Cosa succede se non accetto riduzione orario di lavoro?
Cosa accade se un dipendente non accetta cambi di orario da part-time a full-time o viceversa? La Cassazione chiarisce.
La gestione dell’orario lavorativo è rimessa al datore di lavoro in quanto responsabile dell’organizzazione aziendale. Egli ne subisce oneri e onori. Tuttavia eventuali modifiche ai turni o la trasformazione del contratto da part-time a full-time e, viceversa, da full-time a part-time devono pur sempre trovare una valida giustificazione in ragioni organizzative e produttive. ‘Non possono essere l’espediente per una ritorsione nei confronti di un lavoratore scomodo. Questo significa che laddove il dipendente venga licenziato solo perché ha rifiutato la modifica dell’orario, senza però che a fondamento del provvedimento aziendale vi siano effettive e comprovabili esigenze di carattere interno, l’atto di risoluzione del rapporto di lavoro è nullo.
Vediamo più da vicino cosa succede se il dipendente non accetta la riduzione dell’orario di lavoroo, al contrario, non vuole il passaggio da un contratto a tempo parziale a uno pieno. Lo faremo tenendo conto di alcune pronunce della Cassazione che, specie in quest’ultimo periodo, hanno ormai confermato l’interpretazione più favorevole al prestatore di lavoro. Ma procediamo ordine.
Può un dipendente rifiutare una variazione oraria imposta?
Un dipendente ha il diritto di rifiutare una variazione del suo orario di lavoro, come il passaggio da un contratto part-time a uno full-time. Questa è una prerogativa riconosciuta dalla giurisprudenza, che tutela il lavoratore dal dover accettare condizioni lavorative non concordate all’atto dell’assunzione.
In quali casi il rifiuto può portare a licenziamento?
La Cassazione (ord. 30093 del 30 ottobre 2023) ha stabilito che un licenziamento fondato unicamente sul rifiuto di variazione dell’orario di lavoro non è legittimo. Il datore di lavoro deve dimostrare che ci sono esigenze economico-organizzative che rendono indispensabile il cambiamento e che non esistono alternative praticabili.
Questa interpretazione è frutto di un principio ormai consolidato in giurisprudenza: prima di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni economiche) è necessario il repêchage: il datore deve cioè verificare se sia possibile reimpiegare il dipendente in altre mansioni, compatibili con la sua professionalità, e possibilmente dello stesso livello contrattuale (solo in subordine si può passare ai livelli inferiori). Il tutto ovviamente senza stravolgere l’organigramma aziendale. Ci deve essere un ragionevole “accomodamento” tra le ragioni del dipendente (che non vuol giustamente perdere il posto) e l’autonomia organizzativa dell’imprenditore.
Ma – e qui l’aspetto cruciale – l’onere della prova di aver tentato il repêchage (ossia il ripescaggio) spetta al datore di lavoro: è solo lui del resto che conosce più di chiunque altro l’assetto organizzativo della propria attività e potrebbe fornire tale dimostrazione (è il cosiddetto principio di vicinanza della prova). Al dipendente basta fornire al giudice un semplice “suggerimento” delle mansioni che avrebbe potuto ricoprire.
Tutto ciò si traduce, nell’ambito della modifica dell’orario di lavoro, nell’onere, in capo al datore, di dimostrare che dietro il cambio di orario c’era un effettivo interesse dell’azienda che non poteva essere superato altrimenti se non appunto tramite la suddetta modifica del turno o della tipologia di contratto (part-time o full-time).
Il datore di lavoro può licenziare il dipendente che rifiuta il cambio di lavoro solo se dimostra di non poterlo occupare diversamente. Per la Cassazione devono mancare soluzioni diverse da prospettare al lavoratore. Al datore non basta dimostrare la sussistenza di ragioni economiche e organizzative
Cosa succede a chi rifiuta il cambio di orario sul lavoro?
Come aveva già detto la Cassazione in un altro precedente (ord. n. 29337/2023), in caso di rifiuto del lavoratore alla trasformazione dell’orario di lavoro da part time a full time (o viceversa) il successivo licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo non è di per sé nullo. Sebbene, infatti, non si escluda che il recesso possa costituire una ritorsione rispetto al rifiuto di trasformazione nel nuovo orario di lavoro offerto, affinché si possa affermare la nullità del licenziamento occorre che l’intento ritorsivo sia stato la causa determinante della risoluzione del rapporto di lavoro.
A tal fine, occorre che sussistano o siano dimostrati dal datore di lavoro tre elementi:
- le effettive esigenze economiche ed organizzative che non consentono il mantenimento della prestazione con l’orario originario ma solo con quello differente prospettato,
- l’avvenuta proposta al dipendente di trasformare l’orario di lavoro ed il rifiuto dello stesso;
- l’esistenza di un rapporto di causa-effetto tra le esigenze di variazione (in aumento o in diminuzione) dell’orario lavorativo ed il licenziamento.
Quali sono le protezioni legali per il lavoratore?
In sintesi, la legge e i contratti collettivi offrono protezione al lavoratore che rifiuta una variazione oraria non concordata. Tali norme precludono il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a meno chel’azienda non dimostri che la modifica è dovuta a una riorganizzazione aziendale che rende la prestazione precedente del lavoratore non più congruente con le necessità della società.
Abbiamo scritto ed evidenziato le parole «a meno che l’azienda non dimostri» per rimarcare che, dinanzi alla contestazione del lavoratore, spetta al datore fornire la prova contraria, ossia quella della sussistenza di una effettiva e concreta esigenza organizzativa o produttiva.
Cosa ha detto la Cassazione sul caso specifico?
Nel caso analizzato dalla Cassazione, il licenziamento di una lavoratrice che aveva rifiutato la variazione dell’orario di lavoro non è stato considerato legittimo. La Corte ha sottolineato che non erano state prospettate alla dipendente altre soluzioni orarie o occupazionali che potessero evitare il licenziamento.
Cos’è l’obbligo di repêchage e come si applica?
L’obbligo di repêchage impone al datore di lavoro di cercare soluzioni alternative prima di procedere al licenziamento per motivi organizzativi. Ciò significa valutare tutte le possibili opzioni orarie o di impiego differenti che possano essere offerte al lavoratore, prima di concludere che il licenziamento sia l’unica via percorribile.
Conclusione
La recente pronuncia della Cassazione conferma l’importanza di un equilibrio tra i diritti del lavoratore e le esigenze organizzative dell’azienda. Prima di procedere a licenziamenti che hanno come causa un rifiuto di variazione oraria, i datori di lavoro devono esaminare con attenzione la possibilità di offrire alternative valide. La sentenza ribadisce l’essenzialità del dialogo e del rispetto dei diritti reciproci nel mondo del lavoro.
Per dichiarare la nullità del recesso non basta che quest’ultimo sia conseguito al rifiuto del nuovo orario di lavoro, poiché è necessario che l’intento ritorsivo costituisca il motivo unico ed esclusivo che ha determinato il licenziamento.
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