Come non pagare le tasse sugli affitti?
I migliori metodi legali per abbassare o eliminare del tutto le imposte dovute sui canoni di locazione pattuiti e percepiti.
Molti proprietari di immobili dati in locazione si domandano: come non pagare le tasse sugli affitti? Questa domanda è lecita: non è sempre data dalla volontà di evadere i tributi, non versando il dovuto al Fisco, ma spesso nasce da una evidente considerazione economica, che preoccupa soprattutto i piccoli proprietari, ed è questa: in Italia la tassazione immobiliare è pesante.
Tra Imu da versare al Comune, Irpef sui redditi di terreni e fabbricati, imposta di registro sugli acquisti (o Iva se si compra dal costruttore) e anche l’imposta sulle successioni e sulle donazioni (applicabile se si superano determinati limiti di valore), il conto da pagare per i proprietari di beni immobili è molto salato, e oltretutto è ripetuto ogni anno per i medesimi proprietari con l’Imu e la tassazione delle rendite immobiliari rivalutate ai fini Irpef, o ogni volta che si verifica un passaggio di proprietà in favore di nuovi soggetti. E tutto questo senza considerare le eventuali plusvalenze immobiliari.
La situazione si aggrava per gli immobili dati in locazione ad uso abitativo, come gli appartamenti, o ad uso commerciale, come negozi, studi professionali, uffici, depositi, magazzini e aree industriali: il canone percepito, infatti, fa reddito, e si cumula con gli altri redditi del locatore. Questo può portare ad aliquote Irpef elevate, sino a quella del 43% di prelievo sulla porzione eccedente i 50mila euro annui.
Fortunatamente, esistono alcuni modi, perfettamente leciti, che consentono di non pagare le tasse sugli affitti incassati, pur dichiarandoli fedelmente e correttamente nella dichiarazione dei redditi, e in presenza di contratti regolarmente registrati: dunque non certo nascosti e in nero, con vari stratagemmi per versare i canoni sottobanco (metodi furbeschi che, in realtà, non convengono davvero né al proprietario né all’inquilino, soprattutto se sorgono controversie e l’immobile viene danneggiato o sorge la necessità di liberarlo).
Vediamo quali sono questi sistemi: tutto dipende dalla situazione fiscale del proprietario locatore e dal tipo di contratto stipulato con l’inquilino o con l’affittuario. Premettiamo che tecnicamente il termine affitto si riferisce soltanto alle aziende e ad altre attività produttive, ma nel linguaggio comune è diventato sinonimo di locazione, quindi ai nostri fini pratici, riferiti esclusivamente al regime fiscale di questi contratti, li useremo indifferentemente.
Comodato d’uso gratuito anziché locazione
La soluzione più drastica per evitare le tasse dovute sui canoni di locazione stabiliti e incassati è quella di affittare casa gratis. Lo si può fare stipulando un contratto di comodato d’uso gratuito con l’inquilino, che così acquisisce il diritto di abitare nella casa (o comunque di utilizzare l’immobile, se di altro tipo) senza dover versare alcun corrispettivo, ma accollandosi le spese di manutenzione ordinaria, le bollette, le utenze e anche il pagamento della Tari.
Quindi un immobile dato in comodato non rende in termini di affitti percepiti, ma nemmeno costa, perché le principali spese vengono sostenute dal comodatario. Dunque entro certi limiti è valida l’equazione: canone zero = zero tasse. Rimane da pagare, per il proprietario, la rendita rivalutata, che costituisce reddito figurativo degli immobili ai fini Irpef, ma in genere l’importo è modesto.
In genere si ricorre a questa formula quando gli occupanti sono persone che godono della fiducia del proprietario: soprattutto familiari o amici. Ovviamente la situazione dichiarata nel contratto di comodato d’uso gratuito deve riflettere la realtà, altrimenti si avrebbe un contratto fittizio che dissimula una vera locazione a titolo oneroso, e perciò comporta un’evasione fiscale.
La registrazione del contratto di comodato – che non è obbligatoria – costa 200 euro fisse (più i bolli: 16 euro ogni 4 facciate, o 100 righe, di contratto), mentre quella del contratto di locazione a titolo oneroso è obbligatoria e ammonta al 2% del canone annuo, con un minimo di 67 euro.
Dare la casa a parenti stretti: sconto Imu
Un altro modo per risparmiare sulle imposte è quello di dare l’immobile in comodato a parenti stretti: sono considerati tali quelli compresi entro il primo grado di parentela. In questo modo il proprietario può godere di importanti agevolazioni fiscali, come la riduzione dell’Imu al 50%, che spetta a chi concede l’immobile ai propri figli o ai genitori, se la casa viene da essi utilizzata come abitazione principale.
Ci sono queste condizioni da rispettare per ottenere l’Imu dimezzata: il contratto di locazione deve essere registrato, l’immobile non deve essere di lusso (sono tali quelli inseriti nelle categorie catastali A1, A8 e A9) e il parente al quale viene data la casa – che non deve possedere altro immobile idoneo all’uso abitativo su tutto il territorio nazionale – deve risiedere anagraficamente e dimorare effettivamente nell’immobile che fruisce delle agevolazioni.
Sfruttare la cedolare secca
La cedolare secca è un regime fiscale facoltativo e sostitutivo dell’Irpef, che consente di versare sull’ammontare dei canoni di locazione una percentuale fissa – che è normalmente del 21% e per i contratti di locazione a canone concordato scende al 10% – anziché l’Irpef ordinaria, che può essere molto più elevata (in base agli attuali scaglioni parte dal 23% e arriva al 43% con il crescere dei redditi imponibili).
In questo modo il risparmio fiscale è considerevole, specialmente se il locatore ha redditi elevati: la tassa da pagare annualmente sugli affitti sarà sempre costante (al 21% o al 10%) anziché proporzionale e progressiva, e non dipenderà affatto dall’ammontare dei redditi di locazione o dai redditi complessivi. È una situazione molto vantaggiosa per chi, ad esempio, ha una sola casa affittata ma gode di altre importanti fonti di reddito, come stipendi, pensioni, compensi di attività professionali, rendite di capitali e partecipazioni sociali.
Un altro vantaggio non trascurabile della cedolare secca è che si eliminano totalmente le imposte di registro e di bollo, per le quali è prevista l’esenzione totale, e che altrimenti sarebbero dovute sia al momento della registrazione iniziale del contratto di locazione all’Agenzia delle Entrate sia in fase di successive proroghe di durata, o di risoluzione anticipata del contratto. Un risparmio, quindi, che si ottiene già in fase di stipula e permane per tutta la durata del contratto. Per averlo, è sufficiente esercitare l’apposita opzione in fase di scelta alternativa all’Irpef ordinaria.
Stipulare contratti a canone concordato
Comunemente si pensa che stipulare contratti di affitto a canone concordato sia vantaggioso soltanto per l’inquilino, che in tal modo paga un canone più basso di quello di mercato, ma in realtà questa formula è conveniente anche per i proprietari, proprio con riferimento alla tassazione: innanzitutto per questo tipo di contratti la cedolare secca scende dal 21% al 10% fisso, e poi c’è uno sconto di almeno il 25% sull’Imu che così viene abbattuta di un quarto (alcuni Comuni prevedono riduzioni ancora maggiori, grazie ad un’apposita aliquota agevolata). Infine, c’è sempre l’esenzione completa dalle imposte di bollo e registro.
I contratti a canone concordato possono essere stipulati nei Comuni ad alta tensione abitativa, come quasi tutte le principali città italiane, tra cui Roma e Milano, e occorre l’assistenza delle associazioni sindacali rappresentative degli inquilini e dei proprietari. Così come il canone è più basso, anche la durata standard dei contratti a canone concordato è più breve: 3 anni più 2 di rinnovo automatico, anziché 4 anni più 4 come avviene nei contratti a canone libero (che diventano 6 per le locazioni commerciali e 9 per le attività turistico-alberghiere, ma questi tipi di contratto attualmente non possono essere stipulati a canone concordato). Non è previsto l’aggiornamento periodico del canone in base all’incremento dell’inflazione rilevato dall’Istat.
Come non pagare tasse sugli affitti non riscossi
Una domanda ricorrente dei proprietari in crisi è: se gli inquilini non mi pagano l’affitto, io devo comunque pagare le tasse sui canoni previsti o posso evitare questo odioso fenomeno? Perché dovrei versare imposte su cifre che non ho incassato? Di regola, i canoni di locazione sono sottoposti a tassazione Irpef «indipendentemente dalla loro percezione»: è sufficiente che siano stati previsti e stabiliti nel contratto di affitto stipulato. Lo prevede espressamente l’articolo 26 del Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).
Ma c’è un’importante eccezione, che è stata introdotta di recente, con il Decreto “Crescita”, nel 2019: dal 2020 in poi, le imposte sui redditi derivanti dai canoni di locazione non riscossi non sono più dovute dal momento in cui il proprietario notifica all’inquilino moroso l’intimazione di sfratto, o, in alternativa, un’ingiunzione di pagamento. Prima l’esenzione scattava soltanto dal momento in cui il giudice emetteva il provvedimento di convalida dello sfratto che il proprietario aveva richiesto in precedenza.
Così ora si risparmiano parecchi mesi (se non anni, considerate le lungaggini della procedura) di tassazione su canoni non incassati. Questa anticipazione, però, riguarda soltanto i contratti di locazione ad uso abitativo, non anche quelli commerciali: per essi la detassazione continua a decorrere dal momento in cui si ottiene lo sfratto esecutivo. Ti spieghiamo in dettaglio tutto il meccanismo e gli step da seguire per arrivare al risultato nell’articolo “Come non pagare le tasse sui canoni di affitto non percepiti”.
Come dimostrare al Fisco che il contratto è terminato
Un buon sistema per abbreviare i tempi di liberazione dell’immobile e ridurre notevolmente le tasse da pagare sui canoni non riscossi è quella di prevedere, nel contratto, un’apposita clausola risolutiva espressa, mediante la quale le parti stabiliscono fin dall’inizio che il contratto si interromperà in maniera automatica e definitivamente (tecnicamente: si risolverà di diritto), senza necessità di intervento del giudice.
In questo modo si potrà dimostrare all’Agenzia delle Entrate, producendo la raccomandata con avviso di ricevimento o la Pec munita di RAC (ricevuta di avvenuta consegna, equivalente alla tradizionale “cartolina” che comprova la ricezione delle missive cartacee), che il contratto è stato risolto in anticipo e, pertanto, i canoni in precedenza pattuiti non saranno più incassati e le imposte non saranno più dovute da quel momento in poi.
Come non pagare tasse su affitti brevi, B&B e case vacanze
Sono considerate locazioni brevi quelle ad uso abitativo, stipulate da persone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa e aventi durata non superiore a 30 giorni: questo tipo di contratto non è neppure soggetto a registrazione obbligatoria (diversamente dalle locazioni transitorie, che hanno durata da 1 a 15 mesi, e vanno registrate: un tipo di contratti che riguarda principalmente gli studenti universitari fuorisede e i lavoratori in trasferta).
Dal 2021 si può esercitare l’opzione per la cedolare secca (che, come abbiamo visto, offre un grosso risparmio) solo se si affittano da parte dello stesso proprietario non più di 4 appartamenti o case nell’anno: oltre questa soglia l’attività si considera esercitata in forma imprenditoriale, e sorge l’obbligo di apertura della partita Iva (il codice ATECO da inserire per questo tipo di attività di locazione è 55.20.51).
Ma chi rientra in questo ambito imprenditoriale può beneficiare del regime forfettario, se non supera gli 85mila euro di ricavi annui. In tal caso la tassazione è solo del 15%, e scende al 15% per i primi 5 anni di attività. E non bisogna neanche versare l’Iva (pur dovendo emettere fattura per i corrispettivi ricevuti).
Dal 2024 la tassazione sugli affitti brevi diventerà più rigorosa rispetto al passato: è prevista una stretta nel numero di appartamenti o case che si può affittare senza partita Iva, e inoltre anche chi stipula i contratti tramite piattaforme, come AirBnb, sarà tenuto a versare le imposte sui canoni pattuiti e percepiti dagli occupanti. Infatti gli intermediari – fisici come le agenzie immobiliari, o virtuali come i portali telematici – devono operare la ritenuta d’acconto (attualmente in misura pari al 21%) sui corrispettivi, e versarla all’Erario.
Finora c’era stata un’elevata evasione fiscale proprio in questo settore, favorita dalla brevità dei periodi di affitto e dalla metodologia cash dei pagamenti, che vengono ancora spesso effettuati in contanti dagli inquilini anziché con sistemi tracciabili, come bonifici, assegni e carte: così molti contratti sfuggivano ai controlli, ma d’ora in poi questo non sarà più possibile, anche perché ogni unità abitativa destinata alle locazioni brevi mediante le varie formule turistico-ricettive, come gli affittacamere ed i B&B, sarà dotata di un apposito codice identificativo (non a caso chiamato “codice antievasione“), che dovrà essere pubblicato nelle inserzioni e riportato nei contratti, in modo da indicare quante volte e per quanto tempo quell’unità abitativa è stata affittata durante ogni anno d’imposta.
Approfondimenti
Per ulteriori informazioni, leggi:
- Tasse sui contratti di locazione: tutto ciò che devi sapere;
- Chi è esente dal pagamento dell’Imu?;
- Cedolare secca: quando e a chi conviene?;
- Contratto di comodato: quando va registrato?;
- Contratto affitto per pagare meno tasse;
- Guida alla cedolare secca sugli affitti brevi: funzionamento e nuove regole.
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