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Cos’è il diritto del minore alla continuità affettiva?

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(@adele-margherita-falcetta)
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Quello che prevede la legge e stabisce la giurisprudenza in ordine alla necessità di garantire a ogni bambino legami affettivi solidi e duraturi.

Nella vita di ogni minore, anche nelle situazioni più comuni e apparentemente banali, il diritto alla continuità affettiva riveste un ruolo di fondamentale importanza. Immaginiamo, ad esempio, un bambino che si sveglia ogni mattina e trova sempre la stessa persona pronta a dargli un abbraccio e un bacio prima di iniziare la giornata. Questo gesto, apparentemente semplice, rappresenta un importante pilastro per il suo sviluppo emotivo e psicologico. Ma cos’è esattamente il diritto del minore alla continuità affettiva? In questo articolo esploreremo in dettaglio questo concetto cruciale, analizzando le sue implicazioni giuridiche e l’importanza di preservare il legame affettivo tra un bambino e i suoi genitori, affidatari e altri adulti significativi, alla luce delle previsioni normativ e dei più recenti orientamenti giurisprudenziali.

Cos’è l’affidamento temporaneo?

La finalità principale dell’affidamento temporaneo di un minore risiede nel fornire al bambino un contesto di vita equilibrato e pacifico, dove possa ricevere affetto e cura adeguati (art. 2 e seguenti legge n. 184/1983).

  • I minori che, a causa di circostanze gravi, sono obbligati a lasciare il nucleo familiare di origine, sono inizialmente posti sotto la protezione dei servizi sociali. Questi ultimi hanno la responsabilità di assegnarli provvisoriamente a parenti o ad altre famiglie.Accettare un minore in affidamento implica l’impegno a integrarlo nella propria esistenza quotidiana, provvedendo alle sue necessità, offrendogli affetto e assicurandogli un’educazione e cure che non ha ricevuto nella sua famiglia naturale.

    Ecco quali sono le situazioni in cui più frequentemente un nucleo familiare viene considerato inadatto all’educazione del proprio figlio, perdendo di conseguenza il diritto di occuparsi di lui:

    comportamenti negligenti, disattenzioni gravi, abusi sul minore;

  • un  contesto familiare segnato da violenza, sia psicologica che fisica;
  • crisi economica estremamente grave;
  • stati di salute precari.

In queste e altre circostanze, gli assistenti sociali sono designati per assistere il bambino, ma è compito del giudice minorile ordinare l’allontanamento dello stesso dai genitori biologici e valutare un suo possibile collocamento presso altra famiglia.

Secondo quanto prescritto dalla normativa vigente, gli individui che possono offrirsi per un affidamento possono essere:

  • coppie sposate con prole minorenne;
  • individui soli o coppie senza figli;
  • comunità a carattere familiare.

L’affidamento, noto anche come volontario, richiede l’accordo di varie parti, incluso quello dei genitori biologici del bambino. Tuttavia, questi non acconsentono, il Tribunale ha il potere di autorizzare ugualmente il collocamento presso un’altra famiglia, se ritiene che sia nel miglior interesse del minore.

Essendo una misura temporanea, la legge stabilisce che l’affidamento non deve superare i due mesi. Se questo periodo si estende, il decreto perde efficacia non appena il beneficiario raggiunge la maggiore età. In alcuni casi, il provvedimento può essere prorogato oltre i limiti fissati, se vi sono in atto piani specifici che necessitano di essere completati, sempre in accordo con i servizi sociali.

Questo istituto, di natura temporanea, serve come supporto educativo ed emotivo per il minore, mantenendo i legami con la famiglia di origine, alla quale può fare ritorno una volta risolti i problemi che hanno causato l’allontanamento.

Cos’è l’adozione?

L’azione di adottare un bambino non è limitata alla sola accoglienza di un minore in condizioni di difficoltà e bisognoso di attenzioni, ma implica un impegno più profondo: si diventa la sua famiglia permanente e a lungo termine.

I requisiti per diventare genitori adottivi sono i seguenti:

  • essere uniti in matrimonio da almeno tre anni, o conviventi non sposati per lo stesso periodo;
  • non essere in stato di separazione;
  • avere un’età maggiore di almeno 18 anni rispetto a quella del minore adottato, senza eccedere i 45 anni di differenza;
  • disporre di una solida condizione economica e lavorativa;
  • godere di un ottimo stato di salute fisica e mentale.

L’adozione è una misura permanente che entra in gioco quando un minore viene dichiarato in stato di abbandono, in linea con la vigente normativa sull’adozione nazionale (art. 6 e seguenti legge n. 184/1983).

Di conseguenza, la situazione del bambino cambia radicalmente: non si affronta più una difficoltà temporanea, ma un cambiamento definitivo che interrompe i legami con la famiglia di origine.

Affidamento e adozione; quali differenze?

Affidamento e adozione si distinguono per alcuni aspetti fondamentali, che, basandosi su quanto già esposto, possono essere elencati come segue:

  • periodo di validità. L’affidamento è una soluzione provvisoria, adottata in risposta a una crisi momentanea nella famiglia naturale del minore; l’adozione, al contrario, è una misura permanente;
  • condizione legale del minore. Nell’adozione, che è un atto duraturo, il minore diventa legalmente figlio della coppia adottante, acquisendo anche il loro cognome. Questo non si verifica in caso di affidamento;
  • relazioni con la famiglia biologica. Durante il periodo di affidamento, il minore mantiene i contatti con i genitori biologici e può ritornare nella propria famiglia originaria una volta migliorata la situazione. Invece, con l’adozione, i legami precedenti cessano;
  • età dei genitori adottanti. Per quanto riguarda l’affidamento, non esistono restrizioni legate alla differenza di età tra il minore e chi lo prende in custodia, a differenza di quanto previsto nei criteri per l’adozione.

Cos’è il diritto alla continuità affettiva?

La normativa vigente prevede che la durata massima dell’affidamento sia di due mesi. Tuttavia, come evidenziato da numerosi casi pratici, queste tempistiche tendono ad allungarsi.

Una modifica legislativa, introdotta dalla legge n. 173/2015, nota come Legge sulla continuità affettiva, ha permesso la proroga dell’affidamento oltre i limiti inizialmente stabiliti, con la potenziale evoluzione in adozione.

Questa normativa prevede un percorso agevolato per le adozioni da parte di famiglie che hanno in affidamento minori abbandonati, basandosi sul principio che il Tribunale per i Minorenni deve valutare i significativi legami affettivi e la relazione solida e duratura che si è sviluppata tra il minore e la famiglia affidataria.

Un aspetto cruciale è l’ascolto del minore da parte del Tribunale, al fine di rispettarne le esigenze e considerare prioritario il suo benessere.

Le famiglie affidatarie con l’intenzione di adottare il minore a loro affidato devono soddisfare i requisiti legali specifici, come già descritto in precedenza.

Il diritto alla continuità affettiva vale anche per persone estranee al minore?

Abbiamo visto cos’è il diritto del minore alla continuità affettiva. È stata sollevata una questione riguardante la possibilità di far valere il diritto sopra menzionato anche in presenza di una semplice relazione di fatto con il minore.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 35537/2023, ha escluso questa possibilità, stabilendo alcuni principi rilevanti in questo ambito.

La Corte ha precisato, in primo luogo, che il diritto del bambino in affidamento esterno alla famiglia di mantenere legami affettivi con persone non biologicamente imparentate con lui è un diritto del minore stesso, non dell’adulto. Di conseguenza, coloro che hanno in affidamento il minore non sono autorizzati ad agire per il rispetto di tale diritto, così come non lo è chi intrattiene con lui unicamente una relazione di fatto (ad esempio un amico della famiglia affidataria).

D’altra parte è stato chiarito che l’interruzione ingiustificata di relazioni significative instaurate dal minore con individui non consanguinei costituisce un’azione dannosa ai sensi dell’art. 333 cod. civ.. In queste circostanze, il giudice può adottare misure appropriate nell’interesse del minore.

Coloro che sono legittimati a presentare richieste in questo contesto sono i genitori, i parenti, il tutore o il pubblico ministero (art. 336 cod. civ.); tuttavia, anche soggetti non inclusi in questa lista possono sollecitare l’intervento del pubblico ministero per la salvaguardia dei diritti e degli interessi del minore.

 
Pubblicato : 17 Marzo 2024 14:30