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Cosa succede dopo la denuncia per maltrattamenti in famiglia

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(@elda-panniello)
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La vittima di atti di vessazione consumati all’interno delle mura domestiche può ottenere una tutela immediata dopo avere presentato apposita querela.

Un tema di particolare attualità e di allarme sociale è quello dei maltrattamenti in famiglia di cui spesso si legge nelle pagine di cronaca nera. Negli ultimi anni sia in Italia che in altri Paesi si è registrato un notevole aumento dei casi di abusi e violenze commessi all’interno delle mura domestiche ai danni delle persone dello stesso nucleo familiare, vedi il coniuge e/o i figli, o comunque conviventi. Quando uno di tali soggetti, stanco delle ripetute vessazioni, decide di rivolgersi alle autorità competenti, cosa succede dopo la denuncia per maltrattamenti in famiglia?

Prima di esaminare nel dettaglio l’argomento è bene precisare che la denuncia può essere presentata non solo dalla vittima ma da chiunque, senza limiti di tempo. I maltrattamenti in famiglia, infatti, sono dei reati procedibili d’ufficio. Ad esempio accade di frequente che se un padre maltratta un figlio, sia la scuola ad allertare i servizi sociali i quali a loro volta provvedono a denunciare il genitore alle forze dell’ordine o alla Procura della Repubblica per l’eventuale condotta violenta in famiglia.

Se la vittima dei maltrattamenti è un minore ultraquattordicenne può sporgere querela personalmente; invece, se non ha ancora compiuto i 14 anni, il diritto di querela deve essere esercitato dall’altro genitore oppure da altra persona che ne abbia la rappresentanza, come ad esempio il tutore. Se invece il genitore è solo uno – perché ad esempio l’altro è morto – ed è proprio la persona che il minore intende querelare, la denuncia può essere sporta da un curatore speciale nominato dal Tribunale su richiesta del minore stesso o del pubblico ministero.

Dopo la denuncia per maltrattamenti in famiglia inizia la fase delle indagini preliminari, durante la quale il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può adottare determinate misure cautelari ai fini della salvaguardia dell’incolumità della vittima.

In cosa consiste il reato di maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura quando vengono posti in essere una serie di atti di vessazione continui tali da cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni nei confronti di una persona appartenente alla famiglia (più precisamente il coniuge, i consanguinei, gli affini, gli adottati e gli adottanti nonché i soggetti legati da qualsiasi rapporto di parentela) o comunque convivente, vedi ad esempio il domestico che vive sotto lo stesso tetto costretto a subire i maltrattamenti del padrone di casa.

La vittima non è solo il soggetto maltrattato ma anche il figlio minorenne che assiste ai maltrattamenti.

Secondo la Cassazione il delitto di maltrattamenti in famiglia persiste anche in caso di cessazione della convivenza a seguìto di separazione legale tra agente e vittima, trattandosi di uno stato che, pur dispensando i coniugi dagli obblighi di convivenza e fedeltà, lascia integri quelli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale nonché di collaborazione. Pertanto, le condotte vessatorie poste in essere anche successivamente alla cessazione della convivenza sono idonee integrare gli estremi del delitto di maltrattamenti [1].

I maltrattamenti in famiglia si possono configurare in vario modo ovvero attraverso percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni ma anche umiliazioni imposte alla vittima, atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali e sono in grado di provocare uno stato fisico e psicologico di avvilimento e di disagio continuo.

Il delitto di maltrattamenti è un reato proprio in quanto può essere soggetto attivo soltanto chi sia legato a quello passivo da una relazione di tipo familiare o di convivenza. Altresì, è un reato abituale, essendo caratterizzato dal ripetersi nel tempo di vari comportamenti vessatori i quali, considerati singolarmente, potrebbero anche non essere punibili, e che, invece, acquistano rilevanza penale proprio per effetto della loro reiterazione nel tempo. La configurabilità del reato non resta inoltre preclusa dalla presenza di periodi di normalità nella condotta del colpevole, che vanno a intervallarsi con gli atti lesivi. Gli eventuali momenti di pausa e i periodi di accordo fra le parti non fanno, infatti, venir meno il reato.

L’elemento soggettivo del reato è il dolo generico, cioè la volontà di ingenerare nella vittima con il proprio comportamento, una serie di conseguenze negative.

Come sono puniti i maltrattamenti in famiglia?

Il reato di maltrattamenti in famiglia è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di un minore o di persona in stato di gravidanza o di persona con disabilità ai sensi della Legge n. 194/1992, ovvero se il fatto è commesso con armi.

Se dal fatto deriva:

  • una lesione personale grave è prevista la reclusione da quattro a nove anni;
  • una lesione personale gravissima si applica la reclusione da sette a quindici anni;
  • la morte, è prevista la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i reati di ingiuria, percosse, atti persecutori e minacce nonché le lesioni personali lievi o lievissime, se sono colpose. Per quanto riguarda le lesioni personali gravi o gravissime nonché la morte, se non sono volontarie, si applicano le aggravanti di cui sopra. Se invece sono volute dall’agente o, quantomeno, erano da lui concretamente prevedibili come conseguenza del proprio agire, concorrono con i maltrattamenti.

Cosa succede dopo la denuncia di maltrattamenti in famiglia?

Per contrastare la violenza sulle donne e sui minori, nei casi di stalking, violenza sessuale e anche di maltrattamenti in famiglia nel 2019 è entrata in vigore la legge n. 69, denominata “Codice Rosso”. Detta normativa consente di adottare più celermente i provvedimenti a protezione delle vittime dei predetti reati.

Pertanto, in caso di maltrattamenti in famiglia la polizia giudiziaria, dopo la presentazione della relativa denuncia, deve trasmetterla immediatamente al pubblico ministero. Comincia così la fase delle indagini preliminari, cioè quel periodo di tempo destinato alle investigazioni da parte delle autorità.

Il pubblico ministero ha l’obbligo di sentire la vittima entro 3 giorni dalla comunicazione della notizia di reato.

Alla conclusione delle indagini preliminari, se risulta fondata la responsabilità penale della persona denunciata, il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio per maltrattamenti in famiglia. L’imputato, quindi, verrà sottoposto a processo, nel quale la vittima potrà costituirsi parte civile al fine di ottenere il risarcimento dei danni.

Denuncia per maltrattamenti in famiglia: come avere immediata tutela?

Durante la fase delle indagini preliminari, se sussistono gli estremi, il pubblico ministero può chiedere al giudice l’emissione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, nel caso in cui vittima e denunciato convivano sotto lo stesso tetto e sussiste l’urgenza di evitare possibili contatti tra loro. Con lo stesso provvedimento con il quale è disposto l’allontanamento, il giudice prescrive al denunciato di lasciare immediatamente la casa, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza la sua autorizzazione [2]. Se sussistono esigenze di tutela dell’incolumità della vittima o dei suoi prossimi congiunti, il giudice può altresì prescrivere al denunciato di non avvicinarsi ai luoghi che sono abitualmente frequentati dalla persona offesa dal reato, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro [3].

Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo [4].

Sempre durante la fase delle indagini preliminari un’altra misura cautelare che può essere disposta dal giudice su richiesta del pubblico ministero è il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa [5]. Il rispetto di quest’ultima misura può essere garantito anche attraverso mezzi elettronici o strumenti tecnici, come il braccialetto elettronico [6].

Il giudice accorda le predette misure solamente se ritiene che a carico del denunciato sussistano gravi indizi di colpevolezza e se vi è pericolo che il soggetto possa reiterare la sua condotta illecita. Nei casi più gravi può disporre gli arresti domiciliari [7] o la custodia cautelare in carcere [8].

Per rispondere alle esigenze di effettività la violazione delle misure di allontanamento dalla casa familiare e di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa costituisce essa stessa un reato [9].

Infine, in caso di maltrattamenti ai danni dei figli minori, il giudice può disporre la sospensione della responsabilità genitoriale privando l’indagato, in tutto o in parte, dei poteri ad essa inerenti [10].

 
Pubblicato : 29 Maggio 2023 12:00