Continue assenze: si può essere licenziati?
Legge e recenti decisioni giudiziarie relative alle assenze ripetute dal lavoro e il possibile licenziamento: il mancato superamento del periodo di comporto.
Ti sei mai chiesto se, in caso di continue assenze sul lavoro si può essere licenziati? Quali sono i diritti del lavoratore e quali quelli del datore di lavoro se tali assenze, pur non superando il periodo di comporto, possono pregiudicare l’organizzazione aziendale? In questo articolo, cerchiamo di capire in che misura e in quale quantità le assenze ripetute possano influenzare il rapporto di lavoro, facendo riferimento alla recente decisione della Cassazione civile, sezione lavoro, n. 16719 del 13 giugno 2023.
Le assenze ripetute possono legittimare un licenziamento?
Non sempre. Nonostante le assenze possano avere un impatto sull’organizzazione aziendale, ciò non è sufficiente a legittimare il licenziamento del lavoratore affetto da continua morbilità. Il punto cruciale è che il dipendente può essere licenziato solo se supera il cosiddetto “periodo di comporto“, ossia quel limite massimo di assenze in un anno previsto dal contratto collettivo.
Dunque, anche quando la malattia si presenza a intermittenza e il lavoratore è costretto ad assentarsi con una certa frequenza, il datore di lavoro, che pure subisce un danno da tale situazione, non può intimare il licenziamento, neanche quello per scarso rendimento.
Che cos’è il periodo di comporto?
Il periodo di comporto rappresenta un limite temporale durante il quale il datore di lavoro non può licenziare un dipendente a causa di assenze ripetute dovute a malattia. Tale periodo è predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi. Se queste fonti mancano, il periodo viene determinato dal giudice in via equitativa.
Qual è la durata del periodo di comporto?
Relativamente agli operai, la durata del cosiddetto periodo di comporto non è uniforme per tutti i settori produttivi: infatti, ogni contratto collettivo nazionale di lavoro stabilisce le proprie regole sul numero massimo di giorni di malattia, superato il quale può essere applicato il licenziamento.
La situazione per gli impiegati è differente: esiste una normativa unificata che stabilisce:
- un limite massimo di tre mesi all’anno, nel caso l’anzianità di servizio non superi i dieci mesi;
- un limite massimo di sei mesi all’anno, se l’anzianità di servizio supera i dieci mesi.
Nonostante ciò, anche gli impiegati devono fare riferimento al proprio contratto collettivo nazionale di lavoro per una corretta interpretazione della durata del periodo di comporto.
Cosa dice la Cassazione sul licenziamento a causa di assenze frequenti?
Nel caso della controversia tra Alitalia e un suo dipendente, la Cassazione ha stabilito che il licenziamento per assenze frequenti, sia esse continue o alternate, può avvenire solo dopo il superamento del periodo di comporto. Se così dovesse essere, allora non è richiesta la prova del giustificato motivo oggettivo, della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. Basta semplicemente dedurre il superamento dei giorni del comporto per rendere valido il licenziamento. Né il datore di lavoro è tenuto a effettuare il repêchage, ossia verificare se il dipendente possa essere adibito ad altre mansioni.
La legge consente al datore di riammettere in azienda, al termine della malattia, il lavoratore che abbia superato il comporto solo al fine di vagliare la sua compatibilità con il nuovo assetto lavorativo. Se tale “prova” dovesse però risultare negativa, il licenziamento dovrebbe essere tempestivo.
Il lavoratore può essere licenziato per basso rendimento?
Il basso rendimento è considerato un motivo di licenziamento disciplinare quando il rendimento del dipendente è di gran lunga al di sotto della media dei suoi colleghi di reparto con le stesse mansioni. Prima del licenziamento è però necessari diffidare il dipendente per dargli la possibilità di mettersi in regola. Ad ogni modo, il licenziamento per scarso rendimento non è legittimo se è determinato da un fatto estraneo alla colpa del lavoratore, come appunto una ricorrente malattia. Un alto numero di assenze non costituisce inadempimento, a meno che non esaurisca il periodo di comporto.
Conclusioni
In conclusione, le assenze frequenti dal lavoro possono avere ripercussioni sulle dinamiche aziendali, ma non sono sufficienti per giustificare un licenziamento. Il datore di lavoro deve rispettare il periodo di comporto prima di procedere con il licenziamento. Allo stesso tempo, è fondamentale per i lavoratori essere consapevoli dei loro diritti e delle protezioni previste dalla legge.
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