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Cosa succede se il Pm non attua il codice rosso?

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(@paolo-remer)
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Quali rimedi se la Procura della Repubblica non interviene e non ascolta la persona offesa entro 3 giorni dalla denuncia; quando è possibile l’avocazione delle indagini da parte della Procura generale.

Dal 2019 è in vigore una procedura accelerata per perseguire i reati di violenza, maltrattamenti e stalking compiuti in danno di persone appartenenti alle cosiddette fasce deboli: donne, minori, anziani e disabili: il cosiddetto codice rosso.

In teoria tutto funziona: la polizia giudiziaria che acquisisce la denuncia della persona offesa riferisce immediatamente i fatti al pubblico ministero, anche in forma orale, cioè prima di fargli arrivare la consueta informativa scritta. Così si risparmia il tempo della redazione degli atti, del deposito in Procura e della lettura a distanza da parte del magistrato inquirente. E si evita anche il rischio – non infrequente nei procedimenti penali – che la notizia di reato giaccia a lungo tra le carte che pendono presso gli uffici giudiziari.

Il codice rosso prevede anche un’altra accelerazione: il pubblico ministero, una volta iscritta la notizia di reato, deve sentire la persona offesa entro tre giorni. È un termine rapidissimo per le procedure giudiziarie, che di solito, nei casi di denunce a piede libero, richiedono mesi, o nelle migliori ipotesi settimane, per mettersi in moto. Ma talvolta, in pratica, per disguidi, negligenze o carichi di lavoro eccessivo, queste previsioni di legge non vengono sempre attuate. E allora che succede se il Pm non attua il codice rosso, ritardando il compimento di atti che dovrebbero essere urgenti e indifferibili?

Codice rosso non attuato: conseguenze

Diciamo subito che la violazione del termine di tre giorni da parte del pubblico ministero per applicare il codice rosso nei casi previsti non comporta nessuna sanzione di nullità o inutilizzabilità processuale: il termine è considerato ordinatorio, non perentorio, perciò sono considerati validi dalla giurisprudenza anche gli atti processuali compiuti dopo la sua scadenza.

A parte i profili disciplinari che riguardano il magistrato responsabile, ed hanno una valenza esclusivamente interna sul suo rapporto d’impiego e sulla sua carriera, ciò che ci interessa sapere è la tutela delle vittime. Purtroppo la cronaca registra parecchi casi di femminicidio, avvenuti nonostante le ripetute denunce sporte dalle persone offese e che non avevano portato a nessun provvedimento restrittivo nei confronti dell’autore dei crimini.

Se il codice rosso non viene attuato tempestivamente, le persone offese che hanno denunciato i fatti rischiano di essere esposte alla loro prosecuzione, subendo ulteriori violenze, ed anche alle probabili ritorsioni dell’autore dei crimini, lasciato libero proseguire indisturbato e di porre in essere nei loro confronti comportamenti ancora peggiori. Vediamo come evitare queste tristi conseguenze.

Codice rosso: quando scatta e per quali reati

La legge sul codice rosso [1] velocizza i termini procedurali delle indagini preliminari per i reati più allarmanti e che richiedono l’adozione urgente di provvedimenti di protezione delle vittime in caso di necessità.

Quando si procede per delitti di violenza domestica o di genere, come i maltrattamenti in famiglia, le violenze sessuali e lo stalking, la polizia giudiziaria che acquisisce la notizia di reato informa immediatamente il pubblico ministero, il quale, entro tre giorni dall’iscrizione, deve assumere informazioni dalla persona offesa, o dal diverso soggetto che ha sporto la denuncia.

Questo termine tassativo può essere prorogato soltanto «in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini». Inoltre, tutti gli atti di indagine delegati dal Pm devono essere compiuti «senza ritardo». Insomma, i reati da codice rosso hanno una corsia preferenziale rispetto agli altri, e richiedono un intervento pronto, efficace e tempestivo, proprio per la gravità delle conseguenze per le vittime.

Avocazione: cos’è e come funziona

L’avocazione è lo strumento processuale previsto dalla legge [1] per rimediare alle lacune, inerzie ed inefficienze investigative compiute dall’ufficio di Procura competente a svolgere le indagini preliminari. Il rimedio è necessario per garantire l’effettiva attuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale sancito dalla Costituzione.

Con il meccanismo dell’avocazione – che può essere attivato d’ufficio o su sollecitazione della persona offesa che lamenta ritardi nell’esecuzione delle indagini e nell’adozione dei provvedimenti conseguenti – il Procuratore generale presso la Corte d’Appello avoca, cioè acquisisce presso di sé, le competenze ed attribuzioni spettanti all’ufficio del pubblico ministero di grado inferiore.

L’avocazione può essere chiesta dalla persona offesa che lamenta l’inerzia della Procura di primo grado alla Procura generale. Si può fare un esposto direttamente o tramite il proprio avvocato.

Avocazione indagini per reati di codice rosso

I reati di violenza domestica o di genere (consumati o tentati) contemplati dal codice rosso e che possono essere oggetto di avocazione da parte della Procura generale sono i seguenti:

  • omicidio;
  • maltrattamenti contro familiari e conviventi;
  • violenza sessuale, aggravata e di gruppo;
  • atti sessuali con minorenne;
  • corruzione di minorenne;
  • atti persecutori;
  • lesioni personali aggravate e deformazione dell’aspetto della persona attraverso lesioni permanenti al viso.

Avocazione indagini codice rosso: quando?

Come abbiamo visto, un provvedimento per rimediare all’inerzia dell’ufficio di Procura territorialmente competente a procedere per i fatti delittuosi oggetto del codice rosso è l’avocazione delle indagini da parte dell’organo superiore, ossia la Procura generale istituita presso ogni distretto di Corte d’Appello. Sarà quindi un magistrato di questo ufficio a provvedere agli adempimenti non effettuati dalla Procura presso il tribunale.

Un disegno di legge depositato alla fine del 2022, e attualmente all’esame del Parlamento, punta ad introdurre un nuovo e specifico caso di avocazione da parte della Procura generale quando il pubblico ministero, nei casi in cui si procede per delitti di violenza domestica o di genere, non assume, entro il previsto termine di tre giorni dalla iscrizione della notizia di reato, le informazioni dalla persona offesa. In questo modo verrà rafforzata ulteriormente la tutela delle vittime di questi reati.

Cosa fare se non viene rispettato il codice rosso?

Oltre all’avocazione di cui abbiamo ampiamente parlato, bisogna sapere che se la vittima di reati da codice rosso continua a essere molestata, aggredita o perseguitata può e deve sporgere con la massima sollecitudine un’ulteriore denuncia, chiedendo espressamente agli inquirenti l’applicazione del codice rosso. Questo è necessario specialmente nei casi in cui all’inizio i fatti denunciati configuravano un reato comune (ad esempio, le minacce, le molestie o le lesioni lievi), e perciò il codice rosso non era scattato, mentre nel prosieguo la condotta del responsabile rivela che si tratta di stalking, maltrattamenti o violenze: reati da codice rosso.

Va ricordato che adesso la violazione delle misure cautelari – ad esempio, il divieto di avvicinamento alla persona offesa in caso di stalking – costituisce un reato autonomo, punito dall’articolo 387 bis del Codice penale con la reclusione da sei mesi a tre anni. Questa norma incriminatrice è stata introdotta nel 2019, insieme alle altre norme sul codice rosso, proprio per rafforzare la tutela delle vittime, anche nei casi in cui le disposizioni del codice rosso erano state applicate ma sono risultate inefficaci a impedire nuovi crimini.

 
Pubblicato : 7 Agosto 2023 17:15