Flat Tax: la grave disparità tra autonomi e dipendenti
Con l’estensione della tassa piatta alle Partite Iva con guadagni da 85mila euro l’anno il Governo è riuscito a creare una discriminazione bella e buona.
In questi due giorni successivi all’approvazione della Manovra di bilancio, sono stati diversi e numerosi gli esponenti del Governo che in più occasioni, parlando ai giornalisti, ci hanno tenuto a specificare che si tratta di un insieme di misure volte ad aiutare i redditi medi, non solo quelli ricchi.
È un’affermazione quantomeno opinabile considerando che, in un momento delicato come quello attuale, dove l’inflazione, il caro energia, la disoccupazione e la chiusura delle aziende post Covid pesano enormemente sulle famiglie più disagiate, la Manovra non ha menzionato i poveri se non per dire che il reddito di cittadinanza è abolito dal 2024. Il fatto che Meloni non li abbia neanche presi in considerazione nella sua dichiarazione è un fattore determinante e chiaro. Andando a studiare le dichiarazioni fatte in conferenza stampa dalla Premier, infatti, è evidente che Meloni si è espressa proprio così: questa manovra aiuterà non i ricchi, ma i ceti medi. Nulla sui poveri. Un’impostazione che ha tutte le basi per essere, nel concreto, discriminante. E per capire come, partiamo dalla flat tax.
Come abbiamo più volte spiegato, il Governo ha esteso il regime forfettario – ossia la tassazione fissa al 15% – a tutti i titolari di partita Iva con redditi fino a 85mila euro. In pratica, questi contribuenti non pagheranno più l’Irpef in base al loro scaglione di reddito ma con una tassa fissa, sempre pari al 15%. Si tratta, come è facile comprendere, di un grosso regalo. Diversamente, un contribuente con un reddito di circa 85mila euro pagherebbe un’aliquota Irpef superiore al 47%, cioè più del triplo di tasse.
E fin qui, si potrebbe pensare di essere tutti felici e contenti. Di ciò si avvantaggeranno i professionisti che sono in crisi, primi tra tutti gli avvocati (tant’è che i giornali di oggi parlano proprio di una “flat tax” studiata per avvocati e altri professionisti). Ma anche gli imprenditori avrebbero i loro vantaggi.
Chi non ne potrà beneficiare invece, ancora una volta, sono i lavoratori dipendenti. Ora, è vero che un lavoratore dipendente che prende 85mila euro all’anno è difficile da trovare, ma ci sono quelli che prendono poco meno e che comunque hanno una tassazione pari al 47%, incluse le addizionali.
Qual è il risultato? Che ci sono contribuenti di serie A – i professionisti e i titolari di partita IVA – e contribuenti di serie B – ossia i dipendenti. Ai primi sarà concesso di pagare un terzo delle tasse degli altri che invece pagheranno il triplo.
Viene così a realizzarsi una separazione netta tra il regime fiscale di lavoratori dipendenti e pensionati, da un lato, e lavoratori autonomi e professionisti, dall’altro.
Ora qualcuno dei lettori si chiederà: Ma il Governo è uscito pazzo? Perché questa discriminazione se la Costituzione dice che siamo tutti uguali e che tutti dobbiamo pagare le tasse in base alle nostre capacità contributive? La ragione è di due tipi.
La prima. Il Governo presume che professionisti e partite Iva siano grandi evasori. Per cui – così pensa – se noi abbassiamo le imposte, renderemo l’evasione poco conveniente: a quel punto la gente preferirà regolarizzarsi, pagare quel poco e quindi non evadere. Quindi lo Stato incasserà di più. Ma qui c’è un errore di calcolo. Difatti, la dimensione dello sconto fiscale che si fa alle partite Iva, allo scopo di attrarre nella legalità gli evasori, è talmente grande che con ogni probabilità il guadagno di gettito che deriva da chi si regolarizzerà è largamente insufficiente a compensare la perdita di gettito da chi già pagava e che ora pagherà un terzo.
La seconda ragione è, ad avviso di chi scrive, questa (e forse è più condivisibile). Si dice sempre che in Italia il ceto medio è morto. Ma è anche vero che la nostra economia si è a lungo basata sulle micro e piccole imprese che hanno favorito il lavoro e la produzione. Quindi quando Meloni dice «favoriremo non i ricchi ma il ceto medio» intende dire che vuol rilanciare l’economia attraverso il sostegno a chi può assumere: i professionisti (che magari avranno bisogno di segretarie e collaboratori), i piccoli imprenditori (che avranno bisogno di uno o due dipendenti) e così via.
Ora però l’ironia della sorte è che l’aiuto al cedo medio si accompagna con la misura che prevede la riduzione del reddito di cittadinanza per il 2023 e la sua completa abolizione per il 2024. E in più arriva (forse) anche il bonus di 20mila euro per chi si sposerà.
E quindi il succo della cosa è questo: sposatevi pure con chi volete, ma sappiate che se siete senza soldi lo Stato non vi aiuterà.
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