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Cosa si rischia per violenza verbale?

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(@angelo-greco)
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Minacce, offese, maltrattamenti e violenze psicologiche: tutte le volte in cui si può denunciare o chiedere il risarcimento del danno. 

La violenza verbale è un fenomeno molto diffuso nella società contemporanea, che si manifesta in diversi contesti, dalle relazioni familiari a quelle di lavoro, passando per le dispute tra automobilisti o episodi di bullismo. Ma cosa si rischia per violenza verbale? 

In questo articolo analizzeremo le conseguenze legali di questo tipo di comportamento, che può essere considerato un illecito penale o un illecito civile a seconda della gravità del caso e delle circostanze in cui si verifica. 

Esploreremo i casi in cui la violenza verbale può configurare un reato, come i maltrattamenti in famiglia, il mobbing sul lavoro, la diffamazione, l’ingiuria, la minaccia, e quali sanzioni possono essere comminate dal punto di vista penale o civile. 

Inoltre, vedremo quali sono le azioni che la vittima di violenza verbale possono intraprendere per tutelare i propri diritti, dal presentare denuncia alle autorità competenti fino alla richiesta di risarcimento danni. 

In un’epoca in cui il rispetto reciproco sembra essere sempre più in declino, capire le conseguenze della violenza verbale è un passo importante per prevenirla e contrastarla.

Violenza verbale in famiglia

Le violenze verbali perpetrate all’interno di una famiglia sono catalogabili come maltrattamenti e pertanto la vittima può sporgere querela contro il partner o il coniuge colpevole.

Si deve trattare di condotte connotate dai caratteri di sistematicità e persistenza e di volta in volta concretizzatesi in offese o umiliazioni. Perché il reato di maltrattamenti in famiglia non si configura solo in caso di violenze fisiche ma anche di violenze psicologiche.

Le condotte possono essere ancora più gravi se, alle aggressioni verbali, si accompagnano anche le minacce o le violenze fisiche.

Per il reato di maltrattamenti familiari si rischia la reclusione da 1 a 5 anni.

Se, insieme alle violenze verbali, si verificano anche le lesioni, le pene salgono in base ai giorni repertati dal pronto soccorso per la convalescenza. Sul punto leggi Cosa rischia chi ferisce una persona.

Violenza verbale sul luogo di lavoro

Se il datore di lavoro o un superiore gerarchico usa ripetute violenze verbali nei confronti di un dipendente, la condotta potrebbe essere classificata come mobbing. Affinché però si possa parlare di mobbing è necessario che sussistano tre requisiti:

  • la condotta deve essere ripetuta nel tempo;
  • deve essere dimostrato scopo unitario dei vari episodi deve essere l’emarginazione del dipendente, il suo allontanamento: ci deve quindi essere un fine ulteriore, in capo al superiore gerarchico, oltre a quello della condotta in sé;
  • deve essere fornita la prova di un danno alla salute psicofisica del lavoratore.   

In tali casi il dipendente può chiedere il risarcimento del danno.

Tuttavia è possibile sporgere querela contro il responsabile del mobbing quando si tratta di un piccolo contesto aziendale, dove il datore di lavoro è a stretto contatto con i dipendenti. In questi casi infatti la giurisprudenza ritiene sussistente il reato di maltrattamenti in famiglia, applicabile anche al luogo di lavoro.

Altre forme di violenza verbale

La violenza verbale, ovunque si consumi (a scuola, in condominio, a casa o al lavoro, tra conducenti di automobili, ecc.) può integrare però altre fattispecie di illecito oltre a quelle appena evidenziate. Può infatti scattare:

  • l’ingiuria;
  • la minaccia;
  • la diffamazione.

L’ingiuria scatta tute le volte in cui una persona offende un’altra e lo fa in sua presenza. L’ingiuria è un illecito civile e consente alla vittima di agire in causa contro il responsabile per chiedere il risarcimento del danno, risarcimento che sarà proporzionato al tipo di offesa (ad esempi attribuendogli dei comportamenti particolarmente riprovevoli), al contesto in cui è stata proferita e al ruolo sociale della vittima (offendere un professionista, procurandogli un danno economico, è più grave rispetto all’offesa a un pensionato). 

Il responsabile, all’esito del processo, sarà condannato a pagare anche una multa allo Stato da 200 a 12.000 euro

La diffamazione è invece un reato e si consuma quando una persona parla male di un’altra in sua assenza ed in presenza di almeno altre due persone. Si deve sporgere querela entro 3 mesi da quando si è avuto conoscenza del fatto. È altresì possibile chiedere il risarcimento del danno. I criteri di quantificazione del risarcimento sono gli stessi dell’ingiuria. Leggi a riguardo: Come quantificare il danno da diffamazione.

La minaccia è un reato e ricorre quando si prospetta un male ingiusto a un’altra persona, non per forza una conseguenza di tipo violento. Ad esempio il marito che minaccia la moglie di lasciarla senza alimenti se non lo fa entrare in casa commette reato. La pena è la multa fino a 1.032 euro.

Altre forme di violenza verbale verso categorie deboli

Altre forme di violenza verbale possono essere le parole discriminatorie nei confronti degli omosessuali. Di recente la Cassazione ha detto che può essere licenziato il dipendente che offende il collega gay o lesbica. E ciò perché il codice delle pari opportunità vieta discriminazioni di genere sul luogo di lavoro e, nello stesso tempo, la legge sulla privacy tutela l’orientamento sessuale che non può essere divulgato. 

Fuori da questi casi, l’offesa a un omosessuale può integrare il reato di diffamazione se avviene in sua assenza o, in caso contrario, l’ingiuria.

Anche per gli epiteti offensivi nei confronti delle persone di razza diversa non è previsto alcun specifico reato. Il razzismo infatti è solo un’aggravante di una condotta che già integra un diverso reato, come ad esempio la diffamazione o la minaccia. 

 
Pubblicato : 17 Marzo 2023 07:45