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Distacco impianto centralizzato: quali spese si pagano ancora?

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(@paolo-remer)
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Dalla manutenzione della caldaia e dei tubi ai consumi involontari: tutti i costi che il condominio può addebitare a chi è passato al riscaldamento autonomo.

Molti credono che chi si distacca dall’impianto condominiale di riscaldamento o di condizionamento centralizzato per passare all’autonomo non debba pagare più nulla. In realtà non è così: restano diverse voci di spesa da sostenere. Certo, si pagherà molto meno di prima, perché i costi del combustibile e dell’energia saranno esclusi, e almeno a quelli il condomino distaccato e diventato autonomo non dovrà più contribuire. E allora, in caso di distacco dall’impianto centralizzato, quali spese si pagano ancora?

Il fatto principale da considerare è che l’impianto di riscaldamento condominiale è, e rimane, un bene di proprietà comune. Perciò tutti i condomini – compresi quelli distaccati e divenuti autonomi – devono sempre contribuire a determinate spese: non più quelle di funzionamento, ma ancora quelle di manutenzione, conservazione e sostituzione. E poi esiste una “strana voce” che a conti fatti incide parecchio sulla bolletta periodica (talvolta arriva al 30% della somma che si pagava prima del distacco): si tratta dei cosiddetti «consumi involontari», che sono inevitabili e consistono nel beneficio indiretto che l’appartamento trae dalle dispersioni di calore provenienti dall’impianto centralizzato.

Insomma, quando si abita in un condominio non ci si può scaldare gratis, nemmeno per uno o due gradi centigradi, quelli che provengono dalla dispersione termica della caldaia accesa e dei tubi che passano nei muri o sotto i pavimenti. È bene sapere queste cose prima, anche per valutare la convenienza o meno del distacco dall’impianto centralizzato. Adesso vediamo in dettaglio quali spese bisogna ancora pagare nonostante l’avvenuto distacco dall’impianto centralizzato.

Distacco dal riscaldamento centralizzato: quando è ammesso?

L’art. 1118 del Codice civile stabilisce che «il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini».

Questa norma di legge attribuisce ad ogni condomino la facoltà di distaccarsi dall’impianto comune – a condizione che ciò non ne pregiudichi il funzionamento e non aumenti le spese degli altri condomini – senza necessità di autorizzazione dell’assemblea.

Spese a carico di chi si distacca dall’impianto centralizzato

Nonostante l’ampia possibilità di distacco dall’impianto di riscaldamento o di condizionamento centralizzato, il regolamento condominiale, o una delibera dell’assemblea, potrebbe prevedere l’imputazione, a carico del condomino distaccato, di una determinata quota delle spese di gestione dell’impianto centralizzato: esso, infatti, rientra per legge fra le «parti comuni dell’edificio» [1] e, perciò, rimane, nel suo complesso, di proprietà anche di chi si è distaccato, per un valore corrispondente alla quota espressa nelle tabelle millesimali.

È questa la cifra che esprime la parte ideale di comproprietà di ciascun condomino sull’impianto comune, in misura direttamente «proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene» [2] e in base ad essa avviene, di regola, il riparto delle spese, che può coinvolgere anche i condomini distaccati.

Spese impianto centralizzato: cosa deve pagare chi si è reso autonomo

Il medesimo art. 1118 del Codice civile, dopo aver previsto la facoltà di distacco dall’impianto centralizzato e dunque la possibilità per ogni condomino di rendersi autonomo sia per il riscaldamento sia per il condizionamento, dispone che «il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma».

Questa limitazione è importante, perché esclude chi si è reso autonomo dal riparto delle spese di esercizio e di funzionamento dell’impianto centralizzato: a partire dai consumi energetici e dai costi di acquisto del combustibile (gas metano, gasolio, carbone, ecc.), che non saranno più dovuti, per arrivare a comprendere, tra le voci di spese alle quali il condomino distaccato non dovrà più contribuire, anche i vari costi rientranti nella manutenzione ordinaria, come la pulizia periodica del bruciatore della caldaia, con l’esecuzione delle operazioni tecniche previste nel libretto d’impianto.

Viceversa, tra le spese di manutenzione straordinaria rientrano la sostituzione della caldaia e della centralina elettronica di accensione e spegnimento, ed anche, in caso di necessità, la riparazione dei tubi di distribuzione dell’acqua e di erogazione del calore, fino al punto di diramazione nei singoli appartamenti: sono spese necessarie alla conservazione dell’impianto. La messa a norma riguarda l’adeguamento dell’impianto alle nuove disposizioni normative e tecniche che periodicamente vengono emanate; potrebbe trattarsi di interventi costosi (soprattutto in vista delle regole green sul risparmio energetico di prossima introduzione nell’Unione Europea), ai quali anche chi è diventato autonomo dovrà ancora partecipare.

Consumi involontari: come si addebitano ai condomini distaccati

Il regolamento condominiale o le delibere assembleari potrebbero prevedere l’attribuzione di una quota di «consumi involontari» a carico dei condomini distaccati dall’impianto centralizzato. La Cassazione, in una recente ordinanza [3], ha riconosciuto legittima questa imputazione, anche quando chi si è reso autonomo aveva tagliato le tubazioni di collegamento con l’impianto comune e perciò certamente non può più beneficiare del riscaldamento centralizzato. La Suprema Corte ha rilevato che anche in tali casi sussiste un consumo involontario, che «prescinde dal grado di separatezza materiale dell’immobile rispetto all’ubicazione della caldaia».

Il consumo involontario deriva, essenzialmente, dalle inevitabili dispersioni di calore provenienti dalla caldaia e dalla rete di distribuzione: in parole povere, quando l’impianto centralizzato è acceso, l’acqua calda continua a passare attraverso i tubi e si dirige verso gli appartamenti rimasti allacciati, dai quali un po’ di calore si irradia nei locali divenuti autonomi: anch’essi, quindi, beneficiano indirettamente di un sia pur piccolo innalzamento della temperatura dell’edificio.

Il calcolo dei consumi involontari per ciascuna unità immobiliare situata nell’edificio condominiale avviene secondo i criteri tecnici stabiliti dalla normativa UNI 10200, che considerano le caratteristiche dei locali ed i rispettivi coefficienti di dispersione termica; se gli appartamenti sono dotati di misuratori interni di calore, la quantificazione del consumo involontario deve tenere conto delle «potenze termiche» presenti negli ambienti interessati [4]. Di solito a questi complessi calcoli provvede un tecnico incaricato dal condominio, che deposita la sua relazione asseverata in assemblea,  per l’approvazione.

Una volta quantificato, il riparto delle spese di consumo involontario tra i condomini avviene secondo le previsioni stabilite nel regolamento condominiale di natura contrattuale (è tale quello approvato all’unanimità da tutti i condomini, anche mediante richiamo nei rispettivi atti di acquisto delle proprietà), o, in mancanza, in base ai consueti valori millesimali. Si può quindi legittimamente attribuire ai condomini la loro quota di consumo involontario anche in misura percentuale, rapportata ai millesimi di proprietà, come è avvenuto nell’ultimo caso deciso dalla Cassazione, che si riallaccia a numerose altre precedenti e analoghe pronunce sul punto [5]. In definitiva, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato e dominante il condomino distaccato non può esimersi di pagare la sua quota parte di consumi involontari, nemmeno se dimostra di aver tagliato i tubi.

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Pubblicato : 13 Ottobre 2022 11:30