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È legale diffondere dati di un cliente moroso?

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(@angelo-greco)
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Diffondere su WhatsApp o pubblicare il nome di un cliente per avvisare gli altri di non avere rapporti commerciali con lui è reato?

Un nostro lettore è alle prese con un problema piuttosto comune. Dopo aver avuto esperienze negative con un pessimo cliente, ha condiviso il documento d’identità di quest’ultimo in una chat WhatsApp tra colleghi, per mettere in guardia questi ultimi dal rischio di possibili truffe. Tale azione, pur essendo motivata dalla volontà di proteggere gli altri dalla stessa sorte, ha sollevato immediatamente le obiezioni del diretto interessato, che ha minacciato di procedere per vie legali e di sporgere una denuncia. Di qui la domanda: è legale diffondere dati di un cliente moroso o truffatore?

La legge vieta la diffusione di dati personali altrui senza consenso. Questi infatti sono coperti da privacy e la loro violazione può dar luogo a una legittima richiesta di risarcimento dei danni.

Una delle pochissime eccezioni a tale regola è quella delle «finalità di giustizia», ma essa si riferisce a ipotesi diverse da quella in commento, come nel caso di un soggetto che sporge querela alla polizia e, in quella occasione, indica gli estremi del colpevole. O ancora nel caso di un uomo che, avendo registrato una conversazione con un altro in cui questi ammette la propria responsabilità, la deposita in processo. O ancora nel caso in cui siano le stesse autorità a diffondere il volto di un criminale per poter procedere alla sua cattura.

In secondo luogo, la legge vieta a chiunque di farsi giustizia da soli: l’unico soggetto deputato a infliggere la sanzione al colpevole è il giudice. Sicché chi diffonde i dati di un presunto truffatore, additandolo ad altri come tale, ne risponde penalmente. “Presunto” perché, nel nostro ordinamento, vige la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva di condanna. Nel caso di specie, dunque, non essendosi tenuto alcun processo, ogni condotta diffamatoria potrà essere passibile di querela.

Peraltro la stessa Cassazione ha più volte detto che chiamare una persona “moroso” o “debitore” integra una diffamazione, al di là se tale affermazione sia fondata su fatti reali e se, addirittura, sia stato ottenuto già un decreto ingiuntivo nei confronti del debitore.

Dunque, chi comunica al pubblico, anche attraverso chat WhatsApp, le generalità di un soggetto per mettere in guardia gli altri dei rischi che si corrono nell’intrattenere rapporti commerciali con quest’ultimo può rispondere dei reati di diffamazione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Inoltre sarà tenuto a risarcire i danni alla vittima, nella misura in cui il giudice riterrà opportuno in base al danno procurato e che verrà dimostrato nell’apposito giudizio.

Cosa bisogna fare quindi quando un cliente non paga? L’unica carta che ha il soggetto “truffato” è di rivolgersi al tribunale e ottenere una condanna. La sentenza è pubblica e potrà essere messa a conoscenza di altri operatori del settore, sempre che il soggetto condannato non chieda l’oscuramento dei propri dati.

 
Pubblicato : 20 Giugno 2024 16:30