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Come provare la conclusione di un contratto con WhatsApp?

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(@paolo-remer)
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Gli accordi contrattuali raggiunti fra le parti possono essere dimostrati con gli screenshot dei messaggi o con la trascrizione fedele del loro contenuto.

Nell’epoca moderna tutte le nostre azioni sono compiute con speditezza grazie ai mezzi telematici che consentono di essere sempre connessi, quindi virtualmente presenti anche se ci si trova in luoghi distanti (come sanno bene gli studenti che, durante la pandemia, hanno frequentato le lezioni in Dad). La contrattualistica non fa eccezione: sono sempre più frequenti le situazioni in cui le trattative e gli scambi di documenti avvengono con messaggi di posta elettronica o sullo smartphone. Così le parti si scambiano messaggi e documenti, talvolta conversano in chat, fanno trattative e alla fine di questa fase – che può durare pochi secondi o diversi giorni – concludono con un «ok, va bene», o formule simili. A quel punto l’accordo è raggiunto e perciò il contratto si intende concluso alle condizioni pattuite. Ma i problemi possono sorgere in seguito, se una delle due parti contesta i termini e le condizioni del contratto o addirittura mette in dubbio la sua esistenza. Se ciò accade, bisogna sapere come provare la conclusione di un contratto con WhatsApp.

Quando si conclude un contratto

Innanzitutto bisogna distinguere il profilo della validità del contratto da quello della prova. Se l’accordo non si forma, il contratto non viene ad esistenza. Se io voglio venderti un quintale di mele a un’euro al chilo, e tu mi rispondi «ok, compro quelle pere», il contratto non si è concluso (a meno che io, visto l’ok, non ti abbia consegnato le mele e tu le hai accettate senza osservazioni: in quel caso potrò pretendere il pagamento del prezzo). Questo dimostra come sia importante analizzare anche il contenuto completo della conversazione, e non soltanto la sua parte finale.

Abbiamo fatto l’esempio più semplice, delle mele e delle pere, ma il fenomeno accade frequentemente nelle compravendite di prodotti specialistici o dispositivi tecnologici, come i device informatici, quando la descrizione della merce è poco chiara e non corrisponde ai desideri dell’acquirente. Le volontà di entrambi i contraenti devono coincidere: se c’è divergenza, ad esempio perché uno pensa una cosa e l’altro ne intende un’altra, il contratto non è concluso. Per questo è importante essere chiari nella formulazione.

Nei contratti realizzati a distanza – come quelli tra imprese o tra un venditore e un consumatore – questo è un punto cardine e proprio la fedele memoria di WhatsApp può aiutare a risolvere i contrasti fra le parti. Se una volta si diceva “carta canta”, oggi si può aggiungere che la messaggistica istantanea  compendiata negli screenshot degli scambi intercorsi racconta ed esprime parecchio sul comportamento delle parti, anche perché in questo tipo di conversazioni tendiamo ad esprimerci in maniera più libera e meno formale rispetto a quando dobbiamo redigere un contratto per iscritto o compilare un modulo di adesione.

Quando il contratto non deve essere scritto su carta

Tutti sanno che si possono stipulare validamente contratti verbali o anche per comportamenti concludenti, come quando si preleva la merce in vendita in un supermercato e si porta alla cassa; questo metodo è ammesso per tutti i tipi di contratto che non richiedono la forma scritta per venire giuridicamente ad esistenza, come gli atti di donazione e le compravendite immobiliari (non si può vendere o donare una casa a parole, occorre almeno una scrittura privata autenticata e munita di data certa, o, meglio ancora, un atto pubblico notarile, che rispetta tutti questi requisiti anche ai fini della successiva trascrizione dell’atto in modo da renderlo inoppugnabile).

Viceversa possono esserci situazioni in cui un contratto è stato realmente concluso, verbalmente o su carta, ma la parte che ne ha interesse non può provare questa fondamentale circostanza, perché ha smarrito il documento (che non è stato fotocopiato, registrato o trascritto) e non ha testimoni per provare l’accordo intervenuto e le condizioni pattuite. Se invece il contratto è stato concluso in via telematica tutto cambia. In questi casi gli strumenti di messaggistica elettronica istantanea come WhatsApp possono fornire un grosso aiuto, se la chat è stata salvata e perciò è possibile produrla in giudizio (compresi gli allegati) come prova del contratto.

La conclusione del contratto a distanza

Se i contraenti svolgono la trattativa di persona (in un ufficio, in un negozio) o si avvalgono di mezzi di comunicazione diretti, come una telefonata o una video conversazione elettronica mediante WhatsApp, il perfezionamento di qualsiasi tipo di contratto che non deve stipularsi per iscritto avviene istantaneamente, nel momento in cui la proposta di uno viene accettata dall’altro. Se, invece, i contraenti si trovano fisicamente in luoghi diversi, chi formula la proposta deve portarla a conoscenza del destinatario, con qualsiasi mezzo utile – ad esempio, via e-mail, o con un modulo di acquisto su un sito di e-commerce – affinché il contratto si perfezioni quando interviene l’accettazione, e, precisamente, quando l’avvenuta accettazione viene comunicata al proponente.

L’art. 1326 del Codice civile stabilisce che il contratto si intende concluso quando colui che ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. Le norme del Codice civile in materia sono nate nel 1942, in un’epoca in cui non esisteva ancora Internet, la posta elettronica e tantomeno WhatsApp: perciò il legislatore ha preso a riferimento gli scambi mediante lettera postale. In seguito le nuove possibilità tecnologiche sono rientrate per analogia nelle previsioni civilistiche: così, ad esempio, il contratto formato attraverso lo scambio di e-mail viene ritenuto valido, in applicazione dei principi generali in materia di contratti conclusi per scambio di corrispondenza, anche quando le parti non hanno apposto la loro firma digitale, purché la loro identità sia certa e desumibile da altri elementi, come la pregressa conoscenza o rapporti già instaurati.

Come si prova la conclusione di un contratto a distanza?

La conoscenza dell’accettazione della proposta contrattuale è presunta quando il messaggio di accettazione giunge all’indirizzo del proponente (o presso il provider di servizi Internet che fornisce la casella -mail), a meno che egli non provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia: questo è il principio di «presunzione di conoscenza» sancito dall’art. 1335 del Codice civile. E a questo punto, come abbiamo detto, il contratto si considera validamente concluso.

Per prevenire disservizi ed evitare contestazioni (del tipo: «Non mi è mai arrivata la tua e-mail»), uno strumento più sicuro, e pienamente valido anche in giudizio a fini probatori, è la posta elettronica certificata (Pec), che avendo lo stesso valore della lettera raccomandata con avviso di ricevimento, consente di avere certezza della data di invio e di avvenuto deposito nella casella del destinatario: la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio (Rac) generata dal fornitore del servizio telematico, equivale alla consueta “cartolina” restituita dal mittente e che prova l’avvenuto recapito (non solo la spedizione, come nelle raccomandate semplici).

Come si prova la conclusione di un contratto con WhatsApp?

Applicando ai sistemi di messaggistica istantanea le stesse regole che abbiamo esaminato, la giurisprudenza ritiene valido anche lo scambio di proposta ed accettazione tramite WhatsApp ai fini della conclusione del contratto ed anche come prova del suo contenuto.

Il problema pratico delle chat – come anche delle e-mail – è che esse, a differenza delle raccomandate o delle Pec, non garantiscono una prova certa della loro effettiva ricezione: potrebbe succedere, infatti, che un’email finisca nello spam, o venga inviata a una casella piena che non può riceverla, o che un sms non venga visualizzato per qualsiasi ragione. Con WhatsApp, però, questo inconveniente è in buona parte risolto dalla doppia spunta blu, che informa il mittente dell’avvenuta lettura del suo messaggio da parte del destinatario. Si tratta di un’informazione fornita da un soggetto terzo, indipendente e neutro rispetto alle parti, e che perciò è considerata pienamente attendibile come prova.

Le chat di WhatsApp si possono contestare?

La giurisprudenza più recente fa rientrare gli scambi di messaggi tramite WhatsApp – ed anche gli sms, i “messaggini” di testo – tra le cosiddette «riproduzioni meccaniche» a cui la legge dà valenza di prova piena, all’interno del processo, dei fatti che descrivono e delle circostanze che rappresentano, ma solo se non sono contestate dalla controparte, come prevede l’art. 2712 del Codice civile. In pratica, se la conclusione del contratto viene contestata, o se l’esecuzione della prestazione prevista viene negata, la parte che ne ha interesse potrà agire in giudizio e produrre la trascrizione, o anche gli screenshot, della conversazione attraverso cui il contratto si è concluso, o dei messaggi ulteriori che dimostrano come la controparte fosse consapevole dell’avvenuta conclusione del contratto, alla quale aveva dato la sua accettazione.

La parte contro cui i messaggi di WhatsApp sono prodotti può operarne il disconoscimento, ma deve farlo in maniera specifica, non in modo generico o pretestuoso. E sarà molto difficile sostenere di non aver ricevuto un messaggio se ad esso è stata data risposta. Quindi la conservazione dei messaggi è un’arma che può decretare il successo o la sconfitta nella causa. Per questo è sempre bene salvare le chat con clienti e fornitori e con tutti coloro con cui si intrattengono rapporti commerciali o privati che hanno dato luogo alla conclusione di un contratto.

Come provare il contratto con WhatsApp in una causa

Aderendo ai principi che ti abbiamo spiegato, la  giurisprudenza attuale è in massima parte orientata a riconoscere un ampio significato probatorio alle chat di WhatsApp, se la loro trascrizione è completa e fedele, ed anche quando vengono prodotte in giudizio tramite screenshot, la foto che le riproduce come compaiono sullo schermo. Così lo scambio di messaggi WhatsApp fa piena prova dell’accordo raggiunto dalle parti.

Un caso del genere è stato recentemente deciso dal tribunale di Milano [2] in base a una chat tra un agente immobiliare e il venditore di un appartamento avente ad oggetto la percentuale spettante al primo sulla compravendita del bene. Il giudice ha ritenuto che le intese strette tra le parti tramite WhatsApp avessero valore legale e, dunque, potessero dimostrare l’esistenza del contratto e del conseguente obbligo al pagamento della provvigione spettante al mediatore.

Approfondimenti

Per altre informazioni leggi questi articoli: “Scambi WhatsApp: fanno fede?” e “Chat WhatsApp come prova di un contratto“.

 
Pubblicato : 6 Marzo 2023 17:00