Come posso ottenere la giustizia per un’ingiustizia subita?
Quali sono i rimedi per chi ha subito un torto; come le vittime di illeciti civili o di reati possono attivare la tutela giudiziaria anche gratis.
È una domanda che si pone dagli albori della civiltà umana – basti ricordare la vicenda biblica di Caino e Abele – ed emerge drammaticamente ogni giorno, quando qualcuno subisce un torto o è vittima di un illecito. Chi si trova in questa triste situazione chiede: come posso ottenere la giustizia per un’ingiustizia subita?
I torti vanno riparati, ma non con il fai da te: bisogna seguire una particolare procedura e adottare determinati accorgimenti. In questo articolo ti spiegheremo tutto ciò che serve sapere se hai subito un’ingiustizia sia civile – per l’inadempimento di un contratto o per un illecito che ti dà diritto ad essere risarcito – sia penale, quando sei vittima di un reato.
Come ottenere giustizia?
Ottenere giustizia è un’espressione tanto importante quanto vaga. Per concretizzarla, occorre capire in cosa si è concretizzata l’ingiustizia, e qual è il diritto leso da ripristinare.
Se sei vittima di un reato, (tecnicamente: sei la «persona offesa») occorre accertarlo e stabilire chi lo ha commesso. Innanzitutto devi sporgere denuncia, o presentare querela nei casi previsti, perché la maggior parte dei reati “privati” non sono perseguibili d’ufficio, quindi non possono essere denunciati dalle forze dell’ordine o da chiunque li ha rilevati, e richiedono, invece, la presentazione della querela.
Puoi sporgere la querela anche contro ignoti, se non sei in grado di individuare precisamente il responsabile. L’importante è che tu nella querela chieda espressamente la punizione del colpevole, se e quando sarà identificato. Saranno le autorità ad accertare la sua identità mediante le indagini, anche se bisogna dire che per molti reati, come i furti comuni, le indagini raramente arrivano a individuare gli autori.
La denuncia e la querela sono la fonte di innesco delle indagini, come la scintilla che accende il motore. Da qui si può arrivare, all’esito del processo penale, alla condanna del colpevole ed anche al risarcimento dei danni. La condotta che hai descritto nella denuncia o nella querela verrà «rubricata» dal pubblico ministero, cioè inquadrata in una precisa ipotesi di reato. Verranno svolte indagini per acquisire le prove.
Il processo penale segue delle regole che possono sembrare farraginose, ma sono indispensabili per arrivare alla prova che l’imputato ha davvero commesso il reato che gli è stato attribuito. La prova si forma nel contraddittorio delle parti – questo è necessario per garantire il diritto di difesa – ma la versione della persona offesa, anche se è priva di testimoni perché nessuno ha assistito all’evento (si pensi ad una violenza sessuale) può bastare per condannare, se è chiara, convincente, dettagliata e risulta priva di intenti ritorsivi.
Se invece hai subito un illecito civile – ad esempio, il tuo debitore non vuole pagarti, o ha violato le distanze tra le costruzioni – devi instaurare una causa per far valere il tuo diritto e ottenere tutela giudiziaria, se, come spesso avviene, non riesci a raggiungere un accordo proficuo con la controparte. In questi casi sarà il tuo avvocato a descrivere, negli atti di causa, «il fatto e il diritto», cioè la vicenda concreta e le norme giuridiche violate.
Ad esempio, l’articolo 2087 del Codice civile è la norma cardine che fonda la responsabilità del datore di lavoro che non garantisce la sicurezza dei suoi operai o non impedisce fenomeni di mobbing, così come l’articolo 2043 del Codice civile detta i principi fondamentali per ottenere il risarcimento dei danni, e l’articolo 2051 del Codice civile stabilisce la responsabilità degli Enti proprietari delle strade in cattive condizioni e che provocano incidenti. Ci sono molte norme come queste che garantiscono tutela negli specifici casi e consentono di ottenere giustizia.
Meglio la tutela civile o quella penale?
Ci sono dei casi che costituiscono sia un illecito civile sia un reato: pensiamo, ad esempio, ai casi di malasanità ed agli incidenti stradali dai quali derivano lesioni o la morte di persone.
Qui la vittima ha a disposizione due strade per ottenere giustizia: una è quella di instaurare un normale processo civile, l’altra è quella di costituirsi parte civile nel processo penale avviato a carico del responsabile.
Una coppia di genitori ha avuto un figlio affetto da una grave malformazione e imputa ciò alle negligenze del ginecologo che non ha scoperto la patologia e della clinica ove è avvenuto il parto. Per ottenere il risarcimento dei danni, può scegliere tra l’azione civile contro il medico e la struttura (e le loro assicurazioni) e la costituzione di parte civile nel processo penale instaurato a carico dei sanitari responsabili.
La costituzione di parte civile è più lenta all’inizio, perché bisogna aspettare la conclusione delle indagini preliminari da parte della Procura e il rinvio a giudizio degli imputati. Se la Procura dovesse archiviare, non ci si potrebbe costituire parte civile perché il procedimento penale si chiuderebbe prima del processo.
Il vantaggio della costituzione di parte civile si rivela in seguito: una volta accertata la penale responsabilità dell’imputato, il più è fatto, e manca solo la liquidazione dei danni (potrebbe provvedervi direttamente il giudice penale in sentenza, ma di solito lascia questo compito al giudice civile).
Mentre nel processo civile si segue la regola del «più probabile che non», e questo facilita la prova dell’illecito, nel processo penale si adotta la più rigorosa regola della responsabilità provata al di là di ogni ragionevole dubbio, dunque con certezza. Pertanto, se si dubita che l’imputato venga condannato (o che arrivi al processo) è meglio avviare direttamente la causa civile. Per maggiori informazioni leggi “Quando non conviene costituirsi parte civile“.
Quali sono i diritti delle vittime di reati?
I diritti delle vittime di reati sono molteplici e offrono un ventaglio di opzioni per ottenere giustizia nel processo instaurato a carico dell’autore del crimine. Innanzitutto la persona offesa può sporgere querela all’Autorità giudiziaria (direttamente alla Procura della Repubblica o presso le forze dell’ordine, come Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza) per descrivere i fatti di cui è stato vittima, sollecitare lo svolgimento delle indagini e chiedere la punizione del colpevole.
Il termine normale per proporre querela è di 3 mesi dalla data del fatto o dal momento successivo in cui se ne è avuta conoscenza (ad esempio: leggo un post diffamatorio un mese dopo che è stato pubblicato su Internet), ma per alcuni reati di particolare gravità il termine è esteso: ci sono 6 mesi di tempo per denunciare lo stalking e 12 mesi per la violenza sessuale.
Poi, quando il processo penale verrà instaurato, la persona offesa può costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni. Questa possibilità è utile non solo nei reati contro il patrimonio (come il furto e la truffa) ma anche per i reati contro la persona che spesso provocano sofferenze e danni morali.
Tieni presente, però, che, se il colpevole risulta nullatenente, cioè privo di redditi stabili e di beni intestati, in pratica non riuscirai ad ottenere il risarcimento stabilito. In ogni caso la sentenza costituisce titolo esecutivo, quindi si può provare, con la ricerca dei beni da pignorare, ad aggredire il patrimonio del responsabile, verificando se ha conti correnti, stipendi, pensioni, immobili.
Come si fa giustizia se la vittima è morta?
I casi più gravi di ingiustizia sono quelli in cui la vittima è deceduta in conseguenza del reato o dell’illecito commesso. Si pensi ad un omicidio doloso o stradale, o alle ipotesi di responsabilità medica e sanitaria.
In questi tristi casi, i familiari e gli altri eventuali eredi dello scomparso possono agire non solo per far condannare i responsabili nel processo a loro carico, ma anche per ottenere il risarcimento del danno. È una tutela riparatoria che cerca di reintegrare per equivalente, in termini economici, il “prezzo del dolore” causato dalla perdita di un familiare.
Per saperne di più, leggi come avviene la liquidazione del danno parentale. Ci sono dei criteri prestabiliti e seguiti da tutti i tribunali italiani per quantificare la cifra spettante, in base al rapporto di parentela e all’intensità del legame affettivo con la persona deceduta.
Posso difendermi da solo?
Puoi difenderti da solo, cioè senza avvocato, solo nei seguenti casi:
- per presentare una denuncia o sporgere una querela (per costituirsi parte civile, invece, è necessaria l’assistenza di un avvocato);
- nelle cause civili di valore inferiore a 1.100 euro (il giudice di pace può, con provvedimento motivato, autorizzare l’autodifesa anche per cause di valore superiore);
- nelle cause tributarie di valore fino a 3.000 euro (l’importo riguarda le imposte o tasse, al netto degli interessi e delle sanzioni);
- nei procedimenti amministrativi riguardanti il diritto di accesso agli atti (ma se l’Amministrazione te lo nega o non risponde, devi fare ricorso con un avvocato).
In tutti gli altri casi, occorre sempre l’assistenza dell’avvocato, ma puoi averlo senza costi grazie al patrocinio a spese dello Stato, che è previsto per le vittime di alcuni reati. Leggi il paragrafo seguente per conoscere queste ipotesi.
La persona offesa può avere l’avvocato gratis?
Il gratuito patrocinio non spetta solo agli imputati con basso reddito (nel 2023, la soglia è di 12.838,01 euro, più un incremento per i familiari) ma anche alle vittime dei reati, e a prescindere dal reddito.
In particolare, hanno diritto all’avvocato gratis le persone offese dai reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, adescamento o corruzione di minori, atti sessuali con minorenne. Per l’elenco completo leggi “Gratuito patrocinio: quando il reddito non conta“.
Per tutti gli altri reati, la persona offesa può essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato con gli stessi limiti reddituali previsti per gli imputati: quindi per i meno abbienti il beneficio è riconosciuto.
Come faccio a provare che ho ragione?
Per ottenere giustizia ci vogliono sempre le prove dell’ingiustizia subita. Questo vale non solo nel processo penale, ma anche in ambito civile. Ad esempio, se cadi in una buca stradale devi dimostrare di essere passato di lì in quel determinato giorno, di aver inciampato proprio a causa di quella buca (descrivendo la scena con fotografie e/o con testimoni) e documentando l’entità delle lesioni, che devono essere conseguenza di quell’episodio e non di altri fattori indipendenti, preesistenti ed estranei. Allo stesso modo, se lamenti un inadempimento contrattuale, o il mancato pagamento della retribuzione, devi dimostrare, nel primo caso, che esiste un contratto, e nel secondo caso il rapporto di lavoro instaurato.
Nei moderni ordinamenti giuridici, la giustizia passa attraverso l’applicazione della legge, che prevede appositi strumenti per accertare i fatti. L’articolo 2697 del Codice civile stabilisce un principio fondamentale: «Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».
Ad esempio, se qualcuno non ti ha pagato devi dimostrare perché doveva pagarti, in base a quale titolo. E se lui sostiene di averti già pagato, deve dimostrarlo, provando di aver versato la somma. In sintesi: questo principio cardine, chiamato «onere della prova», significa che ciascuno deve essere in grado di dimostrare ciò che afferma. In taluni casi è possibile farlo anche mediante presunzioni, cioè comportamenti tipici dai quali si desume che una certa situazione è avvenuta.
Anche nel processo penale vigono regole analoghe, ma più stringenti: la colpevolezza dell’imputato di un reato deve essere provata «oltre ogni ragionevole dubbio», altrimenti non si può condannare. Ecco perché, in presenza di dubbi sulla colpevolezza, il giudice deve assolvere.
Farsi giustizia da soli: cosa succede?
Se quanto abbiamo detto finora ti sembra complicato e tortuoso, e vorresti andare per le spicce, devi sapere che a farsi giustizia da soli si rischia seriamente di passare dalla parte del torto.
La legge consente una tutela immediata in favore di chi sta subendo un aggressione solo in casi particolari e specifici, come la legittima difesa, e altrimenti vieta il cosiddetto «esercizio arbitrario delle proprie ragioni», che può avvenire con violenza sulle cose (ad esempio, rompo la serratura di un locale di mia proprietà che qualcuno – un inquilino, la mia ex moglie, ecc. – ha cambiato) o con violenza sulle persone (picchio chi non mi ha pagato un debito).
L’esercizio arbitrario – chiamato anche “ragion fattasi” – è un reato che si configura quando, pur potendo ricorrere al giudice, si decide di usare violenza alle cose o alle persone (in questo secondo caso il reato si configura anche con le minacce). Ecco perché, ad esempio, non si può entrare in casa propria se è occupata da altri. Sembra paradossale, ma è così: bisogna chiedere lo sgombero al giudice.
Ma la giustizia fai da te è vietata in tutti i casi in cui porta a commettere un reato o un altro tipo di illecito. La vendetta privata non è ammessa. È evidente che non si può uccidere chi ha ucciso un nostro parente, ma non è altrettanto evidente capire che se qualcuno ti deve dei soldi e non ti paga non puoi minacciarlo, picchiarlo o danneggiare i suoi beni.
Un operaio non viene pagato da tempo. Insoddisfatto ed esasperato, affronta il suo datore di lavoro colpendolo con calci e pugni e rompendo la sua autovettura. Risponderà del reato di lesioni personali e di danneggiamento aggravato.
In ambito civile, una tutela, sia pure limitata, che non richiede l’intervento del giudice è data dall’eccezione di inadempimento: in un contratto a prestazioni periodiche, puoi fare una diffida ad adempiere, o puoi legittimamente sospendere la tua prestazione se la controparte non sta eseguendo la sua. Ad esempio, se il datore di lavoro non ti paga la retribuzione puoi dimetterti per giusta causa, e avrai diritto alla Naspi, l’indennità di disoccupazione.
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