Figlio si trasferisce dal padre: la madre deve pagare il mantenimento?
Assegno di mantenimento in favore dei figli e l’ultimo orientamento della Cassazione civile.
La regola generale è che in fase di separazione o regolamentazione affido minori, il genitore che vive con i figli ha diritto a percepire l’assegno di mantenimento da parte del genitore che andrà a vivere altrove, calcolato in base alle capacità reddituali del genitore e alle esigenze dei figli.
Solitamente i figli vengono “collocati” (ossia vivono) con la madre per cui sarà lei a dover ricevere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori da parte del padre.
In caso invece di figli maggiorenni il pagamento potrà avvenire direttamente in loro favore.
Nel caso in cui i figli, o solo uno di essi dovesse decidere di trasferirsi in un secondo momento, presso l’altro genitore, quest’ultimo potrà chiedere al giudice di non pagare più l’assegno in quanto uno dei figli non vive più stabilmente con il genitore collocatario.
Fino a qualche giorno fa non ci sarebbe stato alcun dubbio: il Giudice appurato il venir meno dei presupposti per la corresponsione dell’assegno di mantenimento in favore di quel figlio che si è trasferito, avrebbe revocato l’obbligo di pagamento dell’assegno e anzi avrebbe disposto il pagamento a carico dell’altro genitore (ormai non più collocatario), su domanda di parte ricorrente. Ma la Cassazione ha cambiato rotta! Procediamo con ordine.
Cosa s’intende per assegno di mantenimento?
L’assegno di mantenimento in favore dei figli è quella spesa ordinaria che il genitore che non vive con i figli deve versare al genitore che con loro ci vive, per sostenere in egual misura le spese che riguardano tutto quanto sia determinabile al momento della separazione o della regolamentazione dell’affido, sono le cosiddette spese ordinarie che riguardano ad es. scuola, medicinali da banco, spese di trasporto urbano, vitto, abbigliamento, ecc..
Dall’assegno di mantenimento (ordinario) vanno escluse tutte le spese che non possono essere determinate perché imprevedibili o sopravvenute che invece sono comprese nel pagamento delle c.d. spese straordinarie che vengono pagate solitamente al 50% da entrambi i genitori, salvo che non sia disposto diversamente dalle parti o dal Giudice (es. 70% il padre e 30% la madre).
Di recente la Cassazione ha statuito che nell’assegno di mantenimento ordinario dovrà essere compresa anche la spesa riguardante le tasse universitarie.
Tuttavia i diversi Tribunali hanno elaborato dei protocolli (delle linee guida) che stabiliscono quali debbano considerarsi spese ordinarie e quali spese straordinarie, evitando così confusione e litigi tra i genitori soprattutto in merito al rimborso delle straordinarie.
Come si stabilisce l’assegno di mantenimento?
La norma a cui dovrai fare riferimento è il 337 ter comma 4 del codice civile. In base a questo articolo il Giudice deve disporre la misura e il modo in cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento dei figli.
Ogni genitore dovrà contribuire in misura proporzionale al proprio reddito, dunque verranno presi in considerazione diversi parametri tra cui:
- reddito da lavoro (anche in nero);
- eventuali erogazioni da parte dello Stato percepite dal genitore;
- immobili tenuti in locazione e altre proprietà dei genitori;
- esigenze attuali dei figli;
- tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dai figli;
- tempo di permanenza presso ciascun genitore.
Inoltre l’assegno di mantenimento è adeguato automaticamente agli indici ISTAT o in base a quanto indicato dalle parti o stabilito dal Giudice.
Chi versa l’assegno di mantenimento?
Il genitore che è obbligato a pagare l’assegno di mantenimento in favore dei figli è quello che con loro non ci vive. In gergo giuridico colui che deve pagare è il genitore non “collocatario”.
Dunque può essere sia la madre che il padre, dipende chi vivrà con i figli e chi invece andrà via.
Questo però non vorrà dire che il genitore che vive con i figli non deve sostenere le spese ordinarie, lo farà ma senza corrispondere un assegno all’altro.
Fin quando devo versare l’assegno di mantenimento?
Sfatiamo un falso mito, non è con la maggiore età che cessa l’assegno di mantenimento.
La Cassazione, con una recente decisione la n. 358/2023, ha stabilito un limite d’età aldilà del quale è difficile andare per poter continuare ad ottenere l’assegno.
Ha identificato sulla base di statistiche ufficiali, nazionali ed Europee, che oltre la soglia dei 34 anni, lo stato di non occupazione dei figli maggiorenni non può essere considerato un elemento su cui basare il diritto al mantenimento.
Dunque il figlio ultra trentenne potrà perdere il diritto ad ottenere la corresponsione dell’assegno di mantenimento; e qualora in giudizio dovesse provare di aver fatto tutto il possibile per trovare un lavoro confacente alle proprie aspettative di vita e ai propri studi, ma non sia riuscito nello scopo per una causa estranea alla sua volontà, ciò non lo giustificherebbe in ragione dell’età avanzata, dunque sarebbe il caso che s’impegnasse a trovare un lavoro retribuito anche diverso rispetto al proprio progetto di vita.
Tuttavia aldilà del limite d’età cui si riferisce la Cassazione, per i figli maggiorenni varrà sempre la regola secondo cui: il figlio che non s’impegna nello studio o nella ricerca di un lavoro che gli possa garantire un’autosufficienza economica, non godrà più dell’assegno, salvo che provi di essersi impegnato nel raggiungere il predetto scopo ma le condizioni avverse della società comunque non hanno consentito di realizzare le sue aspettative.
La Cassazione ribadisce che l’obbligo alla corresponsione non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché il diritto del figlio si giustifica sempre nei limiti del raggiungimento dei progetti educativi e dei percorsi di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni.
Quand’è che il figlio raggiunge l’autosufficienza economica? Quando il figlio autonomamente provvederà al pagamento del vitto, dell’alloggio e delle altre spese ordinarie senza l’aiuto dei genitori. L’autosufficienza economica può essere raggiunta anche al raggiungimento della maggiore età per cui si potrà revocare l’obbligo di corresponsione dell’assegno.
Cosa accade se un figlio decide di trasferirsi dall’altro genitore?
Sino ad oggi la Cassazione aveva stabilito che se il figlio inizialmente collocato presso la madre si trasferiva dal padre, quest’ultimo poteva chiedere la revoca (o la riduzione) dell’assegno di mantenimento corrisposto alla madre per il figlio, chiedendo altresì che la madre fosse obbligata a corrisponderlo in base alle proprie capacità economiche.
Ed infatti a riprova di ciò è l’art. 147 del codice civile che dice che entrambi i genitori hanno l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.
L’obbligo di mantenimento di cui parla il 147 c.c. comprende l’obbligo di fornire tutto quanto necessario per la vita di relazione nel contesto sociale in cui i figli sono inseriti.
È la stessa Costituzione all’art. 30 che sancisce il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio.
Tuttavia la Cassazione sembra aver cambiato “rotta”: con l’ordinanza n. 1066/2023 ha rigettato il ricorso presentato dal padre che chiedeva la corresponsione dell’assegno di mantenimento a carico della madre, in quanto uno dei tre figli aveva deciso di trasferirsi presso di lui. La Corte ha così stabilito che la madre non dovrà pagare le spese ordinarie per il mantenimento del figlio ma dovrà sostenere solo il 50% delle spese straordinarie in favore dei figli.
La sentenza della Cassazione stabilisce non già che il genitore non collocatario non debba mai più pagare il mantenimento ma solo che tale obbligo va valutato caso per caso e non è automatico: esso scatta solo quando il genitore può permettersi di versare gli alimenti per il figlio. Pertanto in presenza di un genitore non collocatario privo di mezzi economici, il mantenimento del figlio ricade integralmente sull’altro.
La madre, nel caso trattato dalla Corte, era titolare di un esercizio commerciale di generi alimentari di nuova apertura, in quando aveva chiuso una precedente attività di ristorazione che non le portava frutti. L’attività della signora contava pochissimi clienti e la stessa non percepiva redditi sufficienti tali da poter disporre l’imposizione di un assegno a suo carico in favore del figlio.
La Cassazione non molto tempo prima, il 7 Febbraio 2023, aveva ribadito che “l’obbligo del genitore di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita” indipendentemente da qualsiasi altro fattore.
Ma a questo punto ci si pone una domanda: tutti i papà disoccupati che sono stati obbligati a corrispondere il mantenimento in favore dei figli che fine faranno?
È sicuramente un precedente da brividi, e come si sa le decisioni della Cassazione non sono legge ma creano giurisprudenza, per cui sarà possibile modificare una miriade di decisioni finché la Cassazione non cambi nuovamente idea.
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