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È legale il recesso del socio senza giusta causa?

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(@angelo-greco)
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Recesso da una società senza motivazione con preavviso: è possibile il ricorso al giudice.

Nel panorama giuridico relativo al diritto societario, una questione spesso dibattuta è la legittimità delle clausole dello Statuto che consentono al socio di recedere da una società in qualsiasi momento, senza necessità di addurre una giusta causa e con il solo obbligo di fornire un adeguato preavviso.

La recente sentenza della Cassazione n. 2629 del 29 gennaio ha gettato nuova luce su questo argomento, confermando la legittimità di tali clausole, ma sottolineando al contempo la possibilità di un controllo giurisdizionale successivo basato sui principi di correttezza e buona fede. Cerchiamo di comprendere meglio i termini della quesitone.

Legittima la clausola di recesso del socio da una SPA?

Le clausole di recesso ad nutum, ossia che prevedono per il socio la facoltà di recedere ad nutum (ossia senza giusta causa), con la sola condizione di darne preavviso almeno 180 giorni prima, sono state riconosciute valide per le SPA, anche quelle a tempo determinato, purché non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio.

Questa disposizione mira a garantire una maggiore flessibilità e autonomia statutaria, consentendo al contempo di tutelare gli interessi degli altri soci e della società stessa.

La clausola può essere estesa a qualsiasi altro tipo di società, quindi anche alle SRL o alle SAPA e alle società di persone come le SNC.

Esempio

Prendiamo ad esempio una società per azioni che abbia inserito nel proprio statuto la possibilità per i soci di recedere senza obbligo di dover dare una motivazione di tale decisione. Un socio decide di avvalersi di questa clausola e comunica la sua intenzione di recedere dalla società, fornendo il preavviso richiesto di 180 giorni. Sebbene la clausola sia stata applicata secondo le disposizioni statutarie, gli altri soci o la società stessa potrebbero sollevare dubbi sulla correttezza e sulla buona fede dell’azione del socio recedente, soprattutto se il recesso potrebbe causare danni significativi alla società o alterare l’equilibrio societario.

In questi casi, è possibile che la questione venga portata davanti a un giudice, il quale dovrà valutare l’operato del socio recedente alla luce dei principi di correttezza e buona fede sanciti dagli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile.

Il giudizio si concentrerà non solo sulla legittimità formale del recesso, ma anche sulle modalità e sulle conseguenze pratiche dell’azione, per assicurare che non vengano lesi gli interessi legittimi degli altri soci e della società.

Il controllo del giudice

Le società e i loro soci devono quindi essere consapevoli che, pur godendo di una certa libertà nell’organizzazione dei rapporti interni, le loro azioni rimangono soggette a un controllo del giudice che punta a preservare l’integrità e la stabilità delle strutture societarie. Questo principio assume particolare rilevanza in un contesto economico in cui la fiducia reciproca e il rispetto delle regole del gioco sono fondamentali per il successo e la crescita delle imprese.

I precedenti

La valutazione del comportamento del socio in termini di buona fede rappresenta un aspetto cruciale nell’applicazione delle clausole statutarie che regolano il recesso da una società. Questa analisi non si limita a una mera verifica formale delle condizioni previste dal contratto, ma richiede un esame approfondito dei rapporti societari nel loro complesso.

La giurisprudenza recente, tra cui la sentenza della Cassazione n. 8282/2023, ha sottolineato che la legittimità dell’esercizio di un potere negoziale unilaterale, come il recesso, non può essere garantita esclusivamente dalla presenza di una situazione oggettiva delineata nello statuto o nel contratto.

Un esempio significativo di questo approccio si ritrova nella sentenza della Cassazione n. 21731/2022, in cui, in una SNC (società in nome collettivo) formata da soli due soci, il recesso invocato da un socio a seguito dell’inadempimento gestionale dell’altro non è stato considerato legittimo sulla base della sola inosservanza contrattuale. In questa circostanza, il tribunale ha ritenuto che, nonostante un periodo di tolleranza, la mancata messa in mora del socio inadempiente e la richiesta esplicita di adempimento non fossero sufficienti a giustificare il recesso, evidenziando l’importanza di valutare il comportamento complessivo in termini di correttezza e buona fede.

In altri contesti, come evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 28987/2018, la buona fede e la correttezza sono state invocate per colmare eventuali lacune nella regolamentazione statutaria, guidando il giudice di merito nella valutazione delle modalità concrete con cui il diritto di recesso viene esercitato. In particolare, questa prospettiva implica l’analisi della congruità del termine di preavviso con cui il recesso viene comunicato, considerando la pluralità degli interessi coinvolti e l’impatto che tale decisione può avere sull’equilibrio societario.

Il bilanciamento degli interessi

La sentenza della Cassazione n. 2629 segna un punto di svolta nell’interpretazione delle clausole di recesso ad nutum, confermandone la legittimità ma introducendo un importante meccanismo di bilanciamento basato sul controllo giurisdizionale. Questo approccio riflette la tendenza del diritto societario moderno a conciliare l’autonomia statutaria con la tutela dei valori fondamentali di correttezza e buona fede nelle relazioni tra i soci e tra i soci e la società.

 
Pubblicato : 5 Marzo 2024 13:45