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Debiti di valore e debiti di valuta: differenza

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(@paolo-remer)
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Cosa succede se il pagamento avviene dopo molto tempo dall’insorgenza dell’obbligazione: quando c’è rivalutazione monetaria della somma per aggiornarla ai valori attuali.

La differenza tra debiti di valore e debiti di valuta è enorme: uno cammina con il tempo, e si rivaluta periodicamente, mentre l’altro no, e matura soltanto gli interessi sull’importo iniziale. Questo, in soldoni, può cambiare parecchio la cifra finale spettante al creditore, specialmente quando è passato un lungo periodo tra la data di insorgenza del debito e quella di liquidazione finale. A fini pratici, quindi, non basta dire, in maniera semplicistica, che sempre di debiti si tratta: i debiti di valore e i debiti di valuta nascono e crescono, nell’ammontare, in modo profondamente diverso l’uno dall’altro. Quindi tra essi c’è una profonda differenza che ora andiamo ad approfondire, perché ha un grosso impatto pratico e bisogna conoscere le regole di fondo, per evitare di trovarsi con un pugno di mosche in mano.

Come si aggiornano i vecchi debiti

La vera differenza tra debiti di valore e di valuta, come in tutti i rapporti finanziari, la fa il tempo trascorso tra il momento in cui l’obbligazione è sorta e quello in cui viene saldata. Questo periodo, più o meno lungo, a seconda del metodo di calcolo utilizzato può far lievitare esponenzialmente l’ammontare o farlo crescere di poco, o addirittura mantenerlo ai valori iniziali, come vedremo fra un attimo. In ogni caso, l’effetto della sommatoria degli interessi è quasi trascurabile nelle epoche in cui i tassi di interesse si mantengono bassi (parliamo di pochi decimi di punto percentuale all’anno), mentre la rivalutazione monetaria opera alla radice del debito e perciò ha un’influenza molto più consistente.

In questo meccanismo pesa moltissimo l’inflazione, che recentemente si è riaccesa, e fa schizzare all’insù gli importi nominali del debito, perché bisogna adottare i dovuti correttivi contro la progressiva svalutazione monetaria che erode a poco a poco il capitale. Molti ricordano che con diecimila lire negli anni 70 e 80 si compravano più cose che con cento euro attuali; tutti sanno che un euro di oggi vale meno di un euro di vent’anni fa, e questa tendenza è destinata, purtroppo, ad accentuarsi in futuro. Così la legge prevede delle cautele per proteggere i creditori, altrimenti i debitori se la caverebbero facilmente versando, a parecchi anni di distanza, un importo nominalmente esatto ma diventato nel frattempo praticamente irrisorio.

Tipi di debiti pecuniari

Per la legge civile, il debito pecuniario è l’obbligo di pagare una determinata somma di denaro a un’altra persona liberandosi mediante l’uso della moneta avente corso legale, e non attraverso altri tipi di prestazioni (la consegna di un oggetto, un servizio professionale, una valuta straniera non convertibile in Euro, un quantitativo di merce in cambio di quella ricevuta, ecc.).

Un debito di questo tipo può sorgere per i più svariati motivi: i più comuni sono i contratti (ad esempio, un mutuo bancario, o il corrispettivo pattuito per acquistare un bene o un servizio) e altri tipi di obbligazioni, come quella di mantenimento dell’ex coniuge e dei figli o la somministrazione degli alimenti; e ancora, le cambiali, gli assegni bancari, la restituzione di prestiti ricevuti, le somme dovute a titolo di indennità o risarcimento di danni in conseguenza di reati o altri fatti illeciti. Proprio qui, però, si annida la differenza che stiamo esaminando: il “gruppo” che abbiamo preso ad esempio non è omogeneo.

Come si pagano i debiti pecuniari

Come si estinguono tutti questi debiti che hanno per oggetto somme di denaro? In un modo molto semplice: pagando il dovuto. Ma se nel frattempo è trascorso del tempo, l’art. 1277 del Codice civile impone il severo «principio nominalistico», in base al quale il debitore si libera dalla sua obbligazione pagando la cifra inizialmente stabilita, anche se il suo potere d’acquisto si è modificato tra il momento di insorgenza del debito e quello della sua scadenza.

Vale a dire: nel 2008 avevo promesso di pagarti mille euro, e adesso, dopo 15 anni, ti do mille euro, non un centesimo di più (a meno che non siano stati convenuti interessi), anche se oggi il valore di quella cifra è sicuramente inferiore rispetto a prima. È evidente che questo principio va a favore del debitore, che a distanza di tempo, per effetto dell’inflazione maturata in tale periodo, pagherà, in termini reali, molto di meno. Il suo debito si è notevolmente alleggerito. E in molti casi questo non è giusto. Perciò è stata elaborata la distinzione tra debiti di valore e debiti di valuta.

Debiti di valore e debiti di valuta

Sia per i debiti di valore che per i debiti di valuta, la radice è la medesima: la causa fondante è sempre un obbligazione che per essere validamente adempiuta richiede il pagamento di una somma di denaro, ma la differenza sta nel fatto che:

  • i debiti di valuta nascono, sin dall’origine, come impegno – e vero e proprio obbligo giuridico – di consegnare una determinata somma di denaro: ad esempio, 100mila euro per l’acquisto di una casa, mille euro per la retribuzione mensile di un lavoratore dipendente, 500 euro per comprare uno smartphone, e così via. La maggior parte dei debiti è di questo tipo;

  • i debiti di valore sono previsti per risarcire un danno e, più in generale, per ristorare e compensare economicamente la parte lesa da un illecito che può aver colpito la sfera fisica, psichica o morale di un soggetto. In queste situazioni la compensazione monetaria avviene per equivalente in denaro, in modo da riparare nella migliore (e spesso unica) maniera possibile la situazione preesistente al fatto dannoso (la riparazione di un’auto danneggiata dall’incidente, il danno biologico e morale riconosciuto alle vittime di un sinistro ed ai loro eredi, il ristoro della reputazione colpita da una diffamazione a mezzo stampa, ecc.).

Liquidazione dei debiti di valore: come avviene

Ecco qual è il criterio per capire se ci troviamo di fronte a un debito di valore, anziché di valuta: se la somma dovuta non nasceva come obbligazione pecuniaria, ma diventa tale quando si procede alla sua liquidazione – come avviene nel caso di risarcimento del danno – allora il debito va considerato di valore, perché fino a quel momento l’importo non era stato quantificato in un determinato ammontare monetario.

Un ginocchio rotto, un familiare perduto o una reputazione lesa possono valere centomila euro oggi, così come valevano cento lire un secolo fa: cambia il metodo di quantificazione dell’importo da riconoscere ai danneggiati per risarcirli. La liquidazione dei debiti di valore richiede sempre la quantificazione monetaria, ora per allora, dell’ammontare che l’obbligazione aveva nel momento in cui era sorta, rivalutando la cifra per ragguagliarla al giusto importo da riconoscere adesso, cioè nel momento in cui avviene l’attribuzione definitiva della cifra (il valore del ginocchio rotto, liquidato dal giudice in sentenza, è di 100mila euro, pari a cento lire di un secolo fa; fra un secolo, la cifra per lo stesso ginocchio potrebbe essersi triplicata o decuplicata, magari usando una valuta diversa dall’Euro, ma senza che tutto ciò cambi il valore intrinseco che quella parte corporea ha per l’uomo cui appartiene e che ne ha subito la rottura).

Da quel momento in poi, e cioè quando la quantificazione a livello monetario è avvenuta, il debito di valore si trasforma in un debito di valuta, e segue le ordinarie regole, a partire da quella del principio nominalistico. Quindi, ad esempio, a norma dell’art.1224 del Codice civile  – intitolato: «danni nelle obbligazioni pecuniarie», dal giorno della messa in mora sono dovuti anche gli interessi legali, in aggiunta alla somma iniziale, in caso di ritardo nell’inadempimento, e questo vale «anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno».

Debiti di valore e di valuta: coesistenza e compensazione

In casi particolari, debiti di valore e debiti di valuta possono coesistere nella stessa vicenda intercorrente tra due o più soggetti e nella conseguente causa giudiziaria, come avviene quando il debitore oppone, in compensazione, un controcredito, per farlo valere a scomputo della somma dovuta. Un caso del genere, di coesistenza di debiti e crediti reciproci ma aventi natura diversa, è stato deciso di recente dalla Cassazione [1]: una cooperativa aveva chiesto al suo ex amministratore il risarcimento dei danni per cattiva gestione, ma costui aveva chiesto il pagamento dei compensi che non gli erano stati mai pagati.

Però si trattava di tipi di debiti diversi: il primo era un debito di valore, il secondo di valuta. Quindi – come ha affermato la Suprema Corte annullando la decisione di merito, che aveva errato sul punto – prima di mettere in compensazione le due cifre con una semplice operazione algebrica, bisogna operare la rivalutazione monetaria del debito di valore sorto a titolo di risarcimento del danno, e dunque calcolare l’incidenza della svalutazione dovuta all’inflazione maturata nel periodo. L’altra cifra sulla bilancia, invece, essendo un debito di valuta, rimane immutata in quanto soggiace al principio nominalistico che abbiamo esaminato. Nel caso deciso, il diverso metodo di calcolo ha comportato una differenza di oltre 50mila euro a favore della cooperativa, che vantava un credito di valore, e contro l’amministratore, che aveva un credito di valuta.

In estrema sintesi, queste operazioni sono necessarie perché – come abbiamo visto – la liquidazione delle obbligazioni di valore richiede la quantificazione monetaria del valore che l’obbligazione aveva nel momento in cui era sorta, rivalutando la cifra per ragguagliarla all’importo da riconoscere al momento della liquidazione; da quel momento, e sino a quando avverrà il pagamento effettivo, si aggiungono anche gli interessi.

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Pubblicato : 21 Dicembre 2022 07:00