarsi una ipotesi di co-responsabilità nella detenzione. Sul punto infatti negli ultimi anni la giurisprudenza tende a ritenere in questi casi punibile il concorso nella detenzione. In questo caso infatti, a prescindere o meno dalla possibile relazione tra il soggetto convivente e l’arma in questione, sussiste sempre un rapporto con l’arma che gli consente di averne la disponibilità senza che sia necessario che l’agente abbia con sé l’arma, nel caso in cui conosca il luogo nel quale è custodita e possa prelevarla secondo le proprie e libere determinazioni.
Un esempio può chiarire in conclusione il ragionamento: in linea generale il difetto dell’uso dell’arma da parte del convivente, ipotizziamo della moglie, depone a favore dell’esclusione del concorso; nondimeno il fatto che quest’ultima possa liberamente disporne, perché custodita in salotto, e che magari la stessa possa spostarla per effettuare le pulizie, integra perfettamente la ipotesi del concorso nel reato.
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