Cosa può controllare il datore di lavoro?
Come il datore di lavoro può spiare i lavoratori: quali informazioni il datore può reperire sui dipendenti durante e fuori l’orario di lavoro. Controlli, ispezioni, videocamere, email e investigatori.
Nel contesto lavorativo moderno, i datori di lavoro si trovano ad affrontare la sfida di bilanciare il diritto di proteggere il patrimonio aziendale e l’immagine del marchio con il rispetto della privacy dei dipendenti garantita e tutelata innanzitutto dallo Statuto dei Lavoratori. Ma quali sono i confini tra l’indagine legittima e l’intrusione nei diritti individuali? Cosa può controllare il datore di lavoro?
In questo articolo esploreremo il mondo complesso delle verifiche aziendali, verifiche che possono avvenire tramite i cosiddetti “controlli a distanza” (ossia mediante sistemi di videosorveglianza), il monitoraggio delle email, l’ingaggio di investigatori privati per accertare il rispetto dell’obbligo di fedeltà all’azienda.
Attraverso esempi concreti e approfondimenti legali, andremo a scoprire quali siano i limiti ai controlli aziendali e come sia possibile tutelare sia il datore di lavoro che i dipendenti. Ma procediamo con ordine.
I controlli del datore di lavoro: un quadro generale
I controlli del datore di lavoro sono sempre stati un terreno delicato, dove il diritto alla privacy dei lavoratori si scontra con la necessità di proteggere l’azienda da comportamenti illeciti o dannosi, non solo da parte dei lavoratori stessi, ma anche di terzi (si pensi ai furti nei supermercati). Negli anni, la giurisprudenza ha cercato di delineare confini precisi per garantire un equilibrio tra questi due interessi contrastanti.
È bene innanzitutto stabilire cosa può fare il datore di lavoro e cosa può controllare. A riguardo la legge stabilisce che le verifiche sui lavoratori possono avvenire attraverso:
- l’uso delle videocamere di sorveglianza;
- il controllo delle email aziendali e degli altri strumenti aziendali dati in dotazione al dipendente (auto, pc, tablet, telefoni);
- la verifica degli accessi attraverso sistemi elettronici come il badge (la cosiddetta “timbratura del cartellino”);
- l’impiego di agenzie investigative per rilevare e contestare condotte illecite dei dipendenti.
Per ciascuno di questi sistemi di controllo sono previste norme e limiti di utilizzo diversi. Vediamoli singolarmente
Uso di videocamere di sorveglianza
Lo Statuto dei lavoratori stabilisce che l’impiego di telecamere di videosorveglianza non può mai essere destinato a controllare la prestazione del lavoratore o la qualità della stessa. Tali sistemi possono essere destinati solo per una delle seguenti tre finalità:
- per esigenze organizzative e produttive (si pensi alla telecamera che controlla l’ingresso di clienti nel negozio);
- per la sicurezza del lavoro (si pensi alla telecamera come deterrente alle rapine);
- per la tutela del patrimonio aziendale (si pensi alla telecamera in prossimità degli scomparti del supermercato o all’interno dei magazzini).
In ogni caso, prima dell’installazione dell’impianto, è necessario il previo accordo con i sindacati aziendali o, in mancanza, l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Tale requisito non può essere sostituito dall’accettazione scritta dei dipendenti al controllo a distanza.
È poi indispensabile affiggere un cartello con l’avviso ai dipendenti della presenza delle telecamere.
La giurisprudenza ha però ritenuto leciti i cosiddetti controlli difensivi, ossia la presenza di telecamere nascoste, installate senza accordo coi sindacati e senza avviso ai dipendenti, tutte le volte in cui vi siano fondati sospetti sulla commissione di un illecito da parte di un lavoratore (si pensi al cassiere che si appropria dell’incasso). In tal caso la videosorveglianza serve per procurarsi le prove contro il lavoratore e procedere all’eventuale querela penale, al licenziamento o all’azione civile di risarcimento.
L’uso costante e preventivo di telecamere per scopi di controllo generico è vietato.
La violazione di tali regole costituisce reato, sicché il dipendente potrebbe sporgere una denuncia contro il datore di lavoro.
Cessione dell’azienda: che fine fanno le telecamere?
Nel caso di cessione di azienda, gli impianti di videosorveglianza o altri strumenti di geolocalizzazione già presenti nell’azienda non necessitano di una nuova autorizzazione. Non serve quindi rinnovare l’accordo siglato dal precedente titolare con le Rsa/Rsu o chiedere una nuova autorizzazione all’Ispettorato del lavoro. Ma solo a condizione che gli impianti/strumenti siano stati installati osservando le procedure (accordo sindacale o autorizzazione) previste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) e che non siano intervenuti mutamenti dei presupposti legittimanti – ovvero sussistenza di esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale – e delle modalità di funzionamento.
Lo stesso vale non solo in caso di cessione, ma anche di fusione, incorporazione, affitto d’azienda o di ramo d’azienda.
Controllo delle email aziendali
Il controllo delle email aziendali è un altro campo di battaglia per i diritti dei lavoratori. Se il lavoratore è stato previamente informato e il controllo è proporzionato, il datore di lavoro può monitorare le email aziendali. In questo caso non è necessario l’accordo con i sindacati o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Tuttavia non è permesso il controllo massivo (per finalità preventive o per controlli “random”) o quello sulle email personali. L’utilizzo inappropriato delle email aziendali per fini personali o dei social network durante l’orario di lavoro può portare a sanzioni disciplinati, fino al licenziamento.
L’informativa al lavoratore non deve essere necessariamente scritta, ma può diventare difficile in sede processuale dimostrare con testimoni l’avvenuta informazione circa i limiti e le modalità dei controlli tecnologici.
Tra i comportamenti più gravi ascrivibili al lavoratore e accertabili tramite i controlli periodici delle email aziendali rientra sicuramente la violazione dell’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro prescritto dall’articolo 2105 del Codice civile.
Così è stato ritenuto legittimo il licenziamento della dipendente che trafuga informazioni riservate per svolgere attività concorrenziale (Trib. Roma, sent. n. 4032/2023).
Controllo degli strumenti aziendali
Il datore può esercitare il controllo sugli strumenti aziendali dati in dotazione al dipendente come l’auto aziendale, il pc e il tablet. Anche in questo caso non c’è bisogno del previo consenso dei sindacati ma va data informazione preventiva al lavoratore.
Medesimo discorso vale per il controllo degli accessi tramite il badge.
Investigazioni
Le agenzie investigative possono essere impiegate per rilevare comportamenti illeciti dei dipendenti anche fuori dall’orario di lavoro (si pensi al dipendente formalmente malato che, invece, esce di casa e svolge attività incompatibile con il certificato medico o che rallenta la guarigione). In questi casi, il datore di lavoro può trattare i dati personali dei dipendenti, ma solo per scopi specifici e con limiti temporali definiti. Le azioni dei dipendenti, come la violazione dell’obbligo di fedeltà o attività concorrenziali, possono portare a licenziamenti sulla base delle prove raccolte tramite controlli effettuati con gli investigatori privati.
Richiesta di carichi pendenti e casellario giudiziale
La possibilità del datore di lavoro di richiedere i carichi pendenti e il casellario giudiziale è controversa.
Di recente la Cassazione ha ritenuto legittime tali richieste, seppur non previsto dal contratto collettivo nazionale applicabile al rapporto di lavoro. Anche in fase precontrattuale, infatti, il datore di lavoro è libero di determinare criteri rigidi che prevedano, ad esempio, l’assenza di processi penali in corso, potendo legittimamente procedere ad una verifica dei requisiti di affidabilità dei lavoratori da assumere ai sensi dell’articolo 41 della Costituzione (Trib. Roma, sent. n. 6030/2023).
In alcuni casi, come nelle attività con contatti diretti con minori, il datore di lavoro è obbligato a richiedere il certificato del casellario giudiziale, così come previsto dal Dlgs. 39/2014.
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