Cosa rischia il figlio che vive nella casa dei genitori in comodato?
Come vivere da soli, nella casa in prestito, senza subire controlli da parte del Fisco.
Ipotizziamo il caso di un ragazzo che viva con la propria compagna in una casa ottenuta in prestito dai suoi genitori. Le utenze domestiche sono a lui intestate ed è sempre lui a pagare il condominio e tutti gli altri oneri collegati alla gestione ordinaria dell’immobile. Ma se il suo reddito dovesse essere basso (o addirittura inesistente), il fisco potrebbe chiedersi con quali soldi provvede a tali spese e da dove provengono tali somme. Qui si pone un serio problema di carattere fiscale: difatti, se anche il giovane dovesse sostenere di ricevere aiuti economici da parte dei genitori, dovrebbe dimostrarlo. Di fronte a tale scenario, emerge un importante quesito: cosa rischia il figlio che vive nella casa dei genitori in comodato?
È bene sapere che esistono delle forme di accertamento fiscale che si basano su “presunzioni”, ossia su indizi “gravi, precisi e concordanti” rivelatori di capacità contributiva. Tanto per fare un esempio, il fatto che un soggetto abbia un mutuo e un affitto da pagare fa presumere che il suo reddito sia superiore a tali esborsi mensili. Diversamente, come farebbe a vivere e, nel contempo, a versare le rate alla banca e il canone al locatore?
Allo stesso modo, chi vive in una casa – anche se non di sua proprietà – deve sostenere tutte le spese collegate all’utilizzo dell’immobile che, come visto sopra, includono quantomeno gli oneri condominiali e le bollette, oltre alle normali riparazioni necessarie di tanto in tanto. Inoltre, c’è la tassa sulla spazzatura, che incide notevolmente anche sul comodatario.
Chi vive insomma in un’abitazione da solo (o con il proprio partner) e ha un reddito molto basso o è disoccupato, dovrà fornire all’Agenzia delle Entrate la prova di ricevere sostegni economici esterni. E quest’ultima non può essere costituita da una semplice dichiarazione del genitore “sovventore”. Servono prove documentali come, ad esempio, gli estratti conto che dimostrano le donazioni in denaro o le matrici degli assegni provenienti da terzi.
Ecco allora cosa rischia il figlio che vive nella casa in prestito dei genitori: rischia un accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate se il reddito da questi dichiarato non è sufficiente a coprire le presumibili spese collegate alla gestione dell’abitazione. Tale è, almeno, l’orientamento della Cassazione (sent. n. 17134/2024). Del resto, afferma la Corte, gli oneri di gestione e i costi di manutenzione devono essere sopportati dai comodatari.
Quando due persone convivono sotto lo stesso tetto è verosimile pensare che chi guadagna di più aiuti l’altra: e ciò perché lo impongono i doveri di solidarietà familiare. Di conseguenza, difficilmente il fisco spiccherà un accertamento nei confronti del figlio che ancora vive con la madre e il padre.
Viceversa se il ragazzo va a vivere da solo, non importa dove, dovrà dare dimostrazione di una capacità contributiva tale da permettersi appunto tale autonomia. Ecco perché eventuali donazioni in denaro ricevute dai genitori dovranno pervenirgli tramite strumenti tracciabili come bonifici bancari o postali oppure tramite assegni non trasferibili. Solo così, infatti, dinanzi a una richiesta di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente potrebbe fornire la prova della provenienza delle disponibilità economiche superiori a quanto da lui riportato nell’annuale dichiarazione dei redditi.
È evidente che nella quotidiana gestione del nucleo familiare, l’aiuto economico dei genitori di entrambi i coniugi continua a rivestire una funzione importante, ma di esso va sempre fornita una prova.
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