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Il commercialista può essere socio e amministratore?

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(@angelo-forte)
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Un commercialista è socio di minoranza di una srl in cui riveste anche il ruol odi amministratore (assieme ad altro socio). Si trova in situazione di incompatibilità? e se sì, può assumere incarico di ctu un un processo civile?

Punto di partenza imprescindibile per rispondere al suo quesito è il decreto legislativo n. 139 del 2005 cioè la legge professionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

L’articolo 4, comma 1, lettera c) del suddetto decreto legislativo stabilisce l’incompatibilità dell’esercizio della professione di dottore commercialista ed esperto contabile con l’esercizio, anche non prevalente, né abituale dell’attività di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni o servizi, intermediaria nella circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie, assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti.

Con riferimento a questa norma, il Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili adottò le “Note Interpretative su La disciplina delle incompatibilità di cui all’art. 4 del D. Lgs. 28/06/2005, n. 139” che costituiscono una sorta di guida esplicativa per consentire, ai consigli degli ordini territoriali nonché allo stesso Consiglio nazionale, di meglio districarsi allorché sia necessario decidere sulla compatibilità o meno degli iscritti agli albi (evidentemente anche ai fini delle decisioni da adottare in esito a giudizi disciplinari).

Ebbene, a pag. 16 e 17 di queste note (sub caso 11) viene chiaramente spiegato che è considerato in condizione di incompatibilità con l’esercizio della professione di dottore commercialista l’iscritto che:

  • sia socio con interesse prevalente in una società di capitali
  • e contemporaneamente, per quel che riguarda il quesito da lei posto, amministratore unico con ampi (o tutti) i poteri gestori.

Più nel dettaglio, le Note Interpretative chiariscono che è socio con interesse prevalente in una società di capitali l’iscritto all’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili che eserciti una influenza rilevante o notevole sulla società o ne abbia il controllo.

Ancor più nello specifico, sempre le Note Interpretative (e sempre a pag. 16 e 17, sub caso 11) stabiliscono che, quanto all’interesse prevalente, caratterizzato da influenza rilevante o notevole o da controllo della società:

  • vi è controllo della società se l’iscritto – socio di cui trattasi sia in grado di improntare con la propria volontà l’attività economica della stessa (come nel caso in cui vi sia: a) partecipazione maggioritaria al capitale della società oppure b) partecipazione minoritaria ma che consente comunque di far prevalere la propria volontà nell’assemblea ordinaria e quindi imprimere, attraverso la nomina di amministratori e sindaci, l’indirizzo amministrativo della società oppure c) particolari vincoli contrattuali di finanziamento o di locazione d’azienda o di fornitura che assicurano al soggetto la direzione amministrativa della società);
  • vi è influenza rilevante o notevole quando la volontà dell’iscritto – socio di cui trattasi possa impedire, anche di fatto, la diversa volontà degli altri soci anche se maggioritaria o di condizionare, di fatto o di diritto, le decisioni che la maggioranza sarebbe in grado di assumere.

Pertanto, concludendo sul punto, vi sarà incompatibilità tra l’esercizio della professione di dottore commercialista e la qualità di socio di società di capitali tutte le volte che, in base a comprovati elementi sostanziali (occorrerà dunque che vi siano prove di ciò) sia dimostrato (nel corso del giudizio disciplinare) che la persona in questione, oltre che socio, sia

  • amministratore unico (o presidente, o consigliere delegato o liquidatore) con tutti o ampi poteri gestori
  • e contemporaneamente abbia nella società un interesse prevalente (dato dalla posizione di controllo oppure di influenza rilevante o notevole come sopra definite e descritte).

Nel caso specifico da lei descritto, si potrebbe affermare sussistere la prima condizione (anche se il soggetto in questione non è amministratore unico) in quanto detiene tutti i poteri gestori come si evince dalla visura allegata.

Sull’esistenza o meno di un interesse prevalente, invece, gli elementi a disposizione non sono sufficienti per formulare un giudizio.

In ogni caso, quand’anche la persona di cui trattasi subisse un giudizio disciplinare dinanzi al competente Consiglio territoriale (giudizio che può essere avviato anche su sollecitazione di terzi), ai sensi del Codice deontologico professionale (articolo 9, commi 1,2,3 e 5) e del connesso Codice delle Sanzioni (articolo 16, commi 1 e 2), se fosse accertata ed acclarata la sua incompatibilità rischierebbe la sanzione della censura o, tutt’al più, in presenza di circostanze aggravanti, la sospensione dall’esercizio della professione per qualche mese.

E la sospensione dall’esercizio della professione non è mai retroattiva e non potrà perciò travolgere la validità della perizia che, nella qualità di consulente tecnico d’ufficio, il soggetto in questione avesse nel frattempo depositato relativamente ad un giudizio civile.

Il Codice di procedura civile, d’altra parte, non contempla l’incompatibilità professionale tra le cause che determinano l’obbligo di astensione del Ctu o la sua ricusazione su istanza di parte (vedasi articolo 192 del Codice di procedura civile).

Men che meno costituisce reato (abusivo esercizio di una professione: articolo 348 del Codice penale) la condotta di chi esercita la professione, avendone conseguito il titolo con l’abilitazione ed essendo regolarmente iscritto all’albo, in condizione di incompatibilità non ancora accertata e sanzionata dal competente ordine professionale (integrerebbe invece il reato di cui all’articolo 348 del Codice penale la condotta di chi sia stato sospeso, con sanzione disciplinare, dalla professione e nonostante questo ponga in essere, dopo la comminatoria della sanzione, atti tipici della professione: in questo senso Corte di Cassazione, sentenza n. 46.963 del 2021).

Se la sospensione dall’attività professionale fosse stata decisa dal competente ordine professionale prima del conferimento dell’incarico di Ctu, non solo la condotta del professionista che avesse accettato l’incarico nonostante la sospensione avrebbe integrato il reato di esercizio abusivo della professione, ma la perizia poi depositata sarebbe stata nulla (Tribunale di Siena, sentenza del 19.12.2019, con riferimento alla nullità della perizia depositata da ctu già sospeso all’atto del conferimento dell’incarico).

Nel suo caso, invece, l’incarico di ctu è stato conferito senza che fosse stata già decisa una sospensione dalla professione per il professionista in questione, ragion per cui la perizia depositata o da depositare è da considerarsi valida.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte

 
Pubblicato : 14 Aprile 2023 08:41