È punibile la truffa per omissione?
In cosa consistono gli artifici e i raggiri che integrano il reato di truffa? Può essere punito chi si limita a tacere?
La truffa è il reato che punisce chi riesce a frodare la vittima grazie al suo aiuto inconsapevole. È proprio questa la differenza con il furto: mentre quest’ultimo presuppone un impossessamento del bene altrui contro la volontà di chi lo detiene, la truffa ha come risultato quello di ottenere la cosa direttamente dal proprietario, il quale è stato però ingannato. È in tale contesto che si pone il seguente quesito: è punibile la truffa per omissione?
In pratica, ci si chiede se possa essere condannata la persona che si è limitata a rimanere in silenzio oppure semplicemente a tacere su certe circostanze. Approfondiamo la questione.
Cos’è il reato di truffa?
La truffa è il reato che commette chi, attraverso artifici e raggiri, induce la vittima in errore per trarne un guadagno personale [1].
In poche parole, la truffa consiste in un inganno, in un vero e proprio imbroglio ai danni della persona offesa, la quale si priva di un proprio bene perché raggirata dal truffatore.
È il caso del finto corriere che chiede di essere pagato per una consegna oppure di chi, tramite email, chiede le credenziali d’accesso al conto corrente (cosiddetto phishing).
In cosa consiste la truffa?
Come detto, può parlarsi di truffa solamente se l’autore pone in essere una messa in scena tale da ingannare la vittima. Non a caso, la legge parla di “artifici o raggiri” in grado di indurre in errore una persona dalla normale avvedutezza.
Per “artificio” si intende un’alterazione della realtà esterna, una finzione che fa apparire come esistente qualcosa che non c’è oppure, al contrario, inesistente qualcosa che è reale.
Il raggiro, invece, è una menzogna accompagnata da ragionamenti idonei a mascherarla da verità.
Il Codice penale, quando parla di artifici o raggiri, vuole quindi intendere una vera e propria macchinazione nei confronti dalla vittima, una messa in scena preparata ad arte, fatta con l’unico scopo di trarre in inganno per arricchirsi.
Da questo punto di vista, quindi, una semplice bugia, di per sé, sarebbe troppo poco per poter integrare il reato di truffa, a meno che la stessa non sia sorretta da un’adeguata argomentazione ingannatrice.
Si pensi a chi, pur di vedere un film al cinema, menta al personale di sala dicendo di avere il biglietto con sé ma di non trovarlo: una menzogna di questo tipo sarebbe inidonea a far scattare la truffa, in quanto non sussistono quegli “artifici o raggiri” di cui parla la legge.
Al contrario, chi falsifica un biglietto per farlo apparire reale può rispondere di truffa, in quanto l’autore si è adoperato per mascherare la realtà e ingannare gli addetti al controllo.
Si può punire la truffa per omissione?
Si parla di “truffa per omissione” quando ci si riferisce all’inganno perpetrato serbando il semplice silenzio, ad esempio non rispondendo alle domande poste dalla vittima. Una condotta del genere sarebbe punibile?
Sul punto non c’è unanimità di vedute. Secondo un’interpretazione letterale della norma del Codice penale, il silenzio o la reticenza sarebbero condotte insufficienti a integrare la truffa, in quanto inidonee a realizzare il “sordido inganno” che sembra essere il presupposto fondamentale del delitto [2].
Chi si limita a tacere, infatti, non commette alcun raggiro né artificio, non potendo il silenzio alterare la percezione della realtà a danno della vittima.
Un orientamento più recente, invece, propende per un’interpretazione estensiva della norma, comprensiva di qualsiasi subdolo espediente posto in essere per indurre taluno in errore, anche se si tratta di silenzio o reticenza, se costituiscono violazione di uno specifico obbligo giuridico di comunicazione.
Tanto si verifica soprattutto in ambito contrattuale: il silenzio maliziosamente serbato da parte di chi ha il dovere di informare l’altro contraente su determinate caratteristiche dell’affare può integrare il reato di truffa.
Secondo la Cassazione [3], integra una truffa anche il silenzio sul verificarsi sopravvenuto di un evento che costituisce il presupposto del permanere di un’obbligazione pecuniaria a carattere periodico: infatti il silenzio, di chi sia in concreto beneficiario, seppure indiretto, della prestazione, è attivamente orientato a trarre in inganno il debitore sul permanere dell’obbligazione.
Va quindi condannato chi continua a percepire denaro dall’Inps anche se il beneficiario è deceduto, se esiste l’obbligo di darne comunicazione.
Insomma: la truffa per omissione è punibile solo se sussiste un obbligo giuridico di rispondere o di comunicare certe informazioni. In caso contrario, limitarsi a tacere non fa scattare alcuna responsabilità penale.
Come si denuncia una truffa?
La truffa è un reato procedibile a querela di parte; ciò significa che solo la vittima può segnalare il fatto alle autorità, entro il termine di tre mesi da quando ha scoperto l’inganno.
La querela può esser sporta presso qualsiasi presidio di polizia giudiziaria, in forma scritta oppure orale.
La querela può essere revocata fino a che non interviene una sentenza di condanna definitiva. Ciò accade, da esempio, quando l’imputato ha restituito il maltolto oppure ha risarcito il danno prodotto.
La remissione della querela può essere anche tacita, desumibile quindi dalla condotta della persona offesa. È il caso, ad esempio, della vittima che, pur essendo stata regolarmente citata in tribunale per rendere testimonianza, non compare senza addurre alcuna giustificazione.
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