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Come si arriva al pignoramento?

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(@carlos-arija-garcia)
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La diffida, il titolo esecutivo, l’atto di precetto: i vari passaggi per recuperare il credito tramite l’esecuzione forzata.

Tutto nasce da un credito. O, se si preferisce, da un debito. Da qualcuno che non vuole o che non può pagare quello deve a un altro soggetto. Il creditore chiede, sollecita, perde la pazienza, insiste e se non riceve alcunché dal debitore, agisce per vie legali. Se nemmeno così ottiene ciò che gli spetta, avvia la procedura per l’esecuzione forzata. Ma come si arriva al pignoramento?

Innanzitutto, il creditore deve avere in mano un titolo esecutivo munito, quando necessario, di efficacia esecutiva e deve anche aver notificato un atto di precetto. Tuttavia, può sempre tentare di ottenere le cose «con le buone». Il vantaggio, nel caso in cui ce la faccia, è quello di risparmiare i tempi e i costi legati alla fase giudiziale o esecutiva. Altrimenti, avrà ottenuto, comunque, qualche vantaggio per poi arrivare al pignoramento. Ad esempio, nel tentare di contattare il debitore, potrà sapere se questi si è trasferito, dove rintracciarlo, dove recapitargli l’azione. Oppure, potrà ottenere il riconoscimento scritto del debito.

Chiaramente, quello stragiudiziale è un tentativo che comporta qualche rischio. Il più concreto è quello di far scappare il debitore che, sapendo di essere incalzato dal creditore, potrebbe rendersi irreperibile. Non resta, a questo punto, che avviarsi sulla strada verso il pignoramento. Vediamo come.

Pignoramento: la diffida ad adempiere

Si parte, innanzitutto, dall’invio al debitore, personalmente o tramite un avvocato, di una diffida ad adempiere o diffida di pagamento con cui richiede formalmente di saldare il debito entro un certo termine. È quella che comunemente viene chiamata messa in mora.

La diffida va inviata in forma di raccomandata con ricevuta di ritorno o con Pec, per ottenere gli effetti tipici della costituzione in mora (decorrenza degli interessi, eventuale maggior danno, rischio dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione a carico del debitore) e gli effetti interruttivi del termine di prescrizione del diritto che si intende far valere.

In caso di crediti verso imprese o società è sempre opportuno verificare, con una semplice visura camerale, se ci sono procedure concorsuali in atto a carico del debitore. La loro esistenza impedisce infatti l’esercizio o il proseguo dell’azione esecutiva individuale.

La diffida deve contenere almeno:

  • la descrizione del credito: ammontare, titolo (ad esempio fattura o provvedimento giudiziale) o descrizione dei fatti che generano la richiesta. Per il credito pecuniario si devono indicare o quantificare gli interessi legali, convenzionali o moratori e gli eventuali altri accessori quale la rivalutazione monetaria se dovuta;
  • l’indicazione di un termine perentorio per l’adempimento;
  • l’indicazione di eventuali spese sostenute (ad esempio, la parcella di un avvocato);
  • l’avvertimento che, in mancanza di pagamento nel termine, il creditore si rivolgerà all’autorità giudiziaria o procederà per arrivare, se necessario, al pignoramento.

Può essere opportuno avvertire il debitore che l’avvio dell’azione giudiziaria o dell’esecuzione forzata comporterà un aggravio delle spese e degli oneri a suo carico.

Cosa può succedere dopo l’invio della diffida?

La mossa di inviare la diffida al debitore può funzionare oppure no. Nel primo caso, ci sono queste possibilità:

  • il debitore paga o adempie alla prestazione richiesta;
  • il debitore propone una transazione con il creditore, «trattando» sull’entità del debito oppure chiedendo di poterlo rateizzare.

Se, invece, la diffida ha un risultato negativo, cioè se il debitore non paga oppure contesta l’esistenza del debito o la cifra richiesta, il creditore può:

  • iniziare l’esecuzione forzata: deve raccogliere informazioni sulle disponibilità economiche e patrimoniali del debitore per scegliere la strategia più efficace per recuperare ciò che gli spetta;
  • desistere da ogni ulteriore azione: questa soluzione è opportuna se la prestazione richiesta al debitore è di scarso valore economico e non giustifica le spese di un’azione esecutiva che potrebbe avere esito negativo. Insomma, quando «il gioco non vale la candela».

Cosa serve per avviare l’esecuzione forzata?

Chi è determinato ad avviare l’esecuzione forzata per recuperare il proprio credito deve:

  • possedere un titolo esecutivo che, nei casi di legge, e per i procedimenti instaurati prima del 30 giugno 2023, deve essere munito della cosiddetta formula esecutiva;
  • predisporre un atto di precetto;
  • notificare al debitore il titolo e l’atto, congiuntamente o separatamente.

Il processo esecutivo può iniziare solo se c’è stata la notificazione del titolo esecutivo e dell’atto di precetto, altrimenti può essere dichiarato non valido attraverso l’opposizione agli atti esecutivi.

Che cos’è il titolo esecutivo

Uno dei requisiti per iniziare l’esecuzione forzata, dunque, è avere in mano un titolo esecutivo. Si tratta di un documento che dimostra l’esistenza di un credito da realizzare in via esecutiva.

Il titolo deve esistere al momento in cui inizia l’azione esecutiva, non può essere formato successivamente e deve permanere per tutta la durata dell’esecuzione.

È diritto del creditore iniziare o proseguire il processo finché il debitore paga per intero l’importo dovuto in forza del titolo esecutivo, per capitale, interessi e spese. Il pagamento parziale non impedisce al creditore di avvalersi del titolo per ottenere il credito residuo. Tuttavia, l’espropriazione forzata generalmente non può essere proposta se il credito, di natura esclusivamente patrimoniale, è di entità economica oggettivamente minima.

Il titolo esecutivo è soggetto al termine di prescrizione ordinaria di dieci anni e deve avere alla base un diritto di credito:

  • certo: non deve esserci alcun dubbio o controversia sulla sua esistenza;
  • liquido: deve essere determinato nel suo ammontare o, anche se non specificatamente determinato, e deve contenere in sé i dati necessari per effettuare una quantificazione attraverso un mero calcolo matematico, sulla base di elementi certi contenuti nel titolo stesso e non ricavati da altre fonti;
  • esigibile: non può essere sottoposto a condizione sospensiva, né a termine, né ad altro limite, ad esempio una controprestazione.

Il creditore deve notificare al debitore il titolo esecutivo (munito di formula esecutiva nei casi previsti) avvalendosi dell’ufficiale giudiziario. La notifica di regola è contestuale a quella dell’atto di precetto (ad esempio in caso di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo).

Di regola, per iniziare l’esecuzione forzata, è necessario che il titolo esecutivo sia dotato della cosiddetta formula esecutiva, formata da:

  • un’intestazione: «Repubblica Italiana – In nome della legge» apposta sull’originale dell’atto dal cancelliere o dal notaio di rilascio, su richiesta di parte;
  • la seguente dicitura: «Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere in esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti».

Tale formula non viene richiesta per i procedimenti iniziati dopo il 30 giugno 2023.

Che cos’è l’atto di precetto?

L’atto di precetto è un atto autonomo del creditore che consiste nell’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non inferiore a dieci giorni con l’avvertimento che, nel caso in cui tale adempimento non avvenga, si procederà al pignoramento.

L’atto deve contenere:

  • l’indicazione dell’ufficio competente per l’esecuzione;
  • le indicazioni generali del creditore procedente (compresi il codice fiscale e la residenza o l’eventuale domicilio eletto) e del debitore:
  • codice fiscale e numero di fax dell’avvocato;
  • l’indicazione del titolo esecutivo;
  • la data di notificazione del titolo esecutivo, se avvenuta prima della notificazione del precetto;
  • la trascrizione integrale del titolo esecutivo solo se si tratta di scritture private autenticate, titolo cambiario o assegno e titoli equiparati alla cambiale oppure di accordi di mediazione o di negoziazione assistita;
  • la menzione dell’apposizione della formula esecutiva;
  • la somma richiesta in base al titolo esecutivo oppure la descrizione sommaria dei beni oggetto dell’esecuzione;
  • l’avvertimento che, in mancanza di adempimento, si procederà a esecuzione forzata;
  • l’avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo loro un piano del consumatore;
  • l’indicazione di un termine non inferiore a dieci giorni entro cui il debitore deve adempiere;
  • le eventuali spese sostenute dal creditore.

Scaduto il termine per adempiere indicato nel precetto, il creditore può iniziare l’esecuzione entro il termine di 90 giorni decorrente dalla notificazione del precetto, altrimenti quest’ultimo diventa inefficace. Trascorso quell’arco di tempo senza che sia iniziata l’esecuzione, se il creditore vuole darvi inizio deve notificare al debitore un nuovo atto di precetto.

 
Pubblicato : 27 Luglio 2023 16:15