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Eredità e gestione del patrimonio: consigli per eredi

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(@adele-margherita-falcetta)
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Come gestire i beni e i rapporti che formano oggetto di una successione ereditaria: tutto quello che bisogna sapere.

La gestione del patrimonio ereditario rappresenta un ambito delicato, che richiede competenze specifiche e un approccio oculato. Molto spesso chi eredita non sa come muoversi per compiere le scelte più convenienti riguardo all’amministrazione dei beni ricevuti e alla propria tutela legale, specialmente con riferimento ai debiti e ai rapporti pendenti lasciati dal defunto.

Questo articolo contiene alcuni importanti consigli per gli eredi riguardo a eredità e gestione del patrimonio. In particolare, vedremo in quali casi non conviene accettare l’eredità, come cautelarsi dai debiti del defunto, come gestire i rapporti con le banche e con le assicurazioni, come rapportarsi agli altri eredi per l’amministrazione dei beni in comune, come pervenire alla divisione. Questo contributo mira a essere uno strumento di valore per chi si trova ad affrontare il compito, spesso gravoso, di gestire un’eredità, con l’intento di preservare il valore del patrimonio ricevuto e di garantirne una gestione responsabile e lungimirante.

Cosa fare prima di accettare l’eredità?

Decidere di accettare un’eredità implica assumersi certe responsabilità, tra cui la gestione dei debiti e la raccolta dei crediti legati al patrimonio del defunto, nonché la prosecuzione dei suoi rapporti contrattuali, come se questi non avessero subito interruzioni.

È importante comprendere che l’eredità non include solo beni monetari o immobiliari, ma anche crediti verso terzi e, purtroppo, anche eventuali debiti. Riguardo a questi ultimi, è necessario fare una distinzione tra quelli che si estinguono automaticamente alla morte del debitore e i quelli ereditari, che invece passano agli eredi.

I debiti ereditari si riferiscono a tutte le passività non saldate dal defunto, inclusi gli interessi che continuano ad accumularsi dopo la sua morte. Ne sono esempio:

  • tasse e multe non pagate durante la vita del debitore;
  • quote condominiali arretrate;
  • bollette scadute intestate al defunto;
  • cartelle esattoriali;
  • fideiussioni bancarie;
  • prestiti e mutui contratti dal defunto;
  • spese funerarie e di gestione e divisione dell’eredità.

Secondo l’art. 752 cod. civ., accettando l’eredità, l’erede assume la responsabilità di saldare i debiti ereditari proporzionalmente alla sua quota.

I debiti non trasmissibili, che non vengono ereditati, includono:

  • debiti prescritti;
  • debiti derivanti da gioco d’azzardo o scommesse;
  • sanzioni penali;
  • Sanzioni fiscali e amministrative;
  • obblighi di mantenimento verso l’ex coniuge, figli o altri familiari;
  • donazioni a enti di beneficenza.

Per verificare i debiti del defunto, è possibile richiedere all’Agenzia delle Entrate un estratto di ruolo o conto debitorio, che elenca tutti i debiti, comprese le cartelle esattoriali e le rateizzazioni, oltre ai pagamenti effettuati e quelli ancora da saldare.

L’estratto di ruolo può essere richiesto anche per conto di una persona deceduta, fornendo un documento di identità e una dichiarazione sostitutiva di atto notorio.

Il certificato carichi pendenti è un altro documento utile, che mostra l’esposizione debitoria del defunto nei confronti dello Stato, includendo contestazioni con l’Agenzia delle Entrate e carichi pendenti registrati.

Infine, la visura protesti è un documento che indica la presenza di protesti o eventi negativi registrati al Registro Protesti della Camera di Commercio, come assegni o cambiali insoluti.

Come decidere se accettare l’eredità o rinunciarvi?

Quantificati i debiti, occorre fare una valutazione dei beni e dei crediti lasciati dal defunto. Se il loro valore è superiore a quello dei debiti, conviene accettare l’eredità.

L’accettazione può essere espressa (art. 475 cod. civ.), mediante dichiarazione da rendersi davanti a un notaio o al cancelliere del Tribunale, o tacita (art. 476 cod. civ.), mediante il compimento di atti che presuppongono la volontà di accettare (ad esempio, la promessa di vendita di un bene del defunto).

Se i debiti sono molti, ma non superano il valore di beni e crediti, è possibile accettare con beneficio d’inventario (art. 474 cod. civ.). Questa accettazione va fatta davanti al notaio o al cancelliere e comporta l’obbligo di procedere all’inventario dei beni lasciati dal de cuius (è questo il termine tecnico con qui viene indicato il defunto). Il vantaggio di questa accettazione è che il patrimonio ereditario rimane separato da quello personale dell’erede. I creditori del defunto possono aggredire soltanto i beni ereditari; se questi vengono venduti per soddisfare i crediti, la somma che eventualmente residua viene distribuita tra gli eredi.

Se, infine, i debiti superano il valore dei beni ereditari, conviene senz’altro rinunciare all’eredità. Anche la rinuncia va fatta con dichiarazione resa davanti a un notaio o a un cancelliere (art. 519 cod. civ.).

Come gestire i rapporti pendenti del defunto?

È importante tenere presente che non tutti i rapporti contrattuali del defunto proseguono dopo la sua morte. I contratti personali, come il mandato o i contratti di lavoro professionale, terminano, mentre altri continuano. Questo ha un impatto significativo su vari rapporti, tra cui quelli bancari, con le assicurazioni e i contratti di locazione.

Per quanto riguarda i conti correnti bancari, esiste un contratto preesistente con la banca. Gli eredi devono informare quest’ultima del decesso del cliente, dopodiché la banca può bloccare parzialmente o totalmente il conto e i relativi dossier titoli.

È essenziale fare una distinzione tra due scenari: un conto corrente intestato esclusivamente al defunto e un conto corrente cointestato.

Nel primo scenario, i conti correnti e gli altri beni in banca del defunto sono immediatamente ‘bloccati’ fino alla presentazione della dichiarazione di successione da parte dell’erede o degli eredi. Questo ‘blocco precauzionale’ serve sia a proteggere la banca sia a prevenire che gli eredi corrano il rischio di appropriazioni illecite di fondi da parte di un erede rispetto agli altri o per evitare frodi.

Quando un conto corrente è cointestato e uno dei titolari decede, il titolare rimanente deve notificare alla banca la morte del co-titolare.

Tuttavia, è importante considerare due situazioni differenti: conti correnti cointestati con firma congiunta o disgiunta, dato che l’approccio della banca varierà a seconda della situazione. Infatti:

  • per i conti con firma disgiunta, la banca ‘blocca’ la parte attribuibile al titolare defunto fino all’identificazione degli eredi. L’altro titolare può continuare a operare, ma solo entro i confini della sua parte di patrimonio. Dopo la presentazione della dichiarazione di successione e l’accettazione dell’eredità, la banca può iniziare il processo di trasferimento delle quote del conto agli aventi diritto;
  • se invece il conto cointestato richiede una firma congiunta, dove tutte le operazioni necessitano della firma di entrambi i titolari, allora, alla morte di uno di loro, i fondi nel conto saranno ‘congelati’ dalla banca e il titolare superstite non sarà in grado di effettuare alcuna operazione. In questo caso, la banca deve prima identificare gli eredi e determinare le quote che spettano a ciascuno.

Anche i dossier titoli bancari passano nell’attivo ereditario.Per le polizze assicurative sulla vita, la liquidazione ai beneficiari è un diritto proprio e non fa parte dell’eredità. Tuttavia, il premio pagato dal defunto è considerato una donazione indiretta ai beneficiari.

Se il defunto era parte di un contratto di locazione, si applicano norme diverse a seconda che fosse locatore o locatario:

  • se era locatario di un immobile residenziale, il contratto continua con gli eredi conviventi e il partner more uxorio, come previsto dall’art. 6 della legge n.392/1978. I non conviventi non entrano nel contratto.
  • se era locatario di un immobile non residenziale, l’erede che continua l’attività professionale può subentrare;
  • se era locatore, gli eredi subentrano nel contratto.

Infine, per le partecipazioni societarie del defunto, si distinguono le società di persone dalle società di capitali. Infatti:

  • nelle società di persone, occorre consultare l’atto costitutivo e gli accordi tra soci;
  • nelle società di capitali, le quote o azioni passano agli eredi in proporzione alle loro quote ereditarie.

Eredità: come gestire i beni in comunione?

Concludiamo i consigli per gli eredi, relativi a eredità e gestione del patrimonio, con uno sguardo alla comunione ereditaria. Quest’ultima si costituisce quando coloro che sono chiamati a diventare eredi accettano, in modo esplicito o implicito, e perdura fino alla suddivisione dell’insieme dei beni ereditari.

Questo stato di comunione implica la co-titolarità dei diritti ereditari tra i coeredi, regolata dall’art. 1100 cod. civ. e seguenti, che si applicano alle norme generali della comunione, fatta eccezione per alcune regolamentazioni specifiche, come il diritto di prelazione.

In ogni caso, secondo l’art. 713 cod. civ., i coeredi hanno il diritto di richiedere la divisione dell’eredità, garantendo così a ciascuno la propria parte.

Nel caso di beni immobili, la comunione ereditaria porta alla creazione di una comproprietà indivisa tra i coeredi.

Per le partecipazioni societarie, le azioni in società di capitali, salvo diverse disposizioni statutarie, vengono trasferite agli eredi che ne diventano comproprietari, e i diritti societari sono esercitati attraverso un rappresentante comune. Ogni coerede può richiedere la divisione di queste partecipazioni.

Nelle società di persone, i soci superstiti hanno tre opzioni entro sei mesi dall’apertura della successione: liquidare il valore della quota del socio defunto agli eredi, sciogliere la società, o permettere agli eredi di subentrare nella società, a condizione che essi acconsentano formalmente.

La gestione della comunione ereditaria è collettiva, e ogni partecipante ha il diritto di contribuire all’amministrazione dei beni (art. 1105, primo comma, cod. civ.). Le decisioni sono prese a maggioranza, calcolata in base al valore delle quote per la gestione ordinaria (art. 1105, secondo comma, cod. civ.), mentre per le decisioni straordinarie è necessaria una maggioranza rappresentante almeno due terzi del valore complessivo (art. 1108 cod. civ.).

La divisione dei beni può avvenire tramite accordo tra i coeredi o in via giudiziaria. La vendita all’incanto è un’opzione se un immobile non è divisibile e nessun coerede vuole o può accettarlo interamente (art. 720 cod. civ.).L’art. 757 c.c. stabilisce che ogni coerede è considerato successore diretto e unico dei beni della sua quota ereditaria.

Se un coerede ha goduto esclusivamente di un bene della comunione ereditaria, gli altri coeredi possono richiedere un risarcimento per il mancato godimento. La Corte di Cassazione, nella sentenza 34451/2018, ha stabilito criteri per determinare tale risarcimento.

Inoltre, l’art. 1110 cod. civ. prevede il rimborso delle spese necessarie sostenute per la conservazione del bene comune da un coerede in caso di trascuratezza da parte degli altri.

Infine, nella comunione ereditaria, i coeredi hanno il diritto di prelazione se uno di loro intende vendere la propria quota a un terzo (art. 732 cod. civ.). Questo comporta che il coerede che vuole vendere deve prima notificare loro la propria intenzione di farlo con il prezzo richiesto. In mancanza di tale adempimento, essi possono agire per rendere inefficace un’eventuale vendita.

 
Pubblicato : 28 Gennaio 2024 16:45