Cosa succede quando scade il mandato dell’agenzia immobiliare?
Va pagata la provvigione all’agente dopo la scadenza del mandato se il contratto lo firma il coniuge del precedente cliente?
Il rapporto di mediazione che si instaura tra l’agente immobiliare e il cliente non necessita di un contratto, né di un mandato formale. Il semplice fatto che le parti (venditore e acquirente oppure locatore e conduttore) siano state messe in contatto tra loro dall’agente stesso consente a quest’ultimo di chiedere il pagamento della provvigione. Ma cosa succede quando scade il mandato dell’agenzia immobiliare? Si può, ad esempio, contattare nuovamente la controparte e concludere l’affare, magari facendo firmare il contratto a un proprio familiare (ad esempio il marito o la moglie)? Cerchiamo di fare il punto della situazione alla luce della più recente giurisprudenza.
Si deve pagare l’agente immobiliare a scadenza del mandato?
Se le parti, inizialmente messe in contatto dall’agente, concludono il contratto a mandato scaduto, la provvigione è comunque dovuta. Ciò che conta, infatti, non è tanto quando venga concluso l’affare ma quando il mediatore abbia messo in rapporto tra loro le parti.
Facciamo un esempio. Mario, proprietario di un appartamento, si rivolge all’agenzia Alfa per trovare un acquirente. L’agenzia fa vedere a Roberto l’appartamento di Mario. I due fingono di non trovare un accordo e l’affare sfuma. Senonché, dopo appena tre mesi dalla cessazione del mandato all’agenzia Alfa, Mario e Roberto firmano il compromesso. In tali ipotesi, l’agenzia deve essere pagata in quanto il rapporto tra i due si è instaurato proprio per opera di quest’ultima.
Come chiarito dal tribunale di Napoli (sent. n. 3994/023), ai fini del riconoscimento della provvigione al mediatore è irrilevante il momento in cui il contratto (preliminare, compravendita, affitto, ecc.) viene concluso; per cui il mediatore ha diritto al pagamento anche se l’affare è definito dopo la scadenza del suo incarico.
Afferma ancora la giurisprudenza che «Il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività di intermediazione, essendo sufficiente che il mediatore abbia messo in relazione tra loro acquirente e venditore, in modo che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera da lui svolta, anche se la conclusione sia avvenuta dopo la scadenza dell’incarico» (C. App. Napoli, sent. n. 2834/2018).
Conta la firma del compromesso?
In ambito di compravendite immobiliari, è noto che si perviene al rogito dopo aver firmato il cosiddetto “compromesso” ossia l’impegno irrevocabile a vendere e comprare (tecnicamente si chiama contratto preliminare).
Ebbene, il diritto alla provvigione scatta quando le parti concludono un contratto giuridicamente vincolante e azionabile in tribunale. Tale è appunto il compromesso. Quindi a nulla vale sottoscrivere il compromesso in costanza del mandato per poi rinviare il rogito a un momento successivo: il mediatore avrebbe comunque diritto al compenso per l’attività prestata.
Quando, a scadenza del mandato, l’agenzia non ha diritto alla provvigione
Il mediatore non ha diritto alla provvigione qualora la conclusione dell’affare successiva alla scadenza del mandato sia indipendente dal suo intervento. Ciò succede quando una prima fase delle trattative avviate con l’intervento del mediatore non dia risultato positivo e la conclusione dell’affare avviene successivamente su basi e condizioni completamente diverse da quelle iniziali. Il che richiede un notevole lasso di tempo dalla scadenza del mandato (ad esempio un anno) e la modifica sostanziale e non meramente formale delle condizioni contrattuali (ad esempio il prezzo, la realizzazione di lavori, ecc.).
Scadenza del mandato e conclusione del contratto
Se il mediatore partecipa a una prima fase di trattative che non danno risultato positivo, ma le parti concludono comunque l’affare riavviando le trattative diversi anni dopo per effetto di iniziative nuove non ricollegabili all’originario intervento del mediatore, quest’ultimo non ha diritto alla provvigione [1].
Al contrario, la provvigione va pagata quando le parti hanno inizialmente concluso un affare che, successivamente, hanno modificato di comune accordo [2].
Non vi è, invece, apporto se c’è divergenza tra il contratto proposto dal mediatore e quello effettivamente stipulato dalle parti [3].
Una volta concluso l’affare, se il contratto è intervenuto tra le stesse parti messe in relazione dal mediatore, è irrilevante e, pertanto il mediatore continua ad avere diritto alla provvigione, il fatto che il contratto si sia concluso a condizioni diverse (un prezzo inferiore), con l’intervento di un altro mediatore o successivamente alla scadenza dell’incarico.
Che succede se il contratto lo firma un familiare?
Secondo la Cassazione (sent. n. 785/2024) il mediatore non ha diritto alla provvigione se, alla scadenza del mandato, il contratto viene firmato da un soggetto diverso, come il coniuge o altro familiare dell’iniziale cliente.
Tale previsione, eventualmente indicata nel contratto, si considera clausola vessatoria che pertanto non ha alcun valore quando la parte è un consumatore (ossia un soggetto che non agisce per l’acquisto di un immobile necessario all’attività lavorativa).
Secondo la Corte, infatti, è abusiva (ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo9 la clausola, predisposta unilateralmente dal mediatore, che prevede il diritto del compenso alla provvigione, dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, qualora l’affare sia stato successivamente concluso da un familiare, società o persona ‘riconducibile ‘ al cliente. Questa clausola infatti determina un significativo squilibrio a cari del consumatore perché lo obbliga ad una prestazione in favore del professionista indipendentemente da ogni accertamento di una sua effettiva opera.
La vicenda
La vicenda ha origine dalla stipula di un contratto di mediazione immobiliare tra la proprietaria di un immobile e una società di mediazione. Nonostante una proposta di locazione rifiutata dalla proprietaria, questa ha poi stipulato autonomamente un contratto di locazione con il coniuge dell’aspirante conduttrice.
La società immobiliare ha citato in giudizio la proprietaria e l’aspirante conduttrice per il pagamento della provvigione. In primo grado, la domanda è stata accolta, ma in appello, la decisione è stata ribaltata per assenza di prova del rapporto di causalità tra l’attività della società e la stipula del contratto.
Secondo la Seconda Sezione della Corte di Cassazione, per il riconoscimento del diritto alla provvigione è richiesto l’accertamento del nesso di causalità adeguata, ovvero che l’intervento del mediatore sia stato determinante per la conclusione dell’affare.
Il nesso di causalità si perde se, dopo una prima fase di trattativa iniziale avviata dal mediatore senza esito positivo, il contratto viene stipulato senza un ulteriore intervento del mediatore.
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