Concorrenza sleale fra imprenditori: ultime sentenze
Effetti distorsivi sul mercato; relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato; rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori; appropriazione o contraffazione di un marchio.
Quando l’imprenditore non commette atti contrari alla legittima concorrenza?
In tema di concorrenza sleale, un imprenditore non pone in essere atti contrari alla legittima concorrenza per il solo fatto di avvalersi della collaborazione di soggetti che hanno violato l’obbligo di fedeltà nei confronti del loro datore di lavoro, essendo necessario a tal fine che il terzo si appropri, per il tramite del dipendente, di notizie riservate nella disponibilità esclusiva del predetto datore di lavoro ovvero che il terzo istighi o presti intenzionalmente un contributo causale alla violazione dell’obbligo di fedeltà, tenuto, peraltro, conto che, per aversi illecito concorrenziale, occorre, oltre alla mera competizione fra imprenditori, un “quid pluris”, che deve individuarsi nella violazione dei principi e dei canoni della correttezza professionale nonché nell’intenzione specifica, quanto meno prevalente, di nuocere il concorrente ovvero il cosiddetto “animus nocendi”.
Tribunale Milano Sez. spec. Impresa, 27/05/2022, n.4718
Illecito sviamento della clientela
La concorrenza sleale per «illecito sviamento di clientela» è concetto estremamente vago e non tipizzato e, quindi, non assimilabile ad altre figure sintomatiche di concorrenza sleale scorretta elaborate in modo tradizionalmente consolidato dalla giurisprudenza (storno di dipendenti, violazione di norme pubblicistiche, boicottaggio, vendita sottocosto, ecc.), dovendosi precisare che il tentativo di sviare la clientela (che non “appartiene” all’imprenditore) di per sé rientra nel gioco della concorrenza, sicché per apprezzare, nel caso concreto, i requisiti della fattispecie di cui all’articolo 2598, n. 3, del Cc e ritenere illecito lo sviamento occorre che esso sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale (intesa come il complesso di regole desunte dalla coscienza collettiva imprenditoriale di una certa epoca, socialmente condivise dalla categoria). È, quindi, evidente che non sia sufficiente il tentativo di accaparrarsi la clientela del concorrente sul mercato nelle sue componenti oggettive e soggettive, ma è imprescindibile il ricorso a un mezzo illecito secondo lo statuto deontologico degli imprenditori.
Tribunale Milano Sez. spec. Impresa, 27/05/2022, n.4718
Concorrenza sleale: presupposto dell’illecito
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale.
(Nel caso di specie, il giudice adito, ritenuta la sussistenza del rapporto di concorrenzialità tra le parti, essendo la società convenuta operativa proprio nel medesimo settore di appartenenza della società attrice, accogliendo la domanda formulata da quest’ultima, ha disposto l’inibizione dell’uso del marchio illecitamente utilizzato, adottando le statuizioni conseguenti).
Tribunale Roma sez. XVII, 20/05/2022, n.7955
Società in liquidazione: non può subire di atti di concorrenza
Una società in fase di liquidazione rimane in vita solo per definire i rapporti in corso, estinguere le passività e ripartire le eventuali attività residue, ma non può intraprendere nuovi affari e, quindi, resta esclusa dal novero delle imprese in rapporto di concorrenza nell’ambito di un determinato settore di mercato. Come tale va da sé che a società in liquidazione non può essere soggetto passivo di atti di concorrenza sleale (ad esempio per sviamento di clientela o sottrazione di dipendenti), posto che lo sviamento di clientela e la sottrazione di dipendenti presuppongono la sussistenza di un rapporto concorrenziale fra autore e vittima del fatto, vale a dire della qualità di entrambi di imprenditori operanti nello stesso settore di mercato od in settori connessi, qualità che non è ravvisabile in capo a società in liquidazione.
Tribunale Ancona, 01/04/2022, n.463
Concorrenza sleale e tutela del consumatore
La legge “antitrust” 10 ottobre 1990, n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall’altro, che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti.
Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto “ex” art. 2043 cod. civ., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della legge n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello.
Tribunale Perugia sez. III, 11/10/2021, n.1337
Concorrenza sleale: valutazione dei presupposti
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune e, quindi, la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico e, quindi, su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale.
Nel caso di specie, relativo all’indebito utilizzo del know-how e di notizie riservate afferenti all’attività della società attrice, il Tribunale ha ritenuto sussistente il rapporto di concorrenzialità tra le parti, essendo entrambe società attive nel settore relativo ai servizi di sicurezza e vigilanza privata, pur trattandosi di due società aventi dimensioni diverse, non risultando però provato alcuno specifico atto di concorrenza sleale in danno dell’attrice, in mancanza di prova dell’illecita appropriazione.
Tribunale Roma sez. XVII, 17/09/2021, n.14581
Comunanza di clientela
In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
Ritenuta l’esistenza di un rapporto di concorrenza, il Tribunale ha qualificato come atto di concorrenza sleale l’inserimento da parte del convenuto, nella denominazione sociale, del nome già utilizzato da altro imprenditore concorrente, preordinato a creare confusione nella clientela.
Tribunale Bari Sez. spec. Impresa, 03/06/2021, n.2151
Rapporto di concorrenza tra imprenditori
Pur presupponendo la concorrenza sleale un rapporto di concorrenza tra imprenditori, non è esclusa la possibilità del compimento di un atto di concorrenza sleale da parte di chi si trovi in una relazione particolare con l’imprenditore, soggetto avvantaggiato, tale da far ritenere che l’attività posta in essere sia stata oggettivamente svolta nell’interesse di quest’ultimo, non essendo indispensabile la prova che tra i due sia intercorso un “pactum sceleris”, ed essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato.
Tribunale Bologna Sez. spec. Impresa, 10/09/2020, n.1226
La concorrenzialità tra imprese
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale.
Tribunale Roma sez. XVII, 17/01/2020, n.1139
Concorrenza sleale da parte di soggetto diverso dall’imprenditore
Gli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c. presuppongono un rapporto di concorrenza tra imprenditori, sicché la legittimazione attiva e passiva all’azione richiede il possesso della qualità di imprenditore; ciò, tuttavia, non esclude la possibilità del compimento di un atto di concorrenza sleale da parte di chi si trovi in una relazione particolare con l’imprenditore, soggetto avvantaggiato, tale da far ritenere che l’attività posta in essere sia stata oggettivamente svolta nell’interesse di quest’ultimo, non essendo indispensabile la prova che tra i due sia intercorso un “pactum sceleris”, ed essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato, in carenza del quale l’attività del primo può eventualmente integrare un illecito ex art. 2043, c.c., ma non un atto di concorrenza sleale.
Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, n.18772
Quando si configura la concorrenza sleale?
Nell’interpretazione della clausola generale di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., che individua atti di concorrenza sleale nel comportamento di chiunque si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda, rientra la violazione di norme di diritto pubblico.
Tale violazione può avere effetti distorsivi sul mercato nel caso di norme che impongono oneri, quali le autorizzazioni per lo svolgimento di determinate attività, quando il rilascio dell’autorizzazione sia subordinato a condizioni che comportano costi e, pertanto, la violazione della norma consenta un risparmio che rende praticabili alla clientela prezzi più bassi di quelli dei concorrenti.
La violazione può presumersi insussistente ove l’autorizzazione amministrativa sia stata concessa, ma è pur sempre consentito al giudice ordinario, al quale sia richiesto l’accertamento dell’attività di concorrenza sleale nel rapporto fra imprenditori concorrenti, sindacare l’atto amministrativo in via incidentale e, ove ritenuto illegittimo, disapplicarlo.
Corte appello Milano sez. I, 28/05/2019, n.2346
L’azione diretta alla repressione di atti di concorrenza sleale
La collocazione dell’art. 2601 c.c. all’interno della Sezione II del Capo I del Titolo X del Libro V del Codice Civile, dedicata alla concorrenza sleale fra imprenditori, implica che non possono avvalersi del rimedio processuale previsto dalla norma le associazioni fra professionisti.
Tribunale Reggio Emilia sez. I, 27/10/2018
Rilevanza e configurabilità della comunanza di clientela
In tema di concorrenza sleale presupposto indefettibile è, quindi, la comunanza della clientela, la cui sussistenza va verificata anche in una prospettiva potenziale, considerando se l’attività, nella sua dinamicità naturale, consenta di configurare l’esito del mercato fisiologico e prevedibile, sia sul piano temporale che geografico.
L’astratta configurabilità della concorrenza sleale tra due o più imprenditori presuppone il contemporaneo esercizio della stessa attività, industriale o commerciale, in un ambito territoriale potenzialmente comune.
Tribunale Velletri sez. II, 11/09/2018, n.1907
Concorrenza sleale ed esercizio della medesima attività
In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
Cassazione civile sez. I, 18/05/2018, n.12364
Sussistenza della concorrenza sleale
Va ritenuta la sussistenza della concorrenza sleale considerato che l’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di mia situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
Tribunale Bari sez. IV, 22/10/2015, n.4525
Situazione di concorrenzialità tra imprenditori
L’astratta configurabilità della concorrenza sleale tra due o più imprenditori presuppone il contemporaneo esercizio della stessa attività, industriale o commerciale, in un ambito territoriale potenzialmente comune, sicché gli articoli di stampa che denigrino un gruppo imprenditoriale non sono neppure giuridicamente inquadrabili negli atti di concorrenza sleale tra la testata giornalistica, pur di rilievo nazionale, ed un gruppo imprenditoriale, la cui attività sia estremamente ampia e ramificata, e non riconducibile al solo settore dell’informazione.
(In applicazione di detto principio, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito di rigetto della domanda risarcitoria, escludendo che la pubblicazione di un articolo in cui si suggeriva una mobilitazione generale contro la normativa disciplinante l’assetto radio-televisivo nazionale, configurasse atto di concorrenza sleale).
Cassazione civile sez. III, 05/02/2015, n.2081
Configurabilità di un atto di concorrenza sleale
La legittimazione passiva in ordine ad una domanda di inibitoria degli atti di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. n. 1 sussiste allorché sussiste una situazione di concorrenzialità; infatti, presupposto giuridico per la legittima configurabilità di un atto di concorrenza sleale è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori e la conseguente idoneità della condotta di uno dei due concorrenti ad arrecare pregiudizio all’altro, pur in assenza di un danno attuale.
Si trovano in concorrenza tra loro tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operino in una qualsiasi delle fasi della produzione e del commercio destinata a sfociare nella collocazione sul mercato dei prodotti.
Il diritto esclusivo di un titolare di utilizzare il disegno o il modello e di vietarne l’utilizzo a terzi, può essere fatto valere non solo nei confronti del produttore del prodotto contraffatto ma anche nei confronti dei commercializzatori.
Ai fini della tutela per concorrenza sleale (imitazione servile), occorre che il prodotto imitato sia originale e che gli elementi ripresi non siano né funzionali né comuni per l’oggetto imitato; ed occorre altresì che sia provato il rischio di confusione nel pubblico. Occorre, dunque che i prodotti evochino nel loro complesso un’impressione tale da indurre potenzialmente il pubblico in confusione.
In presenza di elementi concreti di differenziazione tra i prodotti è da escludersi la contraffazione del brevetto, come pure la concorrenza sleale.
Tribunale Roma Sez. Proprieta’ Industriale e Intellettuale, 11/06/2008
Pubblicità ingannevole o denigratoria
La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta. La tutela giurisdizionale ordinaria è ammessa ogniqualvolta la pubblicità ingannevole o denigratoria integri una condotta di concorrenza sleale tra imprenditori. Non è ingannevole lo spot pubblicitario che non induca in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto, cioè sulla natura, qualità, composizione, sul modo di fabbricazione del prodotto stesso. Tale spot non è quindi idoneo a ledere le imprese concorrenti. La lesione delle imprese concorrenti è requisito necessario ex c.c., art. 2598 a configurare l’illecito concorrenziale.
Essendo il fatto lesivo avvenuto anche a Roma, posto che la diffusione dello spot pubblicitario sui canali televisivi avviene a livello nazionale, oltre al Foro del luogo in cui il resistente ha la residenza o il domicilio è anche competente il Tribunale di Roma, nella cui circoscrizione sono stati commessi i fatti lesivi lamentati.
Nelle cause relative ai diritti di obbligazione, il convenuto che eccepisca l’incompetenza territoriale ha l’onere di contestare con il primo atto difensivo la competenza del giudice adito con riferimento a ciascuno dei diversi criteri concorrenti ex art. 18, 19 e 20 c.p.c. la cui scelta spetta all’attore, con la conseguenza che il difetto di tale specifica contestazione comporta che la competenza resta radicata presso il giudice adito in base al profilo non contestato.
Deve essere rigettata l’eccezione di carenza di legittimazione attiva di una federazione, la quale, nella sua qualità di federazione, può agire in proprio a tutela dei propri diritti, al pari degli altri ricorrenti.
Tribunale Roma Sez. Proprieta’ Industriale e Intellettuale, 20/07/2006
Soluzioni professionali alternative
Ai sensi dell’art. 1746 c.c. è imposto all’agente di tutelare gli interessi del preponente e di agire con lealtà e buona fede nell’esecuzione dell’incarico. Tuttavia, tale norma non impedisce all’agente – così come al subagente – vincolato da un contratto a tempo indeterminato suscettibile di disdetta, di ricercare soluzioni professionali alternative, che vengano in concreto a risultare pregiudizievoli per il preponente (come nel caso, non infrequente, dell’acquisizione di un mandato di agenzia da parte di un’impresa in concorrenza con l’originario preponente), se non impiega mezzi e modalità che siano di per sé qualificabili come scorretti, vuoi ai fini dell’acquisizione del nuovo incarico professionale, vuoi nell’esecuzione del medesimo, sulla base dei principi di carattere generale in materia contrattuale e, specificamente, di quelli di correttezza e di buona fede nell’esecuzione del rapporto di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., ovvero delle regole in tema di concorrenza sleale tra imprenditori.
Né, alla stregua di ciò, può ritenersi di per sé scorretto il comportamento di un subagente che, intenzionato a porre fine al rapporto in corso con l’agente, ne metta al corrente l’imprenditore preponente, offrendo l’occasione al medesimo di valutare le conseguenze di tale ipotesi ed a se stesso la possibilità di comunicare la propria eventuale disponibilità ad assumere un incarico diretto, sempreché non siano posti in essere mezzi di per sé scorretti, poiché, in difetto di precise pattuizioni in proposito, non è ravvisabile un obbligo di fedeltà in capo al subagente nei confronti dell’agente suo preponente che vieti iniziative di questo genere, compiute con il rispetto del principio generale della correttezza.
(Nella specie, la S.C., enunciando il richiamato principio, ha rigettato il ricorso proposto dall’agente e confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato escluso che il comportamento del subagente avesse comportato violazione di obblighi derivanti dal contratto di subagenzia, considerato che l’obbligo di cooperazione dell’agente ai fini del raggiungimento degli interessi del suo preponente non comprendeva l’obbligo di restare per sempre vincolato al medesimo, così come neanche il canone generale di correttezza e buona fede poteva impedire all’agente, in mancanza di specifiche clausole contrattuali, di cercare una sistemazione migliore ed eventualmente anche di proporre, nel caso del subagente, le proprie prestazioni direttamente al mandante del proprio preponente).
Cassazione civile sez. lav., 10/05/2006, n.10728
Controversia tra privati imprenditori
In materia di illecito concorrenziale ex art. 2598 comma 1 n. 3, il giudice nazionale è competente a conoscere della controversia tra privati imprenditori concernente l’accertamento di condotte integranti concorrenza sleale anche nella ipotesi in cui l’illiceità derivi dalla violazione della disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato, quando tale aiuto sia attuato in modo abusivo ovvero violando i relativi limiti oggettivi imposti dalla Commissione UE: in siffatte ipotesi ed in attesa delle complesse valutazioni economiche di competenza della Commissione UE, il Giudice nazionale adito dal soggetto che assuma leso il proprio diritto alla corretta competizione sul mercato ex art. 2598 c.c., ove riscontri una obiettiva violazione delle condizioni ed obblighi stabiliti dalla decisione autorizzativa dell’aiuto, ben può provvedere interinalmente ad emanare i provvedimenti cautelari più opportuni al fine di assicurare gli effetti della futura pronuncia di merito.
Tribunale Roma sez. II, 13/03/2006
Protezione dei segni distintivi dell’impresa e concorrenza sleale tra imprenditori
La tutela della propria denominazione e della relativa efficacia distintiva compete anche ai fenomeni associativi in quanto tali, a prescindere dalla protezione accordata dall’ordinamento ai segni distintivi dell’impresa ed avverso la concorrenza sleale tra imprenditori.
Tribunale Milano sez. fer., 11/08/2004
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