Esubero personale: chi va licenziato?
Riduzione dell’organico: la scelta del dipendente da lasciare a casa non è totalmente libera.
L’azienda dove lavori ha deciso di avviare una serie di licenziamenti. A perdere il posto sarai tu e qualche altro collega. Ti chiedi perché la scelta debba ricadere proprio su di voi e non sugli altri quando le mansioni che svolgete sono sostanzialmente simili. Intendi così comprendere se esistono dei criteri di licenziamento per esubero personale.
La legge, interpretata in dalla Cassazione con una interessante ordinanza [1], sostiene che anche quando non viene attuata una procedura di licenziamento collettivo, il datore di lavoro non è completamente libero di stabilire il nome del dipendente da mandare a casa.
Il licenziamento per riduzione di personale è tecnicamente chiamato licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Può scattare quando ragioni produttive o organizzative lo richiedono.
Tuttavia, questa forma di licenziamento non richiede per forza una situazione di crisi. Il datore di lavoro può decidere di tagliare i «rami secchi» quando:
- sono poco produttivi;
- oppure non più necessari.
Secondo la più recente giurisprudenza, si può licenziare anche se ciò è necessario:
- per conseguire maggiori utili;
- se l’opera dell’uomo è stata ormai soppiantata dai computer o dai robot.
Insomma, anche senza una situazione di difficoltà economica, il datore è libero di ridurre il personale a due condizioni-
La prima: dietro le motivazioni addotte nella lettera di licenziamento non devono nascondersi bugie: il datore non può inventare il motivo di licenziamento solo per sbarazzarsi di un dipendente. Il che significa che, se anche il giudice non può intervenire sulle scelte imprenditoriali e sull’opportunità delle stesse, deve però verificare che le motivazioni addotte dall’azienda siano reali.
Non si può licenziare un dipendente:
- simulando un calo di commesse quando il bilancio dimostra il contrario;
- con la scusa che la sua mansione è venuta meno quando, invece, viene assegnata a un altro.
La seconda condizione: prima di procedere al licenziamento, il datore deve dimostrare che non esistono altre posizioni libere che, in relazione alle capacità e formazione del lavoratore da licenziare, siano da questi ricopribili (cosiddetto ripescaggio o repêchage).
Bisogna salvare il posto nei limiti del possibile, anche a costo di ridurre la retribuzione. Per la validità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dunque, non basta che esso sia l’effetto della soppressione del reparto o del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, ma è necessario che l’azienda sia impossibilitata al suo ripescaggio, ossia non abbia modo di riutilizzarlo, consideratane la professionalità raggiunta, in altra posizione lavorativa e/o in altra dipendenza aziendale analoga a quella soppressa.
A queste condizioni, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo.
La procedura può essere attuata attraverso:
- licenziamento collettivo: il datore di lavoro decide di licenziare, nell’arco di 120 giorni, almeno cinque dipendenti. In questo caso, l’azienda deve prima adottare un accordo coi sindacati in cui individuerà dei criteri astratti da seguire per scegliere chi licenziare. Di solito, si fa riferimento all’anzianità di servizio e al numero di familiari a carico;
- licenziamento individuale: è quello riferito a un numero inferiore di cinque dipendenti nell’arco di 120 giorni. Non è soggetto ad accordo sindacale e il datore è, teoricamente, libero di scegliere chi licenziare.
Per quanto riguarda quest’ultima ipotesi, secondo la Cassazione, se la soppressione di un posto di lavoro avviene in presenza di più posizioni fungibili perché occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede. Questi criteri sono gli stessi imposti dal licenziamento collettivo ossia:
- carico di famiglia;
- anzianità.
La violazione di questi princìpi di correttezza comporta l’illegittimità del recesso.
Nel caso di licenziamento per ragioni riguardanti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro – continua la Cassazione –, quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza e buona fede.
Per accertare il rispetto dei principi di correttezza e buona fede, occorre individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede. Sul punto, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare, in precedenti decisioni, che si possa far riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la legge n. 223/1991, art. 5, che si applica ai licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità.
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