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Cosa cambia quando sei incinta

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(@tiziana-costarella)
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Tutela lavorativa, giuridica e sociale della donna in gravidanza: i diritti di chi sta per diventare madre.

Tra le fasi più belle della vita di una donna vi è sicuramente quella della gravidanza: generare e dare alla luce un figlio è una responsabilità importante, ma, allo stesso tempo, è un’emozione indescrivibile. Le esperienze che si susseguono quando una donna scopre di essere in dolce attesa cambiano di mese in mese, se non addirittura di giorno in giorno, e la vita della futura madre viene trasformata sotto tutti i punti di vista: familiare, sociale, giuridico, lavorativo, personale. Cosa cambia quando sei incinta?

I diritti di chi sta per diventare madre riguardano, fondamentalmente, questi ambiti:

  • diritto all’astensione dal lavoro;
  • divieto di adibire la gestante a lavori pesanti e a lavori notturni;
  • diritto di restare a casa nell’ipotesi di una gravidanza a rischio;
  • divieto di licenziamento e di dimissioni della gestante;
  • diritto di precedenza.

La tutela normativa della maternità

Secondo la Costituzione, la Repubblica deve proteggere la maternità adottando gli istituti necessari a tale scopo. Inoltre, le condizioni di lavoro della donna devono essere tali da garantirle la possibilità di adempiere alla sua essenziale funzione familiare e da assicurare alla madre e al bambino una speciale protezione.

Per dare attuazione a tali princìpi, nel corso degli anni il legislatore ha adottato una serie di disposizioni, anche su stimolo delle istituzioni europee che hanno preso in considerazione la materia: diversi sono oggi i diritti riconosciuti alla donna in gravidanza e contenuti, in particolare, nel Testo Unico sulla maternità e paternità [1].

Diritto all’astensione dal lavoro della donna incinta

La donna lavoratrice ha diritto di astenersi dalla propria attività durante il periodo di gravidanza e di puerperio, ossia del periodo che va dal parto sino alla sesta settimana di vita del bambino: si parla, tecnicamente, di congedo di maternità.

In tale ipotesi l’astensione è obbligatoria per un arco temporale minimo di cinque mesi: di solito, salvo ipotesi di flessibilità, il datore di lavoro non può adibire la gestante ad alcun tipo di attività per i due mesi precedenti la presunta data del parto e nei tre mesi successivi alla nascita del bambino.

In alternativa a tale ipotesi, se un medico specialista appartenente al Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato certifica che non vi è pericolo per la salute della madre e per quella del nascituro, è possibile scegliere tra due diverse soluzioni:

  • prorogare l’astensione all’ottavo mese di gravidanza e per i quattro mesi successivi al parto;
  • prorogare l’astensione al periodo successivo al parto per tutti i primi cinque mesi di vita del neonato.

Il divieto di adibire la donna ad attività lavorativa è anticipato di tre mesi dalla data di presunto parto quando svolge mansioni che, anche se non rientrano nell’elenco dei lavori pericolosi, sono in grado di pregiudicare il naturale avanzamento della gravidanza.

Per godere del diritto al congedo di maternità le lavoratrici devono presentare al datore di lavoro e all’Inps (ente che riconosce l’indennità di maternità) un certificato medico dal quale risulti l’esistenza di una gravidanza in corso e l’indicazione della data di presunto parto.

La violazione di tale obbligo comporta per il datore di lavoro la pena dell’arresto fino a sei mesi oltre alla sanzione del risarcimento per eventuali danni provocati al nucleo familiare.

Attenzione a non confondere il congedo di maternità con due istituti simili, ma diversi nelle conseguenze:

  • il congedo parentale: è un’ipotesi di astensione facoltativa in quanto entrambi i genitori, per i primi dodici anni di vita del bambino, hanno il diritto di assentarsi previa richiesta al datore di lavoro;
  • il congedo di paternità: il padre ha il diritto di astenersi dal lavoro per tutto il periodo che sarebbe spettato alla madre in caso di morte o di grave infermità della stessa oppure di abbandono del bambino.

Divieto di adibire la gestante a lavori pesanti e a lavoro notturno

Oltre a garantire il diritto al congedo di maternità, il datore di lavoro ha il preciso dovere di esonerare la donna in gravidanza dalla prestazione di specifiche mansioni.

Lavoro pesante e pericoloso

La lavoratrice incinta non può essere adibita a lavori pesanti o pericolosi, soprattutto quando vi sia la possibilità di contaminazione per sé stessa o per il nascituro, per tutto il periodo di gravidanza e per i primi sette mesi di vita del neonato. In tale periodo la donna è adibita a mansioni diverse e, anche nell’ipotesi in cui siano inferiori a quelle originarie, ha diritto al trattamento economico previsto dal suo contratto di lavoro.

Il Testo unico contiene, all’interno di un apposito allegato, un elenco dettagliato dei lavori faticosi, pericolosi e insalubri: tra questi possiamo ricordare, ad esempio:

  • le attività che comportano l’esposizione a radiazioni:
  • i lavori agricoli che prevedono l’utilizzo di sostanze tossiche:
  • le attività su ponteggi mobili o fissi;
  • la manovalanza pesante.

La violazione di tale divieto comporta per il datore di lavoro la possibilità di essere arrestato fino a sette mesi.

Lavoro notturno

La donna in dolce attesa non può espletare attività lavorativa dalle ore 24 alle 6 del mattino per tutto il periodo della gravidanza sino al compimento di un anno di età del bambino.

Inoltre, non possono essere obbligati a prestare lavoro notturno:

  • la lavoratrice (o, in alternativa, il padre convivente) madre di un bambino di età inferiore a tre anni;
  • il genitore unico affidatario di un bambino di età inferiore a dodici anni.

Le stesse disposizioni valgono per la madre adottiva o affidataria di un minore per i primi tre anni di ingresso del bambino nel nucleo familiare.

Certificati medici gravidanza a rischio

Quando la gravidanza da fisiologica (ossia con decorso naturale) si trasforma in patologica perché presenta dei pericoli per la salute della madre o del bambino, è possibile rivolgersi al servizio sanitario nazionale per ottenere un certificato di gravidanza a rischio.

Si tratta di un documento rilasciato dal medico specialista attraverso il quale si attesta la situazione di complicanza per la gestazione e la necessità di seguire determinati accorgimenti (terapia medica, riposo, esami clinici).

Ogniqualvolta si presenta una tale eventualità, il nostro ordinamento giuridico riconosce alla gestante alcuni vantaggi:

  • diritto di usufruire di una serie di indagini diagnostiche a titolo gratuito, a prescindere dalla fascia di reddito alla quale appartiene;
  • diritto a ottenere un’astensione anticipata dal lavoro: in tale ipotesi deve essere consegnato il certificato medico al datore di lavoro e deve essere trasmessa un’apposita domanda all’Inps.

Divieto licenziamento e di dimissioni della gestante

La lavoratrice in gravidanza non può essere licenziata: tra tutti i diritti delle donne, questo è forse il più importante perché è quello che viene trasgredito con maggiore frequenza dai datori di lavoro, seppur con mezzi fraudolenti (pensa, ad esempio, alla prassi di far firmare le dimissioni in bianco al momento della stipula del contratto di lavoro).

Il licenziamento di una donna in gravidanza o nei primi dodici mesi di vita del bambino è nullo, a meno che non si configuri una delle seguenti ipotesi:

  • scadenza del periodo di prova: non ci si trova in questo caso a un’assunzione definitiva da tutelare;
  • colpa grave della lavoratrice;
  • scadenza del termine del contratto per i lavori a tempo determinato;
  • cessazione dell’attività aziendale presso la quale era dipendente.

La violazione del divieto porta all’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie di importo molto elevato (ruota intorno ai 10.000 euro).

Per gli stessi scopi di tutela della maternità, sono vietate le dimissioni della lavoratrice (molte volte estorte con la forza o la minaccia) per tutto il periodo in cui è fatto divieto di licenziamento.

Diritto di precedenza alle donne incinte

La legge italiana, al momento, non prevede una norma espressa in materia di «salta-fila», ossia riferita al diritto delle donne di avere la precedenza negli uffici pubblici e nelle attività private. Tuttavia, della materia si sono occupate diverse leggi regionali e alcuni regolamenti provinciali e comunali.

In ogni caso, è sicuramente una pratica di senso civico e di buona educazione quella di cedere il posto a una donna in gravidanza. In tal senso si sono adeguati anche molti esercizi commerciali.

 
Pubblicato : 28 Marzo 2023 18:40