Contratto a termine: tutele dei lavoratori
Entro quando si può fare l’impugnazione? In caso di trasformazione in tempo indeterminato, quale risarcimento spetta?
Anche se la legge cerca di incentivare il più possibile i rapporti di lavoro a tempo indeterminato per garantire, soprattutto ai giovani, maggiore stabilità, nulla vieta a un imprenditore di assumere del personale con un contratto a scadenza. In un certo senso, la scelta conviene a entrambe le parti: il dipendente può avere tempo e modo di verificare se l’azienda risponde alle sue aspettative professionali, mentre il datore ha la possibilità di capire se la persona assunta è valida e disponibile. Nell’arco del tempo determinato, però, possono sorgere dei problemi ed è inevitabile che il dipendente con contratto a termine si chieda se le tutele dei lavoratori sono uguali per tutti, cioè per chi ha una scadenza in vista e per chi ha un tempo indeterminato.
La legge disciplina il modo in cui può essere impugnato un contratto a termine e definisce il risarcimento dovuto in caso di conversione in contratto a tempo indeterminato.
Quando non può essere fatto un contratto a termine?
Dicevamo che, in linea generale, nulla vieta a un datore di lavoro di assumere del personale con contratto a termine. Ci sono, però, alcuni limiti che, se non rispettati, possono portare il dipendente ad agire per vedersi riconoscere i propri diritti.
Non è possibile instaurare questo tipo di rapporto di lavoro:
- per la sostituzione di un lavoratore in sciopero;
- in un’unità produttiva in cui sono stati fatti nei sei mesi precedenti dei licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a termine, salvo che esso serva a sostituire lavoratori assenti, ad assumere dipendenti iscritti alla mobilità o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
- in un’unità produttiva in cui c’è una sospensione del rapporto o una riduzione d’orario, in regime di cassa integrazione, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine;
- da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi.
Se viene violata anche una sola di queste regole, il contratto a termine deve essere trasformato in tempo indeterminato.
Inoltre, non può essere fatto un contratto on una scadenza superiore ai 12 mesi, tranne che per:
- temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività dell’azienda;
- di sostituzione di altri lavoratori;
- connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
In ogni caso, e in presenza di queste causali, la durata del contratto non può superare i 24 mesi.
L’impugnazione del contratto a termine
Il lavoratore che ritenga opportuno impugnare un contratto a termine, ad esempio per contestare la scadenza posta, deve agire entro 180 giorni dalla cessazione del rapporto con atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere mota la sua volontà.
L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di consegnare ulteriori documenti.
Quando la conciliazione o l’arbitrato richiesti vengono rifiutati o non si raggiunge l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
Conversione a tempo indeterminato: il diritto al risarcimento
Se il contratto a termine, in una delle ipotesi sopra elencate, viene trasformato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del lavoratore, al comportamento e alle condizioni delle parti.
L’indennità ristora per intero il danno subìto dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
In presenza di contratti collettivi che prevedono l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità è ridotto alla metà.
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