Cos’è il divieto di patto commissorio
È valido l’accordo tra debitore e creditore con cui stabiliscono che, in caso di mancato pagamento, un bene di proprietà del debitore diventi di proprietà del creditore?
Si sente spesso parlare di divieto di patto commissorio, divieto previsto dal codice civile. Ma di cosa si tratta? Prima ancora di vedere cosa stabiliscono queste due norme, cerchiamo di comprendere, nella pratica, cos’è il patto commissorio e perché è vietato in Italia.
Scopriremo anche che esistono tanti stratagemmi usati dalla gente per violare il divieto di patto commissorio e che la giurisprudenza ha dichiarato la nullità anche di questi.
Termineremo l’articolo evidenziando la differenza tra patto commissorio e patto marciano e vedremo che quest’ultimo è consentito.
Cos’è il patto commissorio
Per dirla con due parole, il patto commissorio è l’accordo tra debitore e creditore con cui si stabilisce che, in caso di mancato pagamento del debitore (inadempimento), un bene di proprietà di quest’ultimo (che assume quindi la funzione di garanzia) passa in proprietà del creditore. Per comprendere meglio questo schema contrattuale facciamo un esempio.
Immaginiamo che Tizio chieda un prestito a Caio e che quest’ultimo glielo conceda facendogli però firmare una scrittura privata con cui si impegni, in caso di impossibilità a restituire la somma, a trasferirgli la proprietà della propria casa. L’immobile così costituisce una garanzia per il mutuante, per colui cioè che eroga il prestito.
Ebbene, un accordo del genere non è legale. La nostra legge vieta che il creditore possa trarre arricchimento ingiustificato dalla condizione di difficoltà del debitore. Tutto ciò che potrebbe fare il creditore per tutelare le proprie ragioni è iscrivere un’ipoteca sulla casa del debitore al momento della concessione del prestito e, in caso di inadempimento, metterla all’asta. A quel punto, la vendita sarà gestita dal tribunale attraverso il cosiddetto pignoramento immobiliare. In questo modo, il prezzo ricavato dall’aggiudicazione del bene verrà assegnato dal giudice al creditore procedente (fino a coprire il capitale prestato, gli interessi e le spese di procedura) mentre l’eventuale residuo verrà restituito al debitore. Questo sistema da un lato garantisce la soddisfazione del creditore e, dall’altro, impedisce che il debitore, in condizioni di difficoltà economica, si impegni per un valore superiore alla somma richiesta.
Ecco dunque cos’è il divieto di patto commissorio: esso implica la nullità di quella clausola contrattuale che prevede il passaggio automatico della proprietà di un bene dal debitore al creditore in caso di inadempimento da parte del primo.
Inutile dire che tale clausola è utilizzata come forma di garanzia per il creditore, poiché gli garantisce il possesso di un bene di valore in caso di mancato adempimento da parte del debitore. Ma proprio per gli abusi che tale clausola può comportare, più simile a una forma di strozzinaggio, per il nostro diritto è illegittima.
Come funziona il divieto di patto commissorio?
Il divieto di patto commissorio comporta la nullità non già dell’intero contratto di prestito ma solo dell’obbligo di trasferire la proprietà del bene. Il che significa che, fermo restando il debito da restituire, il creditore potrà solo tutelarsi attivando un pignoramento dei beni del debitore, per poi metterli all’asta e soddisfarsi secondo le regole del codice di procedura civile.
In buona sostanza, il creditore non potrà rivolgersi a un giudice per ottenere il rispetto dell’accordo contrattuale che il debitore aveva stipulato.
Il divieto di patto commissorio viene sancito espressamente dall’articolo 2744 del codice civile in base al quale: «È nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno».
Come viene aggirato il divieto di patto commissorio?
Molto spesso però, nella pratica, si tenta di superare il divieto di patto commissorio con degli stratagemmi. Per comprenderlo facciamo un esempio.
Nel caso che abbiamo visto sopra, Tizio effettua un prestito a Caio e poi, con una autonoma scrittura privata, i due firmano un compromesso (ossia un contratto preliminare). In esso, indipendentemente dal prestito – e soprattutto senza citarlo – il debitore si impegna a trasferire la proprietà di un proprio immobile al creditore entro una determinata data, a un prezzo irrisorio. La data è, “coincidenza”, quella della scadenza della restituzione del prestito. È chiaro allora che il creditore farà valere il compromesso, e pretenderà il trasferimento dell’immobile se non ha ricevuto le somme che aveva prestato.
Si deve trattare chiaramente del compromesso di una vendita, essendo nullo quello per la donazione. Difatti, impegnarsi a donare in futuro un bene è un patto invalido per il nostro ordinamento.
Proprio di recente la Cassazione [1] ha affermato che anche un contratto preliminare di vendita immobiliare può essere dichiarato nullo se viola il divieto di patto commissorio. Ma come si fa a dimostrare che il compromesso serve proprio da garanzia al prestito? Secondo i giudici, la prova della simulazione del negozio finalizzato a garantire la restituzione di una somma concessa a titolo di prestito può essere fornita anche tramite testimoni.
La Suprema corte ha affermato che il divieto del patto commissorio va interpretato non secondo un criterio formalistico e strettamente letterale, ma secondo un criterio sostanziale, finalizzato a una più efficace tutela del debitore, in tal modo contrastando l’attuazione di strumenti di garanzia diversi da quelli legali. Ne consegue che anche un contratto preliminare di compravendita può dissimulare un mutuo con patto commissorio, anche se non è previsto il passaggio immediato del possesso del bene, qualora la promessa di vendita abbia la funzione di garantire la restituzione, entro un certo termine, della somma precedentemente o contemporaneamente data a titolo di mutuo.
Il patto commissorio, quindi, ha concluso la Cassazione, è ravvisabile anche rispetto a più negozi tra loro collegati, qualora scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il meccanismo negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, a uno scopo di garanzia, a prescindere dalla natura meramente obbligatoria, o traslativa del contratto.
Vi sono altri casi in cui la giurisprudenza ha ravvisato una violazione del divieto del patto commissorio. È infatti nullo anche il conferimento dal mutuatario al mutuante, contestualmente alla stipulazione del mutuo, della procura a vendere un immobile, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale [2]. Nel patto commissorio di fatto il creditore diviene proprietario del bene del debitore inadempiente senza corrispondere a quest’ultimo l’eventuale differenza tra il valore del bene e quello del debito.
Quando il debitore può trasferire il proprio immobile al creditore
Esiste un solo caso in cui debitore e creditore possono accordarsi per la vendita di un bene in garanzia. È il cosiddetto «trasferimento diretto del bene in garanzia alla banca». In particolare, nei contratti di mutuo tra banche e imprese è stata introdotta, dal 3 luglio 2016, la possibilità di prevedere una garanzia ulteriore oltre all’ipoteca, ossia il cosiddetto patto marciano [3].
La legge consente alle banche e alle finanziarie di ottenere, a proprio favore, in caso di mancato rispetto del contratto di mutuo, il trasferimento dell’immobile del debitore mutuatario (o di un terzo). Così il creditore non è costretto ad iniziare una procedura esecutiva, ma può direttamente divenire proprietario dell’immobile.
Pertanto, se il mutuatario si rende inadempiente non versando le rate del mutuo concordate, la banca acquisisce definitivamente la proprietà dell’immobile, notificando al cliente la sua intenzione di avvalersi degli effetti del contratto di trasferimento della proprietà; decorsi 60 giorni dalla richiesta, la banca è tenuta a chiedere al tribunale competente di nominare un perito che valuti l’immobile con relazione di stima giurata.
A questo punto, se l’immobile è di valore:
- inferiore al debito, la banca ne diventa immediatamente proprietaria;
- superiore al debito, la proprietà dell’immobile si trasferisce alla banca nel momento in cui questa corrisponde al debitore la differenza tra il valore dell’immobile e il debito.
Attraverso tale garanzia la banca ha la possibilità di vendere direttamente l’immobile senza necessità di avviare alcuna procedura esecutiva.
Se il cliente è un consumatore, la banca non può condizionare la conclusione del mutuo alla sua sottoscrizione o imporre al consumatore oneri superiori a quelli necessari a compensare i costi sostenuti a causa dell’inadempimento. Inoltre al consumatore deve essere garantita l’assistenza, a titolo gratuito, di un consulente per valutare la convenienza della stessa.
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