forum

Estratto conto corr...
 
Notifiche
Cancella tutti

Estratto conto corrente: è prova

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
68 Visualizzazioni
(@redazione)
Post: 732
Noble Member Registered
Topic starter
 

Vincolare soldi: conviene?

Che valore legale ha l’estratto conto corrente bancario o postale nei rapporti tra privati, con la banca e con l’Agenzia delle Entrate: come dimostrare un pagamento?

Immagina di aver versato, come ogni mese, le quote del condominio tramite un bonifico bancario e di aver tuttavia perso le ricevute di pagamento cartacee. Se l’amministratore dovesse esigere di nuovo le stesse somme quale prova potresti utilizzare a tuo favore? Oppure immagina di avere la bolletta della luce e del telefono addebitate sul conto e di volerti disfare delle numerose fatture che la società fornitrice ti invia mensilmente: l’estratto conto potrebbe essere sufficiente a dimostrare, un giorno, il puntuale adempimento del debito? Tutte queste domande portano a un unico quesito: l’estratto conto corrente è prova?

La questione è interessante anche sotto un profilo fiscale. Immagina di acquistare una casa con i soldi avuti in regalo da tuo padre, soldi che questi ha accreditato sul tuo conto corrente. Il bonifico riporta la causale «donazione». Dopo qualche anno, però, l’Agenzia delle Entrate ti notifica un avviso di accertamento: dai dati in suo possesso, il tuo tenore di vita – determinato proprio dalla titolarità dell’immobile – è superiore rispetto ai redditi dichiarati. Ti viene chiesto perciò di spiegare la provenienza del denaro con cui sei riuscito a pagare l’abitazione. Giunge in tuo soccorso l’estratto del conto corrente dal quale si evince il trasferimento dei soldi dal conto di tuo padre al tuo. È sufficiente per contrastare il controllo fiscale?

A tutti questi problemi cercheremo di fornire una risposta qui di seguito. Ti spiegheremo, dunque, sulla base della nostra legge, che valore ha l’estratto conto e se può essere utilizzato come prova di un pagamento. Ma procediamo con ordine.

Prova del pagamento: qual è?

Come dimostrare un pagamento? Di solito, quando il denaro viene consegnato in contanti, è sufficiente la quietanza rilasciata dal creditore. Il rilascio dello scontrino o l’emissione della fattura sono solo degli indizi, essendo dei documenti che, di norma, devono essere emessi solo dopo che i soldi sono stati consegnati.

In assenza di documenti scritti, può risultare molto più complicato dimostrare l’avvenuto pagamento di un debito. Per questo, interviene la legge in vario modo.

Limiti alla prova testimoniale

In primo luogo, a fronte di un generale divieto di utilizzare i testimoni per dimostrare l’adempimento di un contratto di valore superiore a 2,58 euro (le vecchie 5mila lire, limite risalente al 1942 e mai aggiornato), il Codice civile [1] concede al giudice di derogare a tale limite, tenendo conto della particolarità del caso concreto. Quindi, in base alla qualità delle parti, ai rapporti intercorrenti tra di esse e alla natura del contratto, il magistrato può anche autorizzare il debitore a chiamare, a proprio sostegno, una persona che testimoni in suo favore e dichiari di averlo visto corrispondere il denaro al creditore.

Prescrizioni presuntive

In secondo luogo vengono previsti dei termini di prescrizione molto brevi per tutte quelle obbligazioni che, nella prassi comune, vengono adempiute immediatamente o comunque non dopo molto tempo (si pensi al pagamento della parcella dell’avvocato o del medico). Sono le cosiddette prescrizioni presuntive. In questi casi, quando decorre tale termine, non spetta più al debitore dimostrare di aver adempiuto anche se ha perso le ricevute di pagamento.

Il comportamento delle parti

Un altro elemento utile al giudice per decidere se un debito è stato pagato è il comportamento complessivo tenuto dalle parti in attuazione del contratto. Ad esempio, chi registra una fattura nella propria contabilità non può poi contestarla sostenendo che non è dovuto alcun pagamento. Allo stesso modo, laddove è prevista la consegna della merce previo pagamento di acconto sarà difficile dimostrare che tale acconto non è stato pagato se la prestazione, nel frattempo, è stata resa.

Le prove scritte con data certa contro il fisco

Un discorso a parte riguarda il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, l’agente della riscossione esattoriale e qualsiasi altro organo dell’amministrazione finanziaria. Infatti nelle controversie che hanno, come controparte, il fisco non è mai possibile la testimonianza e la prova deve essere per forza documentale. Non solo: tale documento deve avere una data certa. La “data certa” è quella attestata da un pubblico ufficiale come un notaio, un funzionario dell’amministrazione, un postino (con il timbro postale), l’Agenzia delle Entrate quando si registra un atto, ecc.

L’estratto conto è una prova?

Ci si potrebbe giustamente chiedere: se è vero che il fisco usa le movimentazioni bancarie del conto corrente come prova contro il contribuente, perché mai la stessa documentazione non potrebbe essere da questi impiegata per dimostrare un pagamento o qualsiasi altro trasferimento di denaro? Ed è proprio così: secondo la nostra giurisprudenza, l’estratto conto è una prova di pagamento sia nei confronti dei privati che del fisco (anche se, in quest’ultimo caso, mancherebbe a rigore la data certa, non essendo la banca un pubblico ufficiale). E difatti l’estratto conto può essere impiegato per contrastare le presunzioni del Redditometro e dimostrare che il denaro con cui è stato acquistato un bene di lusso deriva da una donazione, una vincita al gioco, un risarcimento o altre fonti di reddito non tassabili o già tassate alla fonte.

A ben vedere, però, se l’estratto conto dimostra inconfutabilmente l’esistenza di un pagamento non dice però a quale titolo esso è avvenuto. Né – come vedremo a breve – la causale può sopperire a tale genericità, essendo una dichiarazione fatta unilateralmente dall’ordinante. Ecco che allora si potrebbero presentare dei problemi quando, tra due soggetti, sono in corso una serie di rimesse bancarie e, in assenza di una quietanza, non è possibile con certezza, stabilire la correlazione tra il singolo accredito e la relativa prestazione. Ad esempio, si immagini una persona che abbia delegato una ditta edile ad effettuare la ristrutturazione all’interno del proprio appartamento. I pagamenti avvengono a stati di avanzamento dei lavori. Di tanto in tanto la ditta chiede un “pagamento extra” per l’approvvigionamento di materiali o per lavori non concordati nel contratto iniziale e tuttavia richiesti dal committente. Come fare a stabilire, in caso di contestazioni, a quale prestazione si riferisce il bonifico bancario? In questi casi è il giudice a valutare l’insieme delle prestazioni e a definire l’esistenza di un debito o di un credito.

Quando l’estratto conto non vale come prova

Una recente sentenza della Cassazione [2] ha stabilito che, dinanzi alla contestazione della controparte, l’estratto conto non vale come prova. Ipotizziamo il caso di un soggetto che dichiari di aver fatto un bonifico nei confronti di un altro e che questi invece neghi di averlo ricevuto; il primo, a sostegno della propria tesi, produce l’estratto conto, cancellando tutte le altre disposizioni per questioni di privacy. Ebbene, secondo la Cassazione, tale documento non vale a dimostrare il pagamento. Non basta cioè produrre in giudizio l’estratto conto da cui risulta la disposizione di bonifico per provare che il pagamento è avvenuto . E ciò perché l’ordine di pagamento impartito alla banca potrebbe ben essere stato revocato in un momento successivo. Dunque il buon fine del pagamento non si configura quando il disponente effettua il bonifico ma quando la somma si trasferisce effettivamente sul conto corrente del creditore, che solo così ne acquisisce la disponibilità materiale. L’ordine di per sé non risulta sufficiente anche se la banca dichiara di avervi dato corso. Ed è la parte che agisce per la restituzione della somma che assume di aver pagato a dover dimostrare che il versamento è stato effettivo. Diversamente si addosserebbe sulla controparte l’onere di dimostrare di non aver ricevuto il pagamento, cosa inammissibile per il nostro diritto. 

In realtà il pagamento si perfeziona soltanto quando la rimessa entra materialmente nella disponibilità dell’avente diritto: si tratta di un principio generale. Non conta poi che la banca dichiari di aver eseguito l’ordine di bonifico perché la disposizione, se non immediatamente eseguibile, è revocabile o anche suscettibile di storno, se non andata a buon fine.

Inutile invocare il principio di vicinanza della prova per cui sarebbe il promittente venditore a dover dimostrare che le somme non sono state incamerate: l’incasso è una circostanza che rientra nella sfera di conoscibilità del promissario acquirente in relazione al mezzo di pagamento prescelto, che di per sé non può invertire l’onere della prova. Parola al rinvio.

La causale ha valore di prova?

Se è vero che l’estratto conto ha valore di prova, la stessa efficacia non può essere invece attribuita alla causale. A scegliere la causale è infatti l’ordinante, il correntista che effettua il pagamento. Essa però può essere una “presunzione”, un indizio, specie se non contestata immediatamente.

Estratto conto contro l’accertamento fiscale

È la stessa Agenzia delle Entrate, oltre alla Cassazione, a chiedere per il versamento di denaro tra soggetti diversi una modalità tracciabile: obbligatoria quando la somma è pari o superiore a 3.000 euro, non obbligatoria ma opportuna per somme inferiori. L’estratto conto (così come anche la copia dell’assegno non trasferibile) sono prove valide per contrastare gli accertamenti fiscali come quelli sintetici fatti con il Redditometro. Quindi, il contribuente che voglia provare di aver comprato la casa o l’auto con i soldi avuti in regalo dovrà dimostrare l’accredito di tale denaro senza dover per forza dare contezza che proprio con questo accredito è stato pagato il prezzo. Leggi sul punto Acquisto casa: come evitare problemi col fisco.

Estratto conto e debiti con la banca

Una particolare funzione può avere l’estratto conto per chi ha debiti con la banca per finanziamenti non restituiti o scoperti sul conto. Una interessante sentenza della Cassazione emessa proprio in questi giorni [3] fa il punto della situazione.

La Corte di Cassazione ricorda, anzitutto, che incombe sulla banca istante l’onere di produrre gli estratti del conto corrente sin dall’apertura del medesimo, non potendo sottrarsi a siffatto onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre i dieci anni. Puntualizza la Corte che l’obbligo di conservazione della documentazione contabile deve essere distinto da quello di dar prova del proprio credito.

La regola appena enunciata opera, a parti invertite, anche qualora sia il correntista ad agire giudizialmente per l’accertamento del saldo del conto corrente e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dalla banca. Con tale produzione, infatti, il correntista assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti, sia la mancanza, rispetto ad essi, di una valida obbligazione.

Vediamo che succede se è la banca ad agire contro il correntista. Al riguardo, l’estratto conto non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto; esso consente senz’altro di avere un appropriato riscontro dell’identità e consistenza delle singole operazioni ma non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi anche di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso il giudice ben potrebbe, ad esempio, valorizzare le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o le risultanze delle scritture contabili, nonché avvalersi di un consulente d’ufficio. Aggiunge la Corte che le conseguenze di una produzione incompleta degli estratti conto non debbono necessariamente condurre al rigetto della domanda della banca. Secondo la Cassazione, ai fini della domanda azionata dalla banca si può raccordare l’andamento del conto ad un dato di partenza che sia concretamente affidabile. In questo senso, la Corte ritiene ammissibile anche un azzeramento del saldo iniziale conto.

Se invece è il cliente ad agire verso la banca è suo l’onere della prova degli indebiti pagamenti. Sicché in assenza di prove, il conteggio del dare e avere deve essere effettuato dal primo saldo a debito del cliente. Ciò però, chiarisce la Corte, non esclude che il correntista possa fornire puntuali elementi di prova atti a dar ragione del pregresso andamento del conto così da consentirne la ricostruzione per il periodo non documentato dagli estratti.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è dunque il seguente: «nei rapporti bancari di conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio:

a) nella prima ipotesi l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quale ad esempio le ammissioni del correntista stesso, atti quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo); così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta;

b) nel caso di domanda proposta dal correntista, l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi che consentano di affermare che il debito nell’intervallo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore».

Estratto conto e prova del credito della banca: ultime sentenze

Nei rapporti bancari di conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio: a) nella prima ipotesi l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quali ad esempio le ammissioni del correntista stesso, atti quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo), così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta; b) nel caso di domanda proposta dal correntista l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi che consentano di affermare che il debito nell’intervallo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 2 maggio 2019 n. 11543

In caso di necessità di ricalcolo del saldo di conto corrente a causa della nullità delle clausole relative agli interessi, è necessario che la banca produca gli estratti conto integrali, ossia a partire dal “saldo zero” iniziale, condizione per effettuare il preciso conteggio del saldo finale, proprio al fine di disporre di un punto di partenza certo da cui iniziare il calcolo delle reciproche rimesse e relative compensazioni.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 5 febbraio 2019 n. 3337

La banca che intende far valere un credito derivante da un rapporto di conto corrente, deve provare l’andamento dello stesso per l’intera durata del suo svolgimento, dall’inizio del rapporto e senza interruzioni.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 27 settembre 2018 n. 23313

Nel contratto di conto corrente bancario, la banca che assuma di essere creditrice del cliente ha l’onere di produrre in giudizio i relativi estratti conto a partire dalla data della sua apertura, non potendo pretendere l’azzeramento delle eventuali risultanze del primo degli estratti utilizzabili, in quanto ciò comporterebbe l’alterazione sostanziale del medesimo rapporto, che vede nella banca l’esecutrice degli ordini impartiti dal cliente, i quali si concretizzano in operazioni di prelievo e di versamento ma non integrano distinti e autonomi rapporti di debito e credito tra cliente e banca, rispetto ai quali quest’ultima possa rinunciare azzerando il primo saldo.
Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 16 aprile 2018 n. 9365

Nei rapporti bancari in conto corrente, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida “causa debendi”, sicchè il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva condannato la banca alla restituzione al correntista delle somme indebitamente trattenute, nonostante la produzione in giudizio soltanto di una parte degli estratti conto in cui erano state annotate le rimesse oggetto della domanda di ripetizione).

Corte di Cassazione, sez. VI-1 civ., ordinanza 23 ottobre 2017, n. 24948

 
Pubblicato : 22 Marzo 2023 06:43