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Danno all’immagine: come ottenere il risarcimento?

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(@angelo-greco)
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Non si può risarcire il danno morale senza concretamente accertare l’effettivo pregiudizio subito dalla vittima di ingiuria o diffamazione. Vanno descritte e comprovate le conseguenze tangibili derivate dall’illecito.

Se una persona offende un’altra, quest’ultima ha diritto a essere risarcita. Ma solo a patto che dimostri di aver subito un danno concreto e attuale. Il semplice illecito – si tratti di ingiuria o diffamazione – non è sufficiente per chiedere i danni se non c’è la prova di un effettivo e dimostrabile pregiudizio morale e/o economico.

È questo l’orientamento sposato dalla nostra giurisprudenza: non c’è alcun automatismo tra illecito e risarcimento. Il danno non è cioè insito nel fatto contrario alla legge. Non ti basta dimostrare di essere stato offeso per arricchirti. Ma allora come ottenere il risarcimento per danno all’immagine? Proviamo a fare il punto della situazione tenendo conto delle indicazioni fornite proprio dai giudici. 

Quando c’è danno all’immagine?

Il danno all’immagine consegue sempre a un’offesa che travalica i limiti costituzionali della libertà di espressione e di critica. Si deve trattare di un attacco all’altrui moralità o professionalità, volto a screditare la vittima, a danneggiare la sua reputazione.

A seconda di come si è consumato il comportamento, il danno all’immagine può essere un illecito civile o penale. Vediamoli singolarmente.

Ingiuria

L’illecito civile è costituito dall’ingiuria: si tratta della classica offesa pronunciata all’indirizzo di una persona, ossia in sua presenza, anche in presenza di più persone o in risposta a un suo post o commento sui social. La vittima deve quindi poter percepire l’offesa in quanto comunicata a essa stessa. 

L’ingiuria non è un reato dal 2016, sicché la parte lesa può solo agire in via civile per ottenere il risarcimento del danno. 

All’esito del processo, le cui spese legali sono anticipate da chi agisce, il giudice può comminare una multa da versare allo Stato che va da 100 a 8.000 euro; se però c’è l’attribuzione di un fatto determinato o commesso in presenza di più persone, la sanzione va da 200 a 12.000 euro.

Diffamazione

L’illecito penale è invece costituito dalla diffamazione. A differenza dell’ingiuria, in questo caso il reo non si rivolge alla vittima, che è assente, ma ad almeno due persone, anche in momenti tra loro distinti (purché il contenuto dell’offesa sia identico). Potrebbe essere anche il post pubblicato su un social, nel qual caso la diffamazione sarebbe “aggravata” per via dell’uso di un mezzo che consente la massima diffusione del messaggio.

In questo caso la vittima ha tre chance per difendersi. 

Può innanzitutto sporgere querela entro tre mesi da quando ha avuto conoscenza del fatto, dinanzi alla polizia, ai carabinieri o direttamente in Procura della Repubblica. Al termine delle indagini si instaura il processo penale nel corso del quale la vittima si costituisce, a mezzo di un avvocato, per chiedere un risarcimento in via provvisionale. È la cosiddetta costituzione di parte civile. Il giudice penale liquida una sorta di anticipo; la vittima che però voglia la completa quantificazione può poi proporre un secondo giudizio, questa volta in via civile, per dimostrare l’esatto ammontare del pregiudizio.

In alternativa la vittima può presentare la querela e, per quanto attiene al risarcimento, agire autonomamente in via civile, senza però la costituzione di parte civile.

In ultimo, la vittima potrebbe rinunciare all’azione penale e chiedere direttamente il risarcimento in via civile. 

Come si determina il danno all’immagine?

Il danno all’immagine scaturente da un’ingiuria o una diffamazione può avere due connotazioni:

  • danno morale: è il danno all’onore e alla reputazione; è costituito dal pregiudizio interiore e alla vita di relazione della vittima;
  • danno economico: è il pregiudizio patrimoniale subito dalla vittima per via dell’offesa. Si pensi a un professionista che, per colpa delle altrui maldicenze, abbia visto ridursi la propria clientela. 

Danno morale

Spetta alla vittima dimostrare il danno. Il giudice può tenere conto delle circostanze del caso concreto per quantificare il danno in assenza di elementi certi. Queste circostanze sono:

  • la diffusione dell’offesa: il danno è tanto maggiore quante più persone hanno potuto sentire o leggere l’offesa;
  • la rilevanza dell’offesa: ci sono diversi tipi di illazioni che comportano una più o meno intensa lesione della reputazione. Dire di una persona che è un pagliaccio o un incompetente non è grave come insinuare che è mafiosa;
  • la posizione sociale della vittima: il danno è tanto maggiore quanto più delicata e di rilievo pubblico è la posizione sociale o lavorativa della vittima;
  • la durata dell’offesa: quando si tratta di scritti pubblicati su internet è molto importante considerare per quanto tempo il post è rimasto online e quindi visibile. Se è stato prontamente cancellato, il danno sarà certamente inferiore.

Danno economico

Per il danno economico invece bisognerà determinare eventuali cali di fatturato, riduzione di guadagni e spese sostenute per riparare al danno. 

La prova della riduzione dei compensi dichiarati al fisco potrebbe però non essere sufficiente. Infatti ci sono svariati fattori che possono incidere sui guadagni di un contribuente, come l’andamento dell’economia o una minore presenza sul lavoro. Il giudice allora potrebbe quantificare il danno in via equitativa, ossia sulla base di quanto gli appare giusto nel caso concreto.

L’onere della prova nel danno all’immagine

Come si diceva, spetta al danneggiato dimostrare non solo il comportamento offensivo – ossia l’ingiuria o la diffamazione – ma anche il danno subito. L’indirizzo della Cassazione [1] è quello secondo cui, in tema di responsabilità civile derivante da pregiudizio all’immagine e alla reputazione, il danno risarcibile non va individuato nella lesione del diritto, ma nelle conseguenze di questa lesione. Sicché la sussistenza del danno non patrimoniale deve necessariamente essere oggetto di prova e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice non sulla base di valutazioni astratte, ma del concreto pregiudizio patito e provato dalla vittima. 

Di certo, la lesione di un interesse protetto dalla legge è il presupposto del danno. Tuttavia, giova rimarcarlo, non è essa il danno. In realtà, il danno non consiste nella lesione di un diritto, ma nelle conseguenze pregiudizievoli scaturite. Una lesione di diritto da cui non derivi alcun danno patrimoniale o sofferenza morale, non fa sorgere diritti al risarcimento proprio perché manca la perdita da rifondere. E il nostro ordinamento non ammette ingiustificati arricchimenti, anche dagli illeciti altrui. Insomma non sono ammesse “cause di principio”.

Questo principio si desume dall’articolo 1223 del codice civile a norma del quale: «Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta».

In seguito, questo principio è stato definitivamente confermato dalle Sezioni Unite della Cassazione [2] e da numerose sentenze a sezioni semplici [3]. 

Ne discende che il danno non patrimoniale derivato da una lesione dell’onore e della reputazione non può essere risarcito per il solo fatto che sia stata accertata la condotta illecita. Nella liquidazione del danno non patrimoniale da lesione dell’onore e della reputazione il giudice deve tenere conto non di valutazioni astratte, ma del concreto pregiudizio patito e dimostrato dalla vittima.

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Pubblicato : 6 Febbraio 2023 16:15