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Come si calcola la quota fissa del riscaldamento?

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(@sabrina-mirabelli)
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Regole per la suddivisione della spesa annua di combustibile e per l’accensione dei riscaldamenti nei condomini con impianto centralizzato.

Per coloro che abitano nei condomini dotati di impianto di riscaldamento centralizzato è sicuramente importante conoscere come avviene la ripartizione delle relative spese ed in particolare come si calcola la quota fissa di riscaldamento. La materia è regolata dal decreto legislativo n. 73/2020 [1] che ha modificato la precedente disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 102/2014 [2]. Tale provvedimento aveva statuito l’obbligo per i condomìni di dotarsi di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione, in pratica delle cosiddette termovalvole, così da modificare la temperatura del proprio appartamento in maniera autonoma. A seguito dell’adozione di questi sistemi, la ripartizione delle spese del riscaldamento avveniva secondo la modalità contenuta nella norma Uni 10200 che legava il costo del servizio di riscaldamento agli effettivi consumi di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto.

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 73/2020 è stato eliminato ogni riferimento alla norma Uni 10200 e sono state introdotte delle novità su come si calcola la quota fissa di riscaldamento e, in generale, sulle modalità di ripartizione delle spese energetiche in ambito condominiale.

Cosa prevedeva la norma UNI 10200?

Secondo la norma tecnica UNI 10200, la spesa annua di combustibile connessa al consumo per il riscaldamento doveva essere suddivisa in due aliquote:

  1. la quota volontaria, riconducibile all’azione del singolo condomìno che decideva di utilizzare o non utilizzare il servizio di riscaldamento mediante l’apposita manopola presente in ogni radiatore;
  2. la quota involontaria (quota fissa), dovuta alle dispersioni dell’impianto, non riconducibile all’azione dei singoli condomìni.

La spesa inerente alla quota volontaria andava ripartita secondo i consumi registrati dai termocontabilizzatori, quindi, andava a carico del singolo condomìno in ragione del maggiore o minore uso del servizio. Invece, la spesa inerente alla quota involontaria andava ripartita secondo un’apposita tabella millesimale. Detto altrimenti, il calcolo delle spese per i consumi involontari doveva essere fatto secondo le regole Uni 10200, determinando la quota fissa addebitabile all’edificio per poi frazionarla secondo la tabella millesimale tra tutti i condomìni.

L’applicazione della contabilizzazione del calore e la seguente ripartizione delle spese in base alla norma tecnica UNI 10200 comportava però uno squilibrio per cui gli appartamenti intermedi avevano quote di fabbisogno inferiori mentre quelli più disperdenti, posti ai primi e agli ultimi piani, avevano quote maggiori e, di conseguenza, spese di riscaldamento superiori rispetto al passato.

L’obbligo di ripartizione così come previsto dalla norma UNI 10200 poteva essere comunque derogato dall’assemblea condominiale se, tramite una relazione tecnica asseverata, fossero state certificate delle differenze di fabbisogno termico per metro quadro superiori al 50% tra due appartamenti.

In tal caso l’assemblea, con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi, poteva decidere di ripartire le spese attribuendo almeno il 70% al consumo volontario e il resto a quello involontario.

La quota fissa poteva essere suddivisa tenendo conto di vari criteri, tra cui ad esempio i millesimi di proprietà, i metri cubi utili o le potenze installate.

Il legislatore, dunque, predeterminava nel 30% la misura minima di consumi involontari; tuttavia, l’assemblea poteva ulteriormente ridurla fino ad arrivare all’1% ma non poteva mai azzerarla.

Come si calcola la quota fissa di riscaldamento?

Il decreto legislativo n. 73/2020 da un lato modifica la precedente versione del decreto legislativo n. 102/2014, eliminando ogni riferimento alla norma tecnica Uni 10200, dall’altro non contiene alcun accenno alla “relazione tecnica asseverata” che avrebbe dovuto dimostrare differenze di fabbisogno termico per metro quadro superiori al 50% per non applicare la Uni 10200.

In pratica, il decreto legislativo del 2020 stabilisce che le spese attinenti ai consumi volontari abbiano una quota di almeno il 50% mentre gli importi rimanenti, imputabili ai consumi involontari (quota fissa), possono essere ripartiti secondo:

  • i millesimi;
  • i metri quadri;
  • i metri cubi;
  • oppure secondo le potenze installate.

Riepilogando, prima del 29 luglio 2020, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 73/2020, la quota fissa di riscaldamento poteva essere determinata secondo la norma tecnica Uni 10200 per poi essere suddivisa in base ad apposite tabelle millesimali. Se però interveniva una decisione dell’assemblea condominiale poteva essere fissata nella misura minima del 30% o anche di meno e ripartita secondo vari criteri, quali ad esempio i millesimi di proprietà, i metri cubi utili o le potenze installate.

Attualmente, invece, la quota fissa di riscaldamento deve essere almeno del 50% e va suddivisa in base ai millesimi, ai metri quadri, ai metri cubi oppure secondo le potenze installate.

Obbligo di comunicazione dei dati di consumo: in cosa consiste?

Dal 1° gennaio 2022, sono anche cambiati i criteri e le modalità con cui devono essere trasmesse le informazioni di fatturazione delle spese di riscaldamento centralizzato e consumo ai condomìni. Infatti, l’Unione Europea, rivedendo una sua direttiva del 2018 [4], ha stabilito che nei condomini in cui sono stati installati i contabilizzatori di calore leggibili da remoto, le informazioni sulla fatturazione e sul consumo basate sulla lettura di tali sistemi di misurazione devono essere fornite agli utenti almeno una volta al mese.

Tali informazioni possono anche essere rese disponibili telematicamente e aggiornate con la massima frequenza consentita dai dispositivi e dai sistemi di misurazione utilizzati.

Va comunque rilevato che i dati di consumo che possono essere comunicati mensilmente sono solo quelli relativi alla quota volontaria e non a tutti i consumi effettivi.

Affinché la comunicazione dei dati di consumo volontario ai condomìni possa in concreto avvenire almeno una volta al mese servono una infrastruttura capace di raccogliere i dati in maniera automatica, denominata Ami (automatic metering infrastructure) e un sistema di presentazione dati su Internet facilmente fruibile da parte di tutti gli utenti.

Quando si accende il riscaldamento condominiale centralizzato?

Nei condomini in cui è presente un impianto di riscaldamento centralizzato l’accensione, che spetta all’amministratore, deve essere effettuata nel rispetto di quanto all’uopo previsto dalla legge [3]. Quest’ultima infatti stabilisce una temperatura massima entro cui regolare le termovalvole nelle case private, pari a 20°, e disciplina l’accensione in base alle zone della nostra penisola e alle relative condizioni climatiche.

Più precisamente, il territorio è stato diviso nelle seguenti 6 zone per ciascuna delle quali è stata stabilita la durata massima di accensione dei riscaldamenti in base al fabbisogno termico delle diverse località:

  • zona A-Sud: Comuni di Lampedusa e Linosa, Porto Empedocle;
  • zona B-Tirrenica (Sud e Isole): Province di Agrigento, Catania, Messina, Palermo, Siracusa, Trapani, Reggio Calabria e Crotone;
  • zona C-Adriatica: Province di Imperia, Latina, Bari, Benevento, Brindisi, Cagliari, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Lecce, Napoli, Oristano, Ragusa, Salerno, Sassari e Taranto;
  • zona D-Appennini: Province di Genova, La Spezia, Savona, Forlì, Ancona, Ascoli Piceno, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Macerata, Massa Carrara, Pesaro, Pisa, Pistoia, Prato, Roma, Siena, Terni, Viterbo, Avellino, Caltanissetta, Chieti, Foggia, Isernia, Matera, Nuoro, Pescara, Teramo e Vibo Valentia;
  • zona E-Pianura Padana: Province di Alessandria, Aosta, Asti; Bergamo, Biella, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Novara, Padova, Pavia, Sondrio, Torino, Varese, Verbania, Vercelli, Bologna, Bolzano, Ferrara, Gorizia, Modena, Parma, Piacenza, Pordenone, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Rovigo, Treviso, Trieste, Udine, Venezia, Verona, Vicenza, Arezzo, Perugia, Frosinone, Rieti, Campobasso, Enna, L’Aquila e Potenza;
  • zona F-Alpi: Province di Cuneo, Belluno e Trento.

Per quanto attiene alla stagione invernale 2022/2023 il disposto legislativo va rivisto alla luce del Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale presentato il 6 settembre 2022 dal ministero della Transizione Ecologica, il quale prevede che i termosifoni devono essere regolati sui 19°, invece che sui 20°. Inoltre, pur rimanendo valida la suddivisione del territorio in 6 zone climatiche, l’avvio degli impianti va ridotto di 15 giorni, posticipando di 8 giorni la data di accensione e anticipando di 7 giorni la data di spegnimento rispetto alle regole generali, e va diminuita di 1 ora l’accensione giornaliera.

In particolare:

  • Zona A: massimo 5 ore al giorno dall’8 dicembre al 7 marzo;
  • Zona B: massimo 7 ore al giorno dall’8 dicembre al 23 marzo;
  • Zona C: massimo 9 ore al giorno dal 22 novembre al 23 marzo;
  • Zona D: massimo 11 ore al giorno dall’8 novembre al 7 aprile;
  • Zona E: massimo 13 ore al giorno dal 22 ottobre al 7 aprile;
  • Zona F: non sono previste limitazioni.
 
Pubblicato : 16 Luglio 2023 07:00