Come si valuta il danno da demansionamento?
Dipendente lasciato inattivo e senza lavorare per molto tempo: come agire contro il datore di lavoro.
Il mobbing del datore di lavoro ai danni di un dipendente si può manifestare in numerose forme. Una di queste è il demansionamento: il fatto di lasciare a lungo inattivo il lavoratore allo scopo di umiliarlo e di allontanarlo dal contesto aziendale è un fatto più che sufficiente per chiedere il risarcimento del danno morale e alla professionalità. Ma come si valuta il danno da demansionamento? Lo si può comprendere agevolmente attraverso l’analisi dell’ordinanza della Cassazione n. 16639/2024.
Qui di seguito, dopo aver scoperto cos’è il demansionamento e quando opera, vedremo cosa può fare il lavoratore per tutelare i propri diritti.
Cos’è il demansionamento?
Il demansionamento, da molti chiamato anche “dequalificazione”, è un istituto giuridico disciplinato dall’articolo 2103 del codice civile italiano, che consiste nell’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto o a quelle che ha svolto in precedenza.
In parole semplici, significa che il datore di lavoro attribuisce al dipendente compiti e responsabilità meno qualificati rispetto a quelli che gli competono per contratto o per esperienza lavorativa.
Il demansionamento può essere:
- temporaneo, ad esempio quando un lavoratore sostituisce uno assente per malattia;
- definitivo, ad esempio quando il datore adibisce a mansioni inferiori un lavoratore con un handicap non più abile alla propria mansione, come estremo rimedio alternativo al licenziamento.
Il codice civile prevede diverse ipotesi in cui il demansionamento è legittimo:
- motivi economici: ad esempio, in caso di difficoltà economiche aziendali, il datore di lavoro può, come alternativa al licenziamento, decidere di ridurre i costi del personale demansionando alcuni lavoratori;
- motivi organizzativi: ad esempio, a seguito di una riorganizzazione aziendale, il datore di lavoro può modificare i ruoli di alcuni lavoratori.
- inidoneità fisica o professionale del lavoratore: se il lavoratore non è più in grado di svolgere le mansioni per le quali è stato assunto per motivi di salute o di carenze professionali, il datore di lavoro può adibirlo ad altre mansioni compatibili con la sua professionalità, purché dello stesso livello contrattuale o, se non disponibili, anche di livello inferiore. Anche in questo caso il demansionamento si pone come estremo rimedio alternativo al licenziamento.
Il demansionamento è illegittimo in caso di:
- rappresaglia: il datore di lavoro non può demansionare il lavoratore per ritorsione, ad esempio perché ha contestato un provvedimento disciplinare o ha fatto valere i propri diritti;
- mancanza di motivazione: il demansionamento deve essere giustificato da una precisa ragione aziendale e non può essere attuato in modo arbitrario;
- intento mobbizzante.
A cosa dà diritto il demansionamento?
Il lavoratore illegittimamente demansionato può:
- agire dinanzi al tribunale per chiedere il ripristino della mansione precedentemente svolta e il risarcimento del danno;
- dimettersi per giusta causa, maturando così il diritto al risarcimento, all’indennità di mancato preavviso e alla Naspi.
Quali sono i danni risarcibili per demansionamento?
Tutti i danni che il dipendente dimostra essere conseguenza immediata e diretta del demansionamento sono risarcibili. Vi è quindi:
- il danno alla salute psicofisica, se certificato e quindi quantificato tramite apposita perizia medico-legale;
- il danno morale, per la sofferenza, la frustrazione e l’umiliazione; viene quantificato in via equitativa;
- il danno alla professionalità: è la perdita della possibilità di carriera. Tale danno sussiste quando un lavoratore resta a lungo inattivo o viene relegato a compiti di minore importanza per buona parte della settimana.
Come si quantifica il danno da demansionamento?
Per valutare l’entità del demansionamento e quindi quantificare il risarcimento, la Cassazione impone che il giudice valuti attentamente i seguenti parametri:
- qualità e quantità dell’attività svolta: meno compiti e di minor valore rispetto alla mansione originale possono incrementare il valore del risarcimento;
- tipo e natura della professionalità lesa: il giudice deve considerare come il demansionamento abbia influenzato le competenze specifiche del lavoratore;
- durata del demansionamento: più lungo è il periodo di demansionamento, più grave è il danno presunto;
- nuova collocazione dopo la dequalificazione: il nuovo ruolo del lavoratore all’interno dell’azienda può evidenziare un abbassamento del livello professionale e quindi un maggior danno;
- conoscibilità della dequalificazione: il fatto che il demansionamento sia noto all’interno o all’esterno del luogo di lavoro può incrementare il danno alla reputazione. Nel caso di lavoratori ben conosciuti nel contesto aziendale, il danno all’immagine può essere particolarmente significativo;
- frustrazione delle aspettative professionali: il giudice deve tenere conto di come il demansionamento abbia impedito al lavoratore di progredire nella carriera secondo le sue ragionevoli aspettative;
- effetti negativi sulle abitudini di vita quotidiana del lavoratore.
Come si prova il danno da demansionamento in tribunale?
Il danno non patrimoniale da demansionamento può essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, incluse le presunzioni ossia gli indizi.
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