Creditori del figlio escluso dal testamento: quali tutele?
Mio padre mi escluderà dal suo testamento destinando tutto a sua moglie, cioè mia madre. Io concordo con questa scelta. Ma come evitare che ne approfittino altri parenti? E che accade con miei eventuali creditori?
Se suo padre farà testamento e non la indicherà come erede, lei verrà a trovarsi nella situazione di legittimario pretermesso.
Il legittimario è infatti l’erede a cui, quando il defunto fa testamento, la legge riconosce il diritto intangibile ad avere una quota del patrimonio indipendentemente dalla volontà del testatore (cioè di chi fa testamento).
Nel caso in cui la persona che viene a mancare abbia un coniuge ed un figlio, la legge riconosce al coniuge il diritto di avere un terzo dell’eredità ed al figlio (lei nel nostro caso) un terzo dell’eredità.
Il restante terzo il testatore (cioè colui che fa testamento) è libero di destinarlo a chiunque desideri (lo può aggiungere alle quote spettanti al coniuge o al figlio o potrebbe anche destinare questo ultimo terzo anche ad un estraneo).
I legittimari sono, per la legge italiana, solo il coniuge e i figli del defunto.
Lei, perciò, è un erede legittimario al quale per legge spetterebbe (in assenza di altri figli di suo padre) un terzo dell’eredità.
Se suo padre non la nominasse erede nel suo testamento e non le riservasse questo terzo dell’eredità che le spetta, lei sarebbe, come le dicevo non solo un legittimario, ma un legittimario pretermesso, cioè un erede a cui spetta per legge una quota di eredità (un terzo), ma al quale questa quota non è stata riconosciuta (questo significa il termine pretermesso).
Gli eredi legittimari pretermessi possono, volendo, recuperare la quota di eredità che non è stata loro riconosciuta nel testamento e possono recuperarla avviando un’azione legale nei confronti degli altri eredi (nel suo caso sua madre) che è chiamata azione di riduzione.
Se il suo intento è quello di assecondare la volontà di suo padre e di non contestare il contenuto del testamento (cioè di non agire per recuperare il terzo dell’eredità che per legge le spetterebbe), il suggerimento è quello di rinunciare all’azione di riduzione.
Lei, infatti, avrebbe dieci anni di tempo (a partire dalla morte di suo padre) per poter avviare l’azione di riduzione per recuperare il terzo dell’eredità che le spetta.
Ma se la sua volontà è quella, come leggo nel testo del quesito, di permettere a sua madre di subentrare senza problemi nei beni di suo padre e di non reclamare il terzo che la legge le assegna, allora sarà opportuno (ma lo potrà fare solo dopo il decesso di suo padre) di rinunciare all’azione di riduzione (la rinuncia va fatta recandosi da un notaio che provvederà a redigere l’atto e, poi, a trascriverlo nei pubblici registri; una volta fatta, la rinuncia è irrevocabile).
Con la rinuncia all’azione di riduzione, lei rinuncerà per sempre ad ottenere il terzo dell’eredità che la legge le assegna.
Tenga conto che, in quanto, legittimario pretermesso (cioè erede escluso del tutto dalla successione in quanto nemmeno citato nel testamento), lei non può né accettare l’eredità e nemmeno rinunciarvi (perché non essendo stato citato in testamento, lei non può essere definito “soggetto chiamato all’eredità” e, quindi, non può accettarla né rinunciarvi).
Lei potrebbe però, come le dicevo, iniziare un’azione di riduzione entro dieci anni dalla morte di suo padre, ma se intende evitare che sua madre resti in questa incertezza, può rinunciare all’azione di riduzione.
Questo è l’atto fondamentale che consente di cristallizzare (cioè rendere definitivo) il contenuto del testamento considerato che è solo sei (in quanto soggetto leso nei suoi diritti dal contenuto del testamento) a poterne mettere in discussione il contenuto.
Non ci sono, infatti, altri possibili eredi che potrebbero pretendere qualcosa da suo padre (gli unici siete lei e sua madre): nulla spetta per legge, ad esempio, a eventuali fratelli o sorelle di suo padre e nemmeno ad altri più lontani parenti.
Resta però da considerare un aspetto del problema.
La sua rinuncia all’azione di riduzione potrebbe non essere gradita ai suoi eventuali creditori (fisco compreso).
In altri termini; se lei ha dei creditori (compreso il fisco), questi potrebbero avviare:
- un’azione revocatoria (in surrogatoria) contro di lei per far dichiarare inefficace nei loro confronti la sua rinuncia all’azione di riduzione e ottenere di poter aggredire, per pignorarla, la quota di eredità che le sarebbe spettata (ovviamente in presenza dei requisiti necessari per poter agire in revocatoria e cioè solo a condizione che la sua rinuncia all’azione di riduzione possa effettivamente aver reso più difficile per i suoi eventuali creditori il soddisfacimento del loro credito: in questo senso Corte di Cassazione, sentenza n. 16.623 del 20 giugno 2019).
E, concludendo, la rinuncia all’azione di riduzione resta l’atto consigliabile per rendere definitiva la situazione indicata in testamento (cioè per consentire a sua madre il subentro nei beni e nelle attività di suo padre senza l’assillo di una sua eventuale contestazione del contenuto del testamento), salvo poi però la possibilità per i suoi eventuali creditori di agire per ottenere la revocatoria della sua rinuncia all’azione di riduzione.
In alternativa lei potrebbe restare inerte, cioè non fare nulla dopo la pubblicazione del testamento: né avviare un’azione di riduzione per ottenere il terzo dell’eredità che le spetta, né rinunciare espressamente all’azione di riduzione.
Anche in questo caso, però, autorevole dottrina e recente giurisprudenza ritengono che i suoi creditori (se lei ne avesse, compreso il fisco) possano, in applicazione analogica dell’articolo 481 del Codice civile, chiedere al giudice che le venga fissato un termine per dichiarare se intende o meno esercitare l’azione di riduzione per recuperare il terzo di eredità che le spetta. Nel caso in cui lei dichiarasse di non voler esercitare l’azione di riduzione, i suoi creditori sarebbero autorizzati ad impugnare la sua rinunzia con lo scopo di esercitare l’azione di riduzione al suo posto per soddisfarsi dei loro crediti aggredendo i beni dell’eredità che le spettavano.
In sostanza, e concludendo, i suoi creditori hanno sempre la possibilità (sia che lei rinunci all’azione di riduzione, sia che lei resti inerte dopo la morte di suo padre) di chiedere al giudice di sostituirsi a lei per poter aggredire i beni che sarebbero spettati a lei (pro quota) se lei avesse direttamente avviato un’azione di riduzione (a condizione, mi ripeto, che dalla sua rinuncia all’azione di riduzione o dalla sua inerzia, derivi a loro effettivamente un danno nella possibilità di riscuotere i loro crediti).
Quanto al resto, tenga conto che:
- la dichiarazione di successione, in presenza di immobili nell’eredità, è obbligatoria e va effettuata entro un anno dal decesso (è preferibile che venga effettuata a cura dell’erede chiamato, che sarebbe sua madre, e non a sua cura in quanto erede pretermesso);
- gli eredi pretermessi (cioè lei) non rispondono dei debiti fiscali che aveva il defunto proprio perché essi non acquistano la qualità di eredi se non dopo aver vinto l’azione di riduzione eventualmente da loro avviata (e se vi rinunciano non saranno mai eredi).
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte
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