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Cosa si intende per lavoratore subordinato?

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(@carlos-arija-garcia)
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Ci sono dei casi in cui risulta complicato tracciare un confine tra il dipendente, il collaboratore e l’autonomo. Ci pensano la legge e la giurisprudenza.

Si sa che il lavoratore subordinato è colui che presta la propria attività manuale o intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione del datore in cambio di una retribuzione. Questo è il principio generale che, però, ha diverse sfumature. C’è, infatti, un elenco di indicatori stabiliti dalla legge e dalla giurisprudenza che servono a identificare la condizione del lavoratore dipendente e a distinguerla da quella che, ad esempio, può essere una forma di dipendenza «attenuata». In sostanza, cosa si intende per lavoratore subordinato?

Affinché si possa parlare di rapporto di subordinazione, oltre alla prestazione lavorativa devono sussistere contemporaneamente i seguenti elementi:

  • la retribuzione, cioè il corrispettivo della prestazione del lavoratore. In sua mancanza, si può configurare un’altra tipologia di rapporto, come il lavoro familiare, il volontariato, ecc., oppure il contratto può ritenersi non valido;
  • la subordinazione al datore, ossia l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore, che deve manifestarsi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo. In mancanza di questa subordinazione, si può configurare un rapporto di lavoro autonomo (con rischio della prestazione a carico del lavoratore) o un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Tra lavoratore e datore possono intercorrere contemporaneamente un rapporto di lavoro subordinato e uno autonomo, purché le prestazioni non siano uguali o strumentali tra loro e non abbiano tempi di esecuzione coincidenti.

Esistono, come accennato delle forme di subordinazione «attenuata». Si tratta di rapporti di lavoro sui quali non è semplice definire il vincolo di dipendenza. Accade, per esempio:

  • nel lavoro intellettuale svolto, ad esempio, da giornalisti, musicisti d’orchestra o insegnanti;
  • nel lavoro dirigenziale;
  • nelle prestazioni elementari, come quelle degli addetti ai servizi di pulizie o all’attività di imbottigliamento o di imballaggio.

Per accertare la sussistenza della subordinazione, occorre avere riguardo ad ulteriori criteri, quali:

  • la volontà espressa dalle parti in sede di costituzione del rapporto;
  • le concrete modalità di svolgimento della prestazione;
  • diversi indicatori della condizione di subordinazione individuati dalla giurisprudenza.

Lavoro subordinato: la volontà delle parti

Per definire come subordinato un rapporto di lavoro, occorre una reale ed effettiva volontà in tal senso delle parti, indipendentemente dall’inquadramento formale che le stesse gli hanno dato. A tal fine, rileva il comportamento tenuto dalle parti successivo alla conclusione del contratto nell’attuazione concreta del rapporto stesso.

Quando la presenza di elementi compatibili sia col rapporto di lavoro autonomo, sia con quello subordinato rende difficile l’apprezzamento dei requisiti propri del secondo, occorre fare necessariamente riferimento alla qualificazione formale attribuita dalle parti al rapporto.

In caso di accertamento giudiziale della natura subordinata o autonoma di un rapporto di lavoro, la qualificazione data dalle parti, pur non vincolante ed esaustiva ai fini della decisione, rappresenta pur sempre il punto di partenza dell’indagine del giudice e richiede adeguata motivazione per essere svalutata del suo significato.

Lavoro subordinato: gli indicatori sulla natura del rapporto

Tra gli indicatori che rivelano la natura subordinata di un rapporto di lavoro, ci sono:

  • la presenza di direttive tecniche e di poteri di controllo e disciplinare;
  • l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, desumibile dall’assenza di un’organizzazione imprenditoriale in capo al lavoratore e dall’assoggettamento di questi al potere gerarchico del datore di lavoro;
  • l’esecuzione del lavoro con materiali ed attrezzature del datore di lavoro;
  • l’assunzione del rischio d’impresa da parte del datore di lavoro;
  • il pagamento a scadenze periodiche della retribuzione;
  • l’osservanza di un orario di lavoro;
  • la collaborazione intesa come continuità e sistematicità della prestazione.

Nessuno di questi indici è da solo idoneo a distinguere il lavoro autonomo da quello subordinato: devono essere valutati nell’ambito di un apprezzamento complessivo del rapporto.

Lavoro subordinato: i casi limite

Ci sono dei mestieri in cui può essere complicato stabilire la natura subordinata o autonoma di un rapporto di lavoro. La giurisprudenza ha cercato di fare dele distinzioni a seconda delle caratteristiche del contratto e della prestazione. Eccone alcuni esempi di rapporti di natura subordinata.

L’addetto alle pulizie, se ci sono:

  • predeterminazione delle giornate di lavoro;
  • retribuzione fissa e periodica;
  • materiali offerti dal committente;
  • assenza di altra attività principale;
  • divieto di farsi sostituire.

L’annunciatore e il traduttore televisivo, se ci sono:

  • rispetto degli orari di lavoro;
  • determinazione del compenso commisurata alle ore di lavoro risultanti dai turni predisposti dall’azienda;
  • obbligo della lavoratrice di mantenersi a disposizione tra una trasmissione e l’altra;
  • omogeneità dei compiti svolti rispetto a quelli degli altri traduttori annunciatori assunti con contratto di lavoro subordinato.

L’autista di mezzi di trasporto, se ci sono:

  • assenza di un mezzo di proprietà del lavoratore;
  • retribuzione fissa mensile anche nei periodi feriali;
  • disponibilità a favore dell’impresa tutti i giorni, anche se la prestazione è chiesta al bisogno.

Il collaboratore di uno studio professionale, se ci sono:

  • mancanza di titolo professionale con conseguente impossibilità di assumere la paternità degli atti;
  • osservanza delle direttive costantemente impartite dal titolare dello studio e svolgimento di mansioni di supporto nell’interesse dei clienti di quest’ultimo;
  • osservanza di un orario di lavoro imposto.

L’estetista presso un centro estetico, se ci sono:

  • obbligo di ricevere appuntamenti;
  • obbligo di riscuotere il corrispettivo e di consegnarlo al titolare;
  • previsione di un compenso fisso mensile senza alcuna assunzione di rischio;
  • impiego di mezzi messi a disposizione dal centro;
  • inserimento nell’organizzazione del centro.

L’infermiere presso case di riposo, se ci sono:

  • compenso fisso mensile, buonuscita, indennità di turno;
  • possibilità di richiami disciplinari da parte della direzione sanitaria;
  • predisposizione di turni lavorativi;
  • obbligo di presentare il certificato medico in caso di malattia;
  • reperibilità;
  • compenso ragguagliato a ore e non al risultato;
  • identicità delle modalità della prestazione rispetto ai lavoratori subordinati;
  • utilizzazione delle strutture aziendali;
  • inserimento nell’organizzazione aziendale.

L’insegnante di scuola privata, se ci sono:

  • libera scelta dell’insegnante per la trattazione degli argomenti;
  • osservanza di un orario di lavoro predeterminato;
  • inserimento nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro;
  • versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita;
  • assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale.

Il rider, se ci sono:

  • reclutamento con inserzioni sui giornali;
  • disponibilità di mezzo di trasporto da parte del lavoratore maggiorenne;
  • remunerazione fissa;
  • durata massima del rapporto di lavoro di 15 giorni con possibilità di ripresa dopo una sospensione;
  • marchio dell’agenzia portato addosso;
  • coordinamento e controllo a mezzo radio portatile consegnata ad ogni fattorino;
  • coincidenza degli orari con quelli dell’attività della ditta;
  • possibilità meramente teorica di rifiutare singole consegne, stante la sostituibilità del singolo.
 
Pubblicato : 4 Ottobre 2023 16:30