Diffamazione nei confronti dell’amante
Risarcimento dei danni per le offese proferite nei confronti dell’amante del coniuge o del partner convivente.
Si può denunciare l’amante del proprio coniuge? Non di certo. L’obbligo di fedeltà vale solo per le persone sposate. Nessuna norma vieta al terzo estraneo di avere un rapporto amoroso con una persona legata in matrimonio ad un’altra. Una originale sentenza della Corte di Appello di Cagliari ha però condannato per violazione di domicilio l’amante che entra in casa senza il consenso del coniuge tradito [1].
A commettere reato però potrebbe essere il coniuge vittima dell’altrui infedeltà che, rivolgendosi all’altrui amante, lo aggredisca o lo insulti pubblicamente. In tali casi sono configurabili diversi reati, a seconda della condotta tenuta, il più frequente dei quali è certamente la diffamazione nei confronti dell’amante.
Di tanto si è occupata una recente sentenza del tribunale di Verona [2].
Parlare male dell’amante del coniuge è reato
Offendere l’amante del proprio coniuge, per quanto socialmente deplorevole possa essere il comportamento di chi sfalda l’altrui matrimonio, costituisce reato di diffamazione. Ma attenzione, il reato scatta solo se l’amante non è presente nel momento in cui vengono proferite le espressioni diffamatorie e sempre che le stesse vengano pronunciate in presenza di almeno due persone.
Difatti, parlare male di una persona con un’altra, senza altri presenti, non è reato. Lo diventa solo se il medesimo fatto viene riportato a più persone, negli stessi termini, seppur in occasioni tra loro temporalmente separate. Si pensi a chi parli male di qualcuno prima con Tizio, poi con Caia, poi ancora con Sempronio.
Non è neanche reato offendere l’amante parlandole male in faccia. In tal caso si configura l’ingiuria. L’ingiuria, a differenza della diffamazione, non è reato, ma un semplice illecito civile che dà diritto al risarcimento, a patto però che si possa dimostrare, da un lato, la condotta offensiva e, dall’altro, l’esistenza di un danno all’onore. Di tanto parleremo meglio più avanti. Si tenga per ora conto che difficilmente si riesce a fornire la prova dell’ingiuria. E ciò perché, nel processo civile, a differenza di quello penale, le dichiarazioni delle parti non possono essere acquisite agli atti di causa, non possono cioè essere considerate al pari di testimonianze. Bisognerebbe quindi avere le dichiarazioni di terzi presenti al momento o una registrazione audio/video.
Le minacce all’amante
Dire all’amante del propri coniuge «Non sai che ti faccio», «Ti rovino», «Guardati le spalle» e altre velate minacce costituisce reato. Non importa se poi le azioni non vengono portate a termine e se è inverosimile che lo siano. Il semplice fatto di paventare un male ingiusto è punito penalmente.
Come fa l’amante a chiedere i danni per le offese subìte
Tanto nel caso di diffamazione quanto di ingiuria, l’amante che è stata vittima delle offese può chiedere il risarcimento dei danni subiti all’onore e alla reputazione.
Nel caso di diffamazione, il risarcimento può essere chiesto nel corso del processo penale (semmai è stata sporta querela) attraverso la costituzione di parte civile. Oppure (qualora non sia stata avviata l’azione penale con la querela) con una causa civile.
Nel caso di ingiuria, l’unica strada è la causa civile in cui, come anticipato, andrà dimostrato anche il fatto oltre al danno.
Quanto spetta di risarcimento per le offese?
Il vero problema sia per la diffamazione che per l’ingiuria è il cosiddetto onere della prova. Secondo infatti la giurisprudenza, il danno risarcibile a seguito delle offese – sia che si tratti di ingiuria che di diffamazione – non è insito nella condotta: va dimostrato.
Il danno risarcibile non è automatico e va pertanto individuato non nella lesione del diritto inviolabile ma nelle conseguenze di tale lesione [2]. Sicché, la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova e la sua liquidazione deve essere compiuta dal Giudice sulla base non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima per come da questa dedotto e provato.
Nel caso esaminato dal tribunale di Verona, secondo il tribunale scaligero, le espressioni ingiuriose usate dalla moglie nei confronti della compagna dell’ex marito, dovevano essere contestualizzate poiché le espressioni pronunciate erano la reazione di una moglie “tradita”. Nella fattispecie comunque, il danno non patrimoniale richiesto dalla nuova compagna dell’ex marito della convenuta, riconosciuto come patimento d’animo che la stessa avrebbe sofferto, non è stato dimostrato, dovendosi allegare documentazione attestante lo stato di salute psichico di cui pretendeva il risarcimento. Inoltre, le prove orali richieste dall’attrice su capitoli di prova relativi allo stato d’animo della stessa e al suo patimento, sono state ritenute inammissibili perché formulate in maniera valutativa e generica e non demandabili ad un testimone, ma eventualmente da provarsi con consulenza medica.
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