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Dipendente denuncia l’azienda: è valido il licenziamento?

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(@angelo-greco)
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Un dipendente che denuncia l’operato discutibile dell’azienda può essere licenziato? Il confine tra il diritto di critica e la diffamazione nell’ambito del licenziamento per ritorsione.

Quando un dipendente decide di denunciare il comportamento discutibile dell’azienda presso cui lavora e lo fa con un atto depositato presso la Procura della Repubblica, sorgono diverse domande sulle possibili conseguenze di tale azione. Quali sono i limiti del diritto di critica in ambito lavorativo? Esercitare i propri diritti, seppur dovessero poi essere ritenuti infondati, espone a rischi o ritorsioni? È valido il licenziamento del dipendente che denuncia l’azienda?

In questa guida, esploreremo il caso di un dipendente che aveva presentato un esposto contro l’azienda datrice di lavoro per l’utilizzo della cassa integrazione guadagni (CIG) nonostante una situazione di crescita. Nel fare ciò il lavoratore aveva usato un tono e un linguaggio piuttosto aspro, ai limiti della diffamazione e della calunnia. Ma procediamo con ordine.

Si può criticare pubblicamente il datore di lavoro?

Tra i doveri del dipendente vi è quello di prestare obbedienza e fedeltà al proprio datore. Ne consegue l’impossibilità di adottare espressioni, in pubblico, che possano lederne l’immagine e pregiudicarne la rispettabilità. Il che, oltre alla lesione dell’onore dell’imprenditore, si risolve anche in un danno economico in termini di perdita di clientela.

In casi del genere, sono state numerose le sentenze della Cassazione che hanno ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente che aveva pubblicato su Facebook post diffamatori nei confronti del proprio capo.

Il punto è trovare il giusto confine tra la critica – tutelata dalla Costituzione – e la diffamazione. È il tono usato che fa la differenza: bisogna sempre rispettare la continenza ossia la moderazione. È vero: sembra una spiegazione generica, ma lo scopo del legislatore è lasciare l’ultima parola al giudice, chiamato a valutare caso per caso.

In alcuni contesti aziendali particolarmente accesi – specie in una situazione di licenziamenti collettivi – è stato giustificato il comportamento del dipendente che abbia usato toni sprezzanti. Ma è sempre meglio controllarsi per evitare brutte sorprese.

Chi denuncia il datore di lavoro può essere licenziato?

Pariamo dal presupposto che la difesa in giudizio è un diritto sacrosanto di tutti i cittadini, compresi i lavoratori dipendenti. Questi non devono temere un licenziamento solo per il fatto di aver agito contro il proprio datore di lavoro, tanto in sede civile (ad esempio per il mancato pagamento dello stipendio o per le differenze retributive) quanto in sede penale.

Il licenziamento del dipendente che fa causa all’azienda presso cui lavora è considerato licenziamento ritorsivo e, come tale, è nullo. Risultato: al dipendente non spetta solo il risarcimento ma anche la reintegraossia la restituzione del posto di lavoro. E ciò vale anche se il dipendente perde la causa: difatti, per tagli ipotesi, è già prevista dall’ordinamento la sanzione, quella della condanna alle spese processuali. Non se ne può aggiungere un’altra – quella del licenziamento – che, altrimenti, finirebbe per pregiudicare l’esercizio del diritto nel timore di una eventuale sconfitta processuale.

Che succede a chi calunnia il datore di lavoro?

La questione diventa più delicata quando si presenta, in sede penale, una denuncia, una querela o un esposto. E ciò per via delle implicazioni con l’eventuale reato di calunnia. Ma il dipendente che agisce in «buona fede» non deve mai temere nulla. Difatti il licenziamento scatta solo quando si accusa una persona, dinanzi alle autorità o al giudice, pur sapendo che questa è innocente. Il fatto di agire nella convinzione – sia pur errata e fallace – di esercitare un proprio diritto (ossia di aver ragione) esclude ogni calunnia. E quindi il datore di lavoro non può, per una denuncia nei suoi confronti, licenziare il dipendente e/o controquerelarlo per calunnia.

Che succede se si usa un linguaggio diffamatorio?

Secondo la sentenza 996/17 della Cassazione, un dipendente non può essere licenziato per aver sottoscritto un esposto alla Procura che critica l’operato dell’azienda, anche se usa un linguaggio “forte”, purché non palesemente diffamatorio. La Corte ha stabilito che il diritto di critica del lavoratore è legittimo, specie se il dipendente solleva questioni già discusse pubblicamente e le modalità espressive sono state considerate coerenti con la situazione di tensione collettiva dovuta al rischio di perdita di posti di lavoro.

Quali sono i motivi alla base della decisione della Cassazione?

La Cassazione ha ritenuto che l’esposto presentato dalla dipendente fosse coerente con i fatti già noti all’opinione pubblica e discusso in sedi istituzionali. L’utilizzo di termini come “illecito” o “truffa” è stato considerato strettamente correlato ai dati pubblici e compatibile con il contesto in cui è stato redatto l’esposto. Inoltre, il giudice ha sottolineato che l’esposto mirava a richiedere un intervento tecnico alle autorità competenti per valutare l’eccessivo utilizzo degli ammortizzatori sociali da parte dell’azienda.

Quali sono le implicazioni di questa decisione per i dipendenti?

La sentenza della Cassazione rappresenta una tutela per i dipendenti che decidono di denunciare situazioni critiche nell’ambiente di lavoro. Il diritto di critica è riconosciuto come legittimo, purché le affermazioni siano basate su fatti reali, non inventati, e siano esposte in modo pacato, ossia continente, seppur con la comprensibile veemenza di chi vede calpestati i propri diritti. Ciò significa che i dipendenti possono segnalare irregolarità o comportamenti discutibili senza timore di essere licenziati, a condizione che mantengano un tono appropriato e non diffamatorio.

Quali sono le responsabilità delle aziende nei confronti dei dipendenti che esprimono critiche?

Le aziende devono rispettare il diritto di critica dei dipendenti e non possono licenziarli solo per aver denunciato pubblicamente questioni rilevanti. L’azienda deve valutare attentamente le ragioni e le basi della critica espressa dal dipendente e cercare di risolvere eventuali problemi sottostanti. Inoltre, le aziende devono sapere che il licenziamento determinato dall’azione giudiziaria del dipendente, seppur mascherato sotto altre ragioni – ad esempio per esuberi – implica la reintegra sul posto e il risarcimento per le retribuzioni non corrisposto.

Esistono casi in cui il licenziamento per denuncia dell’azienda è legittimo?

Sebbene la recente sentenza della Cassazione tuteli il diritto di critica del dipendente, ci possono essere eccezioni in casi estremi. Ad esempio, se la denuncia è diffamatoria e non basata su fatti concreti e veri, l’azienda potrebbe intraprendere azioni disciplinari. Tuttavia, in generale, il licenziamento per denuncia dell’azienda è una misura che richiede un’attenta valutazione delle circostanze, deve essere proporzionato alla gravità della condotta (in quanto espressione ultima ed estrema del potere sanzionatorio del datore) nonché supportato da prove concrete di diffamazione o falsità delle accuse.

 
Pubblicato : 8 Giugno 2023 09:00