Differenze tra convivenza e matrimonio
Cosa scegliere e cosa conviene di più: convivenza o matrimonio? Quali sono le differenze e in quali casi si è maggiormente tutelati della legge?
In un’epoca in cui il matrimonio non è più l’unica forma di unione riconosciuta dallo Stato, molte coppie si interrogano sulla necessità di sposarsi per essere tutelate dalla legge. Difatti in Italia, l’istituto giuridico della convivenza di fatto offre tutele simili a quelle del matrimonio. Simili ma non identiche. Residuano ancora alcune differenze tra convivenza e matrimonioche fanno la differenza e possono spingere la coppia per l’una o l’altra soluzione. Scopo di questo articolo è appunto analizzare se e quando conviene di più sposarsi o andare a vivere insieme senza mettere in mezzo “la legge”.
Cos’è la convivenza di fatto?
Come dice la parola stessa, la convivenza di fatto si verifica quando due persone decidono di coabitare sotto lo stesso tetto senza tuttavia formalizzare tra loro alcun rapporto giuridico. La coppia di fatto decide quindi di non registrare la propria convivenza in Comune.
In verità, il termine “di fatto” è un concetto ormai ampiamente superato. Difatti, negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva parificazione della convivenza stabile e duratura (cosiddetta convivenza more uxorio) al matrimonio. La nostra Costituzione infatti impone di dare pari rilievo a qualsiasi forma di aggregazione familiare, sia essa fondata sul matrimonio o meno.
Così la legge n.76 del 20 maggio 2016 ha introdotto in Italia la regolamentazione della convivenza di fatto. Si tratta di un accordo formale tra due persone che condividono un progetto di vita comune, stabilendo una convivenza duratura e regolare.
Per rendere ufficiale la convivenza di fatto, è necessario registrare l’accordo all’anagrafe del Comune di residenza (con una dichiarazione in presenza o, in alcuni casi, anche con una comunicazione inviata telematicamente). Questa procedura conferisce alla coppia un certificato di stato di famiglia, formalizzando il loro status di conviventi.
Questo passaggio non è obbligato ma è una facoltà che, come vedremo a breve, conferire ai conviventi una serie di diritti.
Quali diritti si acquisiscono con la convivenza?
Il convivente acquisisce il diritto di vivere nella stessa casa comune. È una situazione che la legge chiama “possesso di fatto” e che viene tutelata. Difatti, in caso di cessazione dell’unione, non si può mandare via il partner dall’oggi al domani ma bisogna lasciargli un tempo ragionevole per trovare una diversa collocazione.
In tema di rapporti con i figli, non c’è alcuna differenza tra matrimonio e convivenza: entrambi i genitori hanno gli stessi diritti e doveri, anche in caso di separazione. Pertanto, in assenza di accordo, il giudice disporrà l’affidamento condiviso (salvo disporre quello “esclusivo” in caso di palese inidoneità di un genitore), la collocazione presso uno di questi e l’assegnazione a quest’ultimo della casa familiare con obbligo, da parte dell’altro, di versare per la prole un assegno di mantenimento.
In caso di morte di uno dei conviventi, l’altro ha diritto a subentrare nel contratto di affitto. Se il decesso è stato provocato da un fatto illecito (ad esempio un incidente stradale), il partner ha diritto al risarcimento.
Spendere dei soldi per il partner durante la convivenza o per la casa in comune si considera un adempimento dei doveri di solidarietà familiare (una sorta di donazione); pertanto non è possibile chiederne la restituzione una volta cessata la convivenza, sempre che la somma sia di importo non sia manifestamente elevato (si pensi alla somma per costruire una casa).
Il partner convivente viene tutelato in caso di maltrattamenti come il coniuge e può quindi sporgere la querela per maltrattamenti in famiglia.
Il convivente inoltre ha l’accesso a informazioni personali in caso di ricovero dell’altro; ha il diritto di essere nominato tutore o amministratore di sostegno ed infine il diritto di decidere per conto del partner, in caso di malattia grave, quando questi non sia in grado di intendere e volere.
Inoltre, con la sottoscrizione di un contratto di convivenza le parti possono regolare una serie di ulteriori rapporti patrimoniali tra loro (leggi la guida sul contratto di convivenza) come il regime patrimoniale o la corresponsione di un assegno di mantenimento in caso di cessazione dell’unione.
Le differenze tra convivenza e matrimonio
La prima differenza tra convivenza e matrimonio sta nel regime patrimoniale. Le coppie sposate entrano automaticamente nella “comunione dei beni” salvo optino espressamente per la separazione dei beni (al momento del matrimonio o anche in un momento successivo). Invece le coppie di conviventi continuano a mantenere separati i patrimoni (e quindi anche i beni acquistati dopo l’inizio della convivenza), ma potrebbero fissare un regime identico alla comunione dei beni attraverso un contratto di convivenza.
La seconda rilevante differenza è che il tradimento costituisce una violazione dei doveri matrimoniali ed è sanzionato con la perdita del diritto al mantenimento. Invece nella coppia di conviventi l’infedeltà non determina alcuna conseguenza, anche perché (come vedremo a breve) non è previsto alcun obbligo di mantenimento.
La terza differenza riguarda la coabitazione, obbligatoria per i coniugi e non invece per le coppie di fatto. Sicché se un coniuge si allontana senza una valida ragione dalla casa coniugale viene ritenuto responsabile. Non succede invece lo stesso per la coppia di fatto. La violazione del dovere di convivenza comporta, per il partner, il cosiddetto “addebito”.
E veniamo proprio alla separazione. La coppia sposata necessita di una sentenza del tribunale o (in assenza di figli) di un atto dell’ufficiale di Stato civile per separarsi ufficialmente. La coppia di conviventi invece non deve attivare alcuna procedura, a meno che insorgano controversie sull’affidamento e sulla collocazione dei figli.
In caso di matrimonio, il coniuge economicamente più benestante deve mantenere l’ex coniuge con un assegno mensile (o versato in un’unica soluzione) se quest’ultimo non è in grado di mantenersi da solo. Un tale obbligo non è previsto in caso di convivenza, salvo diversamente disposto con un contratto di convivenza.
Discorso diverso riguarda invece il mantenimento dei figli che invece prescinde dal legame tra i genitori e scatta sempre, anche per le coppie non sposate. Come detto sopra, il genitore con cui andranno a vivere i bambini avrà diritto all’assegnazione del diritto di abitazione nella casa familiare (anche se ricevuta in comodato da terzi o presa in affitto).
L’ultima importante differenza tra matrimonio e convivenza sta nei diritti ereditari. Il coniuge è un «erede legittimario»: non solo non può mai essere diseredato ma ha sempre diritto a una quota minima del patrimonio dell’altro, oltre ad avere il diritto di abitazione nella casa coniugale. Invece il convivente non è affatto tutelato: egli non ha alcun diritto sul patrimonio caduto in successione a meno che non sia stato fatto testamento e in esso gli siano stati riconosciuti dei diritti (diritti tuttavia che non possono mai ledere le quote di legittima spettanti ai figli o, in assenza dei figli, ai genitori).
Se muore il convivente-proprietario, il superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni.
Se nella stessa casa vivono figli minori o disabili del convivente superstite, quest’ultimo ha diritto di continuare ad abitarvi per un periodo non inferiore a tre anni. Tale diritto viene meno se il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
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