Come funziona la mediazione in condominio
Nuove regole sulla mediazione in condominio: ecco come e quando l’amministratore deve convocare l’assemblea. La maggioranza per l’approvazione dell’accordo.
La Riforma della giustizia ha introdotto significative modifiche nell’ambito della mediazione condominiale, soprattutto per quanto riguarda i doveri dell’amministratore. La normativa vigente permette all’amministratore di attivare, aderire e partecipare alla mediazione anche senza previo mandato dell’assemblea. La delibera è tuttavia necessaria per l’approvazione dell’eventuale proposta transattiva, almeno in quelle materie sottratte alla disponibilità dell’amministratore.
Vediamo, più nel dettaglio, come funziona la mediazione in condominio, quando procedere alla convocazione dell’assemblea in questi casi e quale organismo è competente a trattare la questione. Vedremo poi cosa succede nel caso in cui pendano più domande di mediazione sulla medesima controversia e quale di questa prevale. Ma procediamo con ordine.
L’amministratore deve convocare l’assemblea prima dell’incontro di mediazione?
Con la riforma Cartabia, l’amministratore non deve più farsi autorizzare preventivamente dall’assemblea di condominio per partecipare a un incontro di mediazione. Ciò è stato stabilito per evitare che, nei tempi stretti in cui tale incontro si deve tenere, si fosse puntualmente costretti a rinviare lo stesso per impossibilità di convocare, nel frattempo, l’assemblea.
Resta sempre facoltà dell’amministratore indire una previa riunione di condominio per permettere ai condòmini di essere informati sulle questioni in discussione.
Quando l’amministratore deve convocare l’assemblea?
Il verbale di mediazione è considerato un contratto con efficacia esecutiva, simile ai titoli esecutivi. Pertanto, la giurisprudenza ha stabilito che per firmare una transazione è necessaria l’autorizzazione dell’assemblea condominiale, che rappresenta la volontà collettiva e la voce del condominio.
Risultato: dopo l’incontro di mediazione, l’amministratore è tenuto a sottoporre la proposta di conciliazione scaturita dal suddetto incontro all’assemblea di condominio, non potendo prendere iniziative individuali sull’accettazione o sul rifiuto della stessa. Egli deve quindi convocare l’assemblea per la relativa decisione. Anche se l’amministratore ritiene non conveniente l’adesione alla transazione, la riunione di condominio va comunque indetta. Lo stabilisce espressamente la legge a norma della quale «il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta».
È essenziale l’autorizzazione dell’assemblea per firmare una transazione poiché essa rappresenta l’organo supremo del condominio. La sua decisione riflette la volontà collettiva e ha impatti diretti sia all’interno che all’esterno del gruppo condominiale.
Del resto, l’amministratore di condominio deve avere un mandato specifico, ossia una delibera assembleare, per poter disporre dei diritti del condominio. Solo con questo mandato l’amministratore ha il potere di transigere o sottoscrivere un verbale di accordo in mediazione.
Qual è la maggioranza per l’approvazione dell’accordo di mediazione?
L’assemblea di condominio chiamata a decidere se accettare o meno la proposta di conciliazione deve deliberare con il seguente quorum:
- maggioranza dei presenti in assemblea (50%+1);
- che rappresenti almeno la metà dei valori dell’edificio (500 millesimi).
Quali sono le conseguenze di una transazione non autorizzata?
Una transazione non autorizzata dall’assemblea può comportare una responsabilità personale in capo all’amministratore, per i danni procurati al condominio. Secondo l’articolo 1398 del Codice civile, chi agisce come rappresentante senza i poteri necessari o eccedendo i limiti delle facoltà conferite è responsabile per i danni subiti dalla controparte che ha fiducia nella validità del contratto.
Come si regolamenta la convocazione dell’assemblea?
La convocazione dell’assemblea è disciplinata dall’articolo 66, comma 3, del Codice Civile, che richiede una comunicazione dettagliata dell’ordine del giorno almeno cinque giorni prima della data della prima adunanza. La trasmissione dell’avviso deve avvenire tramite posta raccomandata a.r., posta elettronica certificata (Pec), fax o consegna a mano. Non sono ammesse altre forme di convocazione, anche se autorizzate dall’assemblea a maggioranza.
Alcuni tribunali ritengono tuttavia che l’amministratore possa essere autorizzato, dal singolo condomino, all’invio della convocazione tramite email semplice, sempre che vi sia la prova del ricevimento (cosa che potrebbe avvenire, ad esempio, tramite risposta del destinatario con la quale questi confermi di lettura dell’avviso).
In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati».
È necessario allegare l’istanza di mediazione all’avviso di convocazione?
Non è obbligatorio allegare l’istanza di mediazione all’avviso di convocazione ma ciò può essere opportuno al fine di garantire ai condòmini una piena consapevolezza su ciò che sarà discusso in assemblea. Questo approccio va oltre gli obblighi legali dell’amministratore, garantendo trasparenza e chiarezza nella gestione delle questioni condominiali.
Allegare l’istanza di mediazione può prevenire richieste di visione del documento da parte dei condòmini, evitare ritardi e rinvii o inutili contestazioni sull’ordine del giorno, responsabilizzare i condòmini sulle decisioni da prendere e rispettare lo spirito della mediazione, che richiede una partecipazione consapevole.
Chi sceglie l’organismo di mediazione?
La scelta dell’organismo di mediazione spetta alla parte che avvia il procedimento.
La legge stabilisce che la domanda di mediazione deve essere depositata presso un organismo situato nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia che è quello ove si trova il condominio. Questo criterio è confermato sia dalla giurisprudenza che dal Consiglio Nazionale Forense.
Questo significa che l’organismo scelto deve avere sede nel distretto in cui opera la Corte d’Appello competente per la controversia.
Ad esempio, un organismo situato ad Avellino, rientrante nel distretto della Corte di appello di Napoli, sarebbe un organismo di mediazione correttamente incardinato.
È possibile derogare al criterio di competenza?
Sì, la competenza dell’organismo di mediazione è derogabile su accordo delle parti. Questo significa che, se entrambe le parti sono d’accordo, possono scegliere un organismo diverso da quello territorialmente competente.
In caso di più domande depositate, quale prevale?
Se ci sono più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge presso l’organismo dove è stata presentata la prima domanda. Dunque, la data del deposito è determinante per stabilire quale domanda ha precedenza.
È necessaria una specifica competenza del mediatore?
La legge non stabilisce competenze per materia da parte degli organismi di mediazione che, pertanto, sono autorizzati a trattare qualsiasi tipo di controversia, senza che vi siano “specializzazioni” su specifici conflitti. Ciò nonostante è indubbio che ci possa essere un mediatore più competente di un altro riguardo a determinati rami del diritto. Quindi, è possibile scegliere un organismo in base alla sua esperienza specifica nella materia della controversia.
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