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Differenza tra matrimonio e convivenza

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(@angelo-greco)
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Dagli alimenti al dovere di riconoscimento e mantenimento dei figli. Cosa conviene a una coppia: sposarsi o andare a convivere?

Può sembrare banale e fin troppo semplice stabilire le differenze tra matrimonio e convivenza. Laddove però un tempo si poteva dire che, nel primo caso, si aveva una coppia unita e riconosciuta dalla legge mentre nel secondo solo un’unione di fatto, oggi le cose non stanno più così. La legge ha via via riconosciuto ai conviventi gli stessi diritti dei coniugi, privilegiando piuttosto la finalità perseguita dalla coppia – quella cioè di costituire una famiglia basata sulla reciproca assistenza e solidarietà – piuttosto che il tipo di legame formale.

Proprio per questo le differenze tra matrimonio e convivenza si sono assottigliate tanto da potersi contare sulla punta delle dita. La coppia di conviventi è quindi considerata dalla legge come un nucleo familiare, al partner vengono riconosciuti determinati diritti (e, in presenza di figli, anche i naturali doveri di un genitore). Residuano però ancora delle profonde diversità costituite, ad esempio, dall’obbligo di fedeltà e dalla qualifica di erede legittimario.

In questo breve articolo vedremo quali diritti spettano ai coniugi (marito o moglie) e quali invece ai conviventi stabili. E ci occuperemo poi della possibilità, che la legge riconosce proprio alle coppie non sposate, di sottoscrivere un patto di convivenza per regolare, in modo ancora più preciso, puntuale e garantista, le posizioni delle parti. Ma procediamo con ordine.

Rapporti con i figli

La natura dei rapporti tra padre e madre non modifica i loro doveri nei confronti dei figli. Sicché, tanto un bambino nato da una coppia sposata quanto quello nato da una coppia di fatto (anche se occasionale), ha diritto a:

  • essere riconosciuto dal padre;
  • essere mantenuto da entrambi i genitori fino all’indipendenza economica (e in ogni caso non oltre i 30 anni);
  • essere amato (sì, per legge i genitori non devono solo prendersi cura materialmente dei figli ma devono garantire loro un ambiente sano, sereno e basato sull’affetto stabile);
  • avere una parte minima dell’eredità dei genitori (la cosiddetta quota di legittima), non potendo essere né diseredato, né leso solo parzialmente in tale diritto.

Quanto al riconoscimento del figlio, sorge qui la prima differenza tra convivenza e matrimonio:

  • il bambino nato da una coppia sposata non deve essere riconosciuto dal padre poiché tale riconoscimento avviene già, in automatico, per legge. Colui che sposa una donna, infatti, si presume essere il padre di tutti i figli che nasceranno all’interno del matrimonio. È tuttavia diritto del padre contestare tale presunzione di paternità e dimostrare, entro cinque anni dalla nascita, tramite il test del DNA, che il figlio non è suo;
  • il bambino nato da una coppia di conviventi deve essere riconosciuto dal padre. In caso contrario può essere citato in giudizio tanto dalla madre, quanto dal figlio ormai divenuto maggiorenne, per sentire accertare giudizialmente la paternità tramite il test del DNA e per essere condannato al risarcimento del danno.

Rapporti personali tra le parti

Il matrimonio implica il dovere di:

  • convivenza,
  • fedeltà,
  • reciproca assistenza,
  • contribuzione ai bisogni familiari in relazione alle proprie capacità (anche col lavoro domestico).

La convivenza implica solo gli ultimi due doveri: i due partner si devono assistere reciprocamente, devono aiutarsi e devono contribuire a tutto ciò che è necessario per il bene della famiglia. Non possono pertanto chiedere, in caso di separazione, la restituzione di quelle spese fatte per la casa, per il ménage domestico, per il compagno o la compagno, sempre che l’importo sia proporzionato alle esigenze familiari (si pensi ai costi per l’acquisto di arredo, per le riparazioni in casa, ecc.).

La convivenza non implica invece il dovere di fedeltà e di convivenza. Sicché se un partner ha una relazione segreta o scappa di casa, l’altro non può ottenere nulla a titolo di risarcimento.

Rapporti economici tra le parti

Col matrimonio, marito e moglie entrano automaticamente nel regime di comunione dei beni, sicché tutto ciò che viene acquistato dopo le nozze, anche se coi soldi di uno solo dei due, sono di entrambi in pari misura. I coniugi che vogliano optare per la separazione dei beni devono dichiararlo prima della celebrazione del matrimonio. Possono anche modificare il regime patrimoniale in un momento successivo.

Con la convivenza, invece, non c’è la comunione dei beni a meno che i partner non firmino un patto di convivenza, una sorta di contratto che serve per regolamentare i rapporti patrimoniali tra le parti e determinare in anticipo la sorte dei beni in caso di separazione.

Nella coppia sposata in comunione dei beni, il conto corrente di un solo coniuge deve essere diviso con l’altro in caso di separazione.

Invece nella coppia in separazione dei beni o di conviventi, ciascuna parte resta titolare dei propri beni e dei proventi della relativa attività lavorativa.

Mantenimento

Nel caso di matrimonio, nel caso di separazione, il coniuge economicamente più forte deve versare all’ex un assegno di mantenimento che possa garantirgli lo stesso tenore di vita che aveva quando ancora la coppia era sposata. Col divorzio, invece, questo assegno si riduce a quanto necessario per l’autosufficienza economica.

Invece, nel caso di convivenza, non c’è alcun obbligo di mantenimento salvo che le parti non abbiano previsto diversamente con il patto di convivenza.

Eredità

I coniugi sono l’uno erede dell’altro. Anzi, sono eredi legittimari: hanno cioè sempre diritto a una quota minima del patrimonio dell’altro più il diritto di abitazione nella casa familiare.

Il convivente non ha alcun diritto, per legge, all’eredità del partner, a meno che questi non lo abbia espressamente “citato” nel proprio testamento. Quindi, senza testamento, al convivente non spetta alcun bene del patrimonio del defunto. Questi ha solo diritto di abitazione nella casa famigliare per due anni oppure, se superiore, per il periodo pari alla durata della convivenza e comunque mai oltre cinque anni.

Eventuali lasciti fatti a favore del convivente con il testamento non possono mai andare a detrimento delle quote di legittima spettanti ai figli che, in quanto tali, sono eredi legittimari.

Pensione di reversibilità

Se al coniuge spetta la pensione di reversibilità dell’altro coniuge defunto, tale diritto non spetta in caso di convivenza.

Assistenza

In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.

Infine, tra i diritti riconosciuti ai partner c’è quello che riguarda l’assistenza del convivente in caso di necessità. Negli anni è stato rafforzato il diritto alla legge 104 per i conviventi di fatto e quindi anche ai tre giorni di permesso retribuito al mese.

Separazione

La separazione di una coppia sposata deve avvenire in modo formale per confluire poi nel divorzio. Deve quindi esserci la pronuncia di un giudice, l’atto dell’ufficiale del Comune di residenza o il contratto di negoziazione assistita fatto dagli avvocati delle parti.

Invece la separazione della coppia di conviventi avviene di fatto: non è necessario intraprendere alcuna procedura. Il ricorso al giudice serve solo per regolamentare l’affidamento, la collocazione e il mantenimento di eventuali figli se le parti non trovano un accordo.

 
Pubblicato : 6 Novembre 2023 10:30