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Debiti tra ex conviventi

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(@antonio-pagano)
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Sono stato convivente con la mia ex per 2 anni. Cosa succede ai debiti che ho contratto durante la convivenza?

La cosiddetta convivenza more uxorio è l’unione stabile e duratura tra due persone che liberamente scelgono di intrattenere una relazione affettiva vissuta in comunione di vita materiale e spirituale ma in mancanza di un atto giuridicamente vincolante quale il matrimonio: essa si regolarizza compilando il “Modulo di dichiarazione anagrafica di costituzione convivenza di fatto”.

Tale dichiarazione instaura e formalizza la convivenza ed è per tal motivo che la richiesta deve essere sottoscritta da entrambi. Dopo questo passaggio il convivente more uxorio viene riconosciuto legalmente e può godere di tutti i diritti previsti dalla normativa.

Essi si concretano nel diritto e dovere tra le due parti di assistenza morale e materiale, nonché nel diritto del convivente, che presta stabilmente la propria opera nell’impresa del partner, a vedersi riconosciuta una partecipazione agli utili, ai beni con essi acquistati e agli incrementi dell’azienda in misura proporzionale al lavoro prestato.

Orbene, capita però sovente che la convivenza non venga formalizzata: in questo caso, cosa accade ai debiti contratti per l’assistenza materiale reciproca, tipo il pagamento del canone nell’abitazione in cui si convive (e le spese ad esso connesse: spese condominiali, utenze di luce e gas, etc.), le spese alimentari e quant’altro nel caso in cui la convivenza venga a cessare?

In astratto sono configurabili 2 soluzioni:

A) Affermando la convivenza, tutte le spese sopra descritte chiaramente costituiscono l’estrinsecazione dell’obbligo di assistenza materiale e quindi necessariamente si compensano e non insorgono rapporti di debito/credito.

E ciò anche laddove non vi sia stato un eguale apporto all’assistenza da parte dei due conviventi: è possibile, infatti, che uno dei due abbia contribuito maggiormente alle spese determinate dalla convivenza, perché in situazione economica (di lavoro o di altri redditi derivanti da fonti extra lavorative: proprietà di immobili concessi in locazione a terzi, rendite derivanti da capitali finanziari, aiuti familiari, etc.) migliore dell’altro.

In tale ipotesi non v’è un computo matematico con compensazione della spesa maggiore verso quella minore sostenuta dall’altro convivente, con insorgenza di un diritto di credito per il residuo, ma compensazione totale tra le spese, perché tali spese sono state l’estrinsecazione di quel diritto/dovere  di assistenza morale e materiale sopra descritto.

Difatti, alla pari delle coppie legate da vincolo matrimoniale, può accadere che uno solo dei coniugi lavori, mentre l’altro decida (in accordo col partner) di dedicarsi alla cura della casa o dei figli, e l’apporto dato in termini di assistenza morale all’altro coniuge o all’allevamento dei figli compensa in toto l’apporto economico fornito dal coniuge lavoratore.

B) Viceversa, negando la convivenza, è palese che le spese vadano ripartite tra i due ex conviventi secondo un criterio di attribuzione formale: per cui se uno dei due conviventi abbia pagato le spese per la locazione dell’immobile in cui hanno convissuto (con un contratto di locazione  intestato unicamente a sè) e l’altro abbia contribuito a pagare il canone e le spese ad esso connesse, in mancanza di una prova di tale pagamento non potrà vantare alcun credito (per la metà) o un credito per la metà laddove possa comprovare tale apporto economico.

E va da sé che tale criterio di attribuzione formale serva anche ad affermare il diritto esclusivo dell’un convivente nei confronti dell’altro, per il possesso o la proprietà di beni o diritti che si condividevano durante la convivenza.

Per esempio, per l’abitazione condotta in locazione, potrà essere l’ex convivente titolare del contratto di locazione a chiedere all’altro di lasciare l’immobile, per il tempo in cui sarà cessata la convivenza, fino al punto di ritenere vi sia una violazione di domicilio nel caso in cui l’altro opponga il proprio rifiuto.

Difatti l’articolo 614 del codice penale, titolato “Violazione di domicilio”, stabilisce che “Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno.”

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Antonio Pagano

 
Pubblicato : 3 Giugno 2023 06:00